sabato 10 dicembre 2016

Letture - 283

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Bob Dylan – Il miracolo del menestrello è dunque l’amore. Alessandro Carrera, il massimo dylanologo, direttore di Italian Studies all’università di Houston, curatore e commentatore dei due volumoni di “Lyrics” di Dylan appena riediti da Fertrinelli, ne ha tematizzato le canzoni, arrivando a questa conclusione. “«Amore» compare circa 300 volte nel canzoniere di Dylan”, la parola più frequente. “Strada” è la seconda più frequente, ricorre 133 volte – “treno” cinquanta, “vento” “più di novanta”.
La “strada”, dice Carrera con D.H.Lawrence, autore anche di “Studi sulla letteratura classica americana”, è “la grande casa dell’anima” dello scrittore americano – l’“anima americana” si realizza “solo nel viaggio lungo le strade aperte”.
L’altro dato appariscente di Dylan che Carrera rileva è l’orizzontalità. Il rifiuto è costante in Bob Dylan, da ultimo nel catalogo di una sua mostra di dipinti alla Halcyon Gallery di Londra, del verticale e del moderno. Ha vissuto a Manhattan ma non ha mai visto i grattacieli, il suo orizzonte è rimasto – dice Carrera con encomio – quello dell’infanzia nel Minnesota natale, rurale, basso e gonfio.

Gentileschi – Artemisia è senz’altro femminista, castratrice: una buona metà dei suoi quadri sono di donne all’opera con le lame. Ma indirettamente, anche le sante fa glamour,con le gambe e i seni. Si dovrebbe ipotizzarla gay, ma le si conoscono solo omaccioni. È una a cui piaceva l’evirazione “dopo”. Si spiega così la vicenda dello stupro subito a scoppio ritardato, quando l’amante non volle sposarla.

Giornalismo – È tutto ciò che abbiamo, storia, politica e letteratura. Secondo il filosofo Heidegger dei “quaderni neri” ora in via di pubblicazione, “Riflessioni XII-XV”, che pure disprezza l’opinione pubblica, come un artificio politico o economicistico, di editori letterati. La storia è giornalismo, nel senso che “la scienza storiografica resta il modello segreto del «giornalismo»”. E viceversa: “Il «giornalismo» determina ogni tipo di letteratura” – è “una forma fondamentale della dimensione pubblica”..

Hölderlin – Non è il “Nietzsche svevo”, sbotta a un certo punto il suo fedelissimo Heidegger nel “quaderno nero” n. XII (“Riflessioni XII-XV”, p. 18): “Solo l’estremo e più maligno fraintendimento può spacciar(lo) per il «Nietzsche svevo»”. Se non per la follia, forse?
“Certo, Hölderlin non si addentra, poetando, in campi sereni…”

Proust – Rousseau latita vistosamente nella “Ricerca” – una sola menzione, forse una sola, distratta, come un giorno del calendario.. Ma sua è l’architettura del grand opéra proustiano. Della “tecnica”: le annotazioni sottilmente estese – prolisse, sì. Dei sentimenti prevalenti: inadeguatezza, gelosia, collera repressa, ironia lieve (amara). Delle tematiche perfino, soprattutto degli amori impossibili(tati) e dell’aristocrazia – la nobiltà d’animo va con quella di censo.  

Self-publishing – Anche l’Ariosto pubblicò a sue spese, addirittura l’“Orlando”. E ne fece un best-seller. Una malinconica consolazione – per i tanti che Ariosto non possono dirsi.
Suicidio – All’opera è comune, Butterfly non è la sola, anche se la Rai l’ha mandata in diretta. È risolutivo: un centinaio di opere finiscono col suicidio, di lei più che di lui.
Butterfly non è la sola suicida in diretta di Puccini: Suor Angelica e Tosca l’hanno preceduta, Liu la seguirà. E altre non se la sono passata bene: Anna (“Le Villi”), Fidelia (“Edgar”), Manon, Mimi, Magda (“La rondine”). La donna si vuole debole. In parte come ideale rovesciato di Puccini, tormentato da una virago, Elvira Bonturi. Ma è l’ideale del romanticismo, rafforzato sul finire: la donna è fragile, fragilissima, vittima anche se colpevole. È un canone, uno dei tanti che legavano la donna: bella, giovane., traditrice-tradita, suicida.

Snobissimo – Parterre di bellezza, lusso e intelligenza su “Io Donna” per “Il vestito dei libri” di Jumpha Lahiri. Intervistata da Emmanuelle de Villepin, fotografata da Neige De Benedetti. Inviate a Princeton, dove Jumpha insegna. Lo snobismo vincit omnia. Per primo, ogni volta, se stesso.

Tedeschi – Hölderlin non ne aveva buona opinione, li chiamava “barbari che sanno solo tutto calcolare”. Hölderlin che Heidegger dice “il più grande fra i tedeschi” – in senso antifrastico?
Ma pure Heidegger, nazionalista e tutto, si sente a disagio fra i tedeschi – veramente ovunque, eccetto che fra i presocratici

Ulisse – Prevale – è un paio d generazioni – in forma di Odisseo. Non il furbo, fedifrago, vagabondo, ma il viaggiatore inquieto, che il desiderio di conoscenza agita. Che lui non è, quello di Omero. Lo celebriamo con Dante.
Ulisse in Omero è uno che non sa chi è. Non è nemmeno trattato tanto bene, nel poema eroico. Nel “suo” poema è uno stordito, che ovunque si lascia fare. Al ritorno a casa, non sa neppure di essere arrivato, è Atena che gli rivela Itaca – dormendo, si è lasciata sfuggire la sua isola, che cercava. Anche in Dante si perde. La parte avventurosa del viaggio è del resto breve, dopo lunghi illeggibili capitoli su Telemaco e Penelope.
Nel poema eroico è un furbo malvagio, un ladro di cavalli. Non si può non tifare Aiace, “il leone impazzito”, cui Ulisse sottrae l’armatura d’Achille: l’eternauta è un corruttore, per il più che fondato sospetto che si sia comprato i giurati, e un piantagrane, dell’armatura di Aiace non ha bisogno e non la userà.

Il viaggio di Ulisse inizia dopo la discesa all’inferno. Verso una patria che è un’isola sassosa.

Viaggi – Non sono per italiani? Le corrispondenze e i diari di viaggio. Parise in Biafra, in Cina, in Giappone. La Capria in Giappone. L’orrido “La Cina di Mao” di Macciocchi. Manganelli in Asia. Germano Lombardi e Celati in Africa. Moravia nell’Urss e in Africa. Pasolini in India, in Africa, a Napoli, in Calabria. Non ci si ritrova nulla, nemmeno un po’ di aria del tempo, a parte l’“impegno”, quasi mai sincero. Molta neghittosità, un po’ di gigioneria, che si giustifica (si aggrava) con la malinconia: la solitudine, il disvalore di casa – di Roma per lo più – e naturalmente la condizione umana. Di Joseph Roth le corrispondenze politiche da Mezza Europa, la sua opera più perenta, ancora si leggono. O i tanti inglesi che ne sono maestri, di viaggi e dromotesti, da ultimo Robert Byron, Bruce Chatwin, Peter Levi, Patrick Leigh Fermor, William Blacker.
Da noi giusto Corrado Alvaro. Anche Arbasino - tra le fumisterie un insight prodigioso. E un po’ di giornalismo, Stefano Malatesta, Paolo Rumiz, e Terzani prima dell’illuminazione.

leterautore@antiit.eu

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