Una
strana mostra. Di rifiuti, rovine, abusi, e le “ferite” del paesaggio. L’intenzione
si presenta lusinghiera: gli organizzatori prospettano un’operazione di
raccordo, quale la Grande Opera dev’essere, di proiezione e immedesimazione
nell’ambiente, e di comunicazione, apertura, rinnovamento. Il sottotiolo
richiama “la celebre ricerca di Gabriele Basilico e Stefano Boeri, “Sezioni del paesaggio italiano”, 1997. La
mostra è di uno squallore inimmaginabile.
Si
celebra la nuova Salerno-Reggio Calabria, la celebrano l’Anas e l’Istituto
centrale di grafica romano, a palazzo Poli, con una serie di foto di luoghi
abbandonati, sporchi, intristiti, pieni di rifiuti. Senza luce. Più, per meglio
“rendere l’idea”?, alcune foto della statale jonica 106 fuori stagione: la
costa dei gelsomini, una delle più attraenti d’Italia, vista d’inverno, con le
insegne divelte o sfilacciate, i locali abbandonati, in un deserto umano e
urbano. Col contrappunto, anch’esso desolante, delle foto in analogo percorso
quindici anni fa di Gabriele Basilico e Olivio Barbieri (Stretto di Messina), e
Mario Cresci (106 Jonica)
Con
progetti, planimetrie e vecchie foto Anas, anche degli anni 1950 e precedenti,
molto prima cioè dell’autostrada, lungo la statale 18 delle Calabrie, o Tirrena
Inferiore, che non c’entrano nulla con la Sa-Rc ma sì con lo squallore.
Un
manufatto nuovo, dell’autostrada più nuova e meglio percorribile che c’è in
Italia e forse in Europa in questo momento. Di grande attrattiva per i
manufatti . E per i paesaggi che percorre caleidoscopici: montuosi, marini,
campagnoli, produttivistici, deserti, alberati, infiorati. Resa in una ricerca
accanita dello squallore. Non è celebrazione, naturalmente, e non è documento.
Foto
d’autore non sembrano nemmeno, nessuna memorabile – ci sono foto oniriche, ma
non riguardano la Salerno-Reggio: Martin Errichiello e Filippo Menichetti hanno
saputo fotografare le esplosioni a distanza, delle polveri come nuvole. C’è solo una conferma: del
pregiudizio. Non una celebrazione dell’arte fotografica, se non di una specialmente
povera. Cioè ripetitiva, di vecchi modelli. Specie quelli della foto sociale
americana degli anni della depressione, 1930-1940, che si vedono ancora nei libri
storici della fotografia. Il genere Modotti, Diane Arbus, Paul Strand, dell’America
rurale che andava all’estinzione, e i ritrattisti celebravano-deprecavano, della
“mitica” Route 66 – qui richiamata. Ma con una
differenza abissale: che quelle fissavano il tempo, queste un
pregiudizio. Si imita la fotografia americana dei grandi spazi, per lo più
desertici, interni: la pompa di benzina
abbandonata, la fattoria remota, l’agave solitaria. Ma in senso inverso:
non per animare il deserto, ma per desertizzare un’area delle meglio animate
della penisola, la costa jonica della Calabria, e la costa da Palmi a Reggio
prospiciente la Sicilia.
Un
esercizio nemmeno di bravura, per quanto perfido. Solo di cattiva copia, di
cattive abitudini. D’insensibilità anche. Tra foto spettacolari di viadotti che
si fanno saltare con procedura “controllata” – telecomando. Non l’immersione
dell’autostrada nel paesaggio. Il “Sud” dev’essere bucolico e isolato, povero,
ristretto, remoto. Per questo non c’ una foto, una tra le migliaia, che una
luce plumbea non soverchi. Un a sorta di mostra a lutto. Un ‘ecologia d’assalto,
forse. Ma una che tutto vuole miserabile, tutto eccetto il suo proprio delirio.
Il
ministro Delrio dice la Salerno-Reggio “simbolo del Mezzogiorno onesto”. E la mostra? Sono stati spesi
soldi per questa celebrazione?
“Verso il Mediterraneo. Un viaggio fotografico tra Salerno e Reggio
Calabria”, Roma, palazzo Poli, via della Stamperia(
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