sabato 17 dicembre 2016

Letture - 284

letterautore

Céline – Niente è meno “in carne” di una ballerina, argomenta Sartre in “L’essere e il niente”, l’agité du bocal, agitato in provetta, l’arcinemico dell’epurazione. Ma l’argomentazione di Sartre è (quasi) risolutiva-assolutiva per Céline: non più l’orco, ma uno maniaco di bellezza e armonia. Sartre dice il desiderio una strategia mirata a far emergere la “carne” dell’altro. Incarnata-disincarnata, nel senso che non è “in situazione”, in movimento per uno scopo, e non più “mascherata”, dal trucco, dal costume, dalla funzione. La ballerina è proprio all’opposto, mascherata, in costume, sempre in movimento per la musica, e insomma quasi disincarnata, la morte del desiderio sessuale.

Si può farne il prototipo e quasi il profeta dello hater, il risentito radicale – lo fa Serena Pompili su “IL Magazine” del “Sole 24 Ore”: “C’è un solo modo di amare un hater” (online). Il risentimento oggi va sotto l’etichetta passiva del populista, ma è in realtà il vecchio piccolo borghese anarcoide. Il suo stesso antisemitismo, di Céline, è di quel tipo lì – “ben gli sta”, “se la sono tirata”, “troppo furbi”: il suo ebreo non lo odia, non specialmente o non più di ogni altro, lo fa anzi vittima del mondo da odiare. Come il piccolo borghese francese, come il tedesco, nazista e non, come il comunista, come Sartre e tutti gli intellettuali.
Pompili ne fa anche un calvinista, per la “concezione della scrittura come predestinazione”, austero. Ma Céline non era austero, era debordante. Rabelaisiano, non volutamente o per calcolo: per istinto. Negli odi, nelle amicizie, negli amori. È vero invece che non era quello “collerico, paranoico, grottesco, la voce rauca e l’aspetto trasandato, un clochard alcolizzato, ingobbito, accudito da una Lucette-badante, più che moglie” che Pompili lamenta del film di Emmanuel Bordieu, “Ferdinand Céline”. È “il destino degli hater”, come conclude Pompili, di diventare cioè il paria che si disprezza. Il risentimento è una brutta malattia. Céline è stato a lungo un dandy, in guerra e dopo, alla Fondazione Rockefeller e in quella che sarà l’Organizzane Mondiale della Sanità. E quella era la sua natura, di gentleman. Anche da medico dei poveri negli anni 1930, e poi, dopo la guerra e il carcere, anche nei pullover sdruciti che sovrammetteva per ostentare la povertà. E a suo modo socievole: ebbe sempre amici, e nessun intervistatore - ne ebbe tanti, amava il genere - lo trovò sgradevole.

Confessione – La letteratura del selfie non sarebbe piaciuta a Proust – “non confessate mai” – che pure tanto coltivava la memoria. Neanche a Cicerone – “turpis et periculosa”. Nemmeno al Kafka (non tanto) segreto dei “Diari”: “Confessare e mentire sono la stessa cosa. Per poter confessare, si mente”.

Congiuntivo -  Singolare argomentazione populista di Paolo Di Stefano sul “Corriere della sera” per l’abolizione del congiuntivo – quella del “parlare come si mangia”. Un tempo che rimane in inglese, lingua della semplificazione, anche se non nella forma grammaticale così chiamata – rimane come concetto. L’abolizione del congiuntivo non è fare chiarezza, al contrario è impedirla: l’abolizione del tempo è abolizione del concetto, la distinzione del fatto dal dubbio o dall’ipotesi. Un fatto di rozzezza, o di malafede – le lingue spesso deragliano. Ed è un appiattimento, non un fatto di democrazia: la sua abolizione stabilizza la disuguaglianza.

Falso – Si afferma in rete come segno della credulità. Propiziando richieste di censura preventiva, a difesa dei deboli mentali. In realtà il falso in rete è riconoscibile: si dichiara in qualche modo falso, perché è per ridere, scherzoso, ironico, artefatto (il papa che vota Trump), irridente. In gioco non è la debolezza mentale, ma la sordità allo humour: lo scherzo è una qualità più ardue evidentemente dell’intelligenza.

“La Lettura” fa parlare uno che col falso ci guadagna, lui dice 10 mila dollari al mese, Paul Horner. Che però non inventa falsi ma scherzi.  

Kafka – È un latinista. È la lettura straordinaria – convincente – che Agamben ne fa in “Nudità”. Sulla breccia aperta da Davide Stimilli quindici anni fa con “Fisionomia di Kafka”, dell’autodistruzione come autocalunnia. A partire dal “Processo”: K. come Kalumniator. E dal “Castello”: K. Come kardo, parola chiave dell’agrimensura latina, “quello che è diretto al cardine del cielo”. L’agrimensura era professione a Roma di importanza particolare, poiché si occupava della creazione delle città, e della delimitazione dei confini. Cognizione storiche e giuridiche cui Kafka si è avvicinato studiando da procuratore legale.
L’intuizione di Stimilli Agamben trova confermata nei diari e le lettere, con numerosi riscontri. E dalla pubblicazione nel 1848, con ampia circolazione, di una raccolta poi dimenticata, “Die Schriften der römischen Feldmesser”, un corpus dei vari manuali romani di agrimensura, a opera di “tre eminenti filologi e storici del diritto”, F .Blume, K. Lachmann e A.Rudorff: i trattati di Sesto Giulio Frontino, Agennio Urbico, Igino Gromatico e Siculo Flacco.

Natale – È risdoganato? Quest’anno nessuna scuola l’ha cancellato per non offendere gli altri, e c’è perfino chi se lo augura – si dice di nuovo “buon Natale” senza complessi. Sarà l’effetto Trump, del riscatto dell’“uomo bianco” di cui fantastica l’America che ha sbagliato tutte le previsioni? Ma una ventina di cantanti, stranieri e italiani e stranieri, hanno esibito una canzone di Natale per la festa di Canale 5: ce l’avevano pronta da prima di Trump – anche se, è vero, alcuni non proprio credenti. Tony Hadkey, Spandau Ballet, ne ha per un intero album, “The Christmas album”. La parola fa capolino anche in qualche titolo di film per bambini, oltre che nei cinepanettoni.

Peto – Senza il peccato, sant’Agostino lo immagina profumato e melodioso. C’era, prima, un godimento tranquillo del corpo, scrive il santo nel “De Civitate Dei”. XIV, 24, un controllo pieno. Che esemplifica con alcuni residui: c’è ancora chi sa muovere le orecchie, o i capelli, chi contraffá il canto degli uccelli melodioso. E c’è il peto odoroso: “Se ne trovano ancora che fanno uscire dal loro ano, senza emettere il minimo odore, venti tanto armoniosi che si direbbe che cantano con quella parte del corpo”.

Starobinski – Un Jean Starobinski figura medico e filosofo a Parigi attorno al 1947-1948, in Monique Lévi-Strauss, “Un’infanzia nella bocca del lupo”, in una serie di frequentazioni molto intellettuali, a cerchi olimpici, intorno alle figure di Jean Wahl, Clara Malraux, Lacan, i Jolas. Starobinski è in effetti di formazione psichiatra.

letterautore@anti.eu

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