Banalità del male – Eichmann “essere banale” ricorre nel discorso per
l’assegnazione a Hochhuth del premio Gerhard-Hauptmann da parte delle autorità
tedesco-orientali il 17 novembre 1962, alla vigilia della rappresentazione del
“Vicario”, il dramma anti-Pio XII che veniva premiato. Discorso pronunciato da
un Hermann H. Kamps che prende tutta la scheda del libro nell’edizione
approntata da Feltrinelli all’istante del quale nulla è dato sapere – un
funzionario del partito Comunista tedesco (Tutta l’operazione “Vicario” era del
governo tedesco-orientale)? Il libro sulla “banalità del male” di Hannah Arendt
uscirà a luglio del 1963, peraltro col titolo “Eichmann in Jerusalem. A Report
on the Banality of Evil”. Il concetto la filosofa aveva formulato in
precedenza, preparando le corrispondenze sul processo per il settimanale “New
Yorker”. Che però le pubblicò nel febbraio e marzo del 1963.
Una genealogia curiosa, questa della
“banalità”. Consacrata in italiano, ancora da Feltrinelli, l’editore del
“Vicario”, invertendo l’ordine fra titolo e sottotitolo. Tanto più considerando
la pronta rispondenza del Pci, il partito Comunista Italiano, alla propaganda
tedesco-orientale orchestrata col drammone di Hochhuth. E i legami di
Feltrinelli, allora, col Pci.
È intesa nel senso di “normalità”. Di senso comune. Corrente nel caso dell’antisemitismo negli anni 1930. Anche in scrittori ebrei, come Némirovsky, lo stesso Joseph Roth, e poi Canetti.
Kafka – Resta ancora in Italia alla lettura di Max Brod e Elias
Canetti, mentre molto di più se ne sa e se ne scrive in Germania e altrove. Da
ultimo con la biografia in tre volumi di Reiner Stach. Che fu autore anche
trent’anni fa di una promettente tesi di dottorato, “Kafkas
erotischer Mythos. Eine ästhetische Konstruktion des Weiblichen”, il mito erotico
di Kafka, una costruzione estetica delal femminilità. Nonché, vent’anni fa,
curatore della mostra, con nutrito e argomentato catalogo, “La sposa di Kafka”,
organizzata con i materiali del lascito di Felice Bauer, da Stach rinvenuti
negli Stati Uniti. Se ne traduce ora solo un libro di curiosità,“È questo
Kafka?”.
In “È questo Kafka?” Reiner Stach riproduce il frontespizio
dell’edizione in volume nel 1916 del racconto “La condanna” – o “La sentenza”,
il racconto del conflitto col padre – dell’editore Kurt Wolff di Lipsia.
Il cui logo è la lupa capitolina. Nel 1930
Wolff lascia la casa editrice e la Germania per stabilirsi in Toscana. Fino alla guerra,
quando cerca, e trova, rifugio negli Usa, dopo essere passato a Nizza – e
all’internamento in quanto cittadino tedesco. Anche di Wolf, come delle ricerche di Stach, non si sa
nulla in italiano.
Malo – “Pensi che, ad esempio”, racconta Nada Vigo a Gianlugi
Colin su “La Lettura” l’altro sabato, per dire dei rapporti difficili un tempo
tra architettura ed arte, “per una casa che ho fatto a Malo, nel Vicentino, su
disegno iniziale di Ponti, vista la piccola metratura, ho messo il letto
matrimoniale nel soggiorno”.
Meneghello aveva appena licenziato “Libera nos a Malo”, che
dunque non era il borgo isolato e bizzarro che racconta, se vi si commissionava
una casa, benché piccola, a Ponti e Nanda Vigo. È vero però che anche questo vi
faceva scandalo, racconta Vigo: “Fu uno scandalo. Nella cattolicissima Malo ci
fu anche l’anatema del parroco durante il sermone domenicale”. Gli architetti
milanesi la presero sul ridere: “Gio Ponti commentò: «È la Nativity Room». Solo una donna
poteva concepire una cosa del genere”, commenta Vigo.
Montanelli – “Montanelli disprezzava la borghesia che
difendeva, e ammirava i comunisti che attaccava”. Sintetico ma al punto
Bettiza, per i suoi novant’anni, con Cazzullo: preciso, soprattutto per
quell’“e” invece che “ma”. L’uomo era l’uno e l’altro. Non un opportunista,
certo. “La vera rottura con Montanelli fu su Craxi”, chiede Cazzullo. Risposta:
“Craxi aveva grande mobilità mentale, e più cultura di quello che mostrava. Mi
riconoscevo nel suo liberalsocialismo. Indro appoggiava la Dc, pur
disprezzandola”..
Orfano - “i figli dei genitori che si amano sono orfani”, Stevenson
scrive a Fanny Sirwell – e dunque si è figli solo di genitori che non si amano?
Pound - Cristina Campo lo vide a Roma nel 1967 “dopo un folle
sciopero della fame per divergenze familiari a Brünnenburg, presso un
incredibile Colonnello, ex massone, ex fascista, ex spia nel Medio Oriente, ora
igienista e letteratoide, calato di 20 chili e del tutto disidratato: è una
larva stupenda dagli occhi di diamante”. I poeti si consumano.
Proust – È perfido, si sa. Ma per essere
romantico, e anzi sentimentale. Scanzonato pour
cause, per mimetizzare l’inclinazione sentimentale, vulnerabile. O allora
scanzonato al rovescio: sardonico, sarcastico. Nel rapporto intimo coi
genitori, sotto le assicurazioni d’obbligo e di convenienza – anche in parte
col fratello. E coi suoi personaggi, quella della “Ricerca”, i tanti
adombramenti di se stesso.
L’antologia che Bernard Leclair ha tratto dalla “Ricerca”,
“L’humour de Marcel Proust”, è una collezione di cattiverie nella realtà – che
anche nella lettura seguita inquietavano, ma antologizzate sono esplicite,
perfino violente. Senza indulgenze. Di Madame de Guermantes il narratore,
talmente ne è “innamorato”, si dice che “la più grande felicità che
avessi potuto domandare a Dio sarebbe stata di far fondere su di lei tute le
calamità”: non la vuole bella e raggiante ma povera e anzi barbona, “senza più
casa”. Il nonno del narratore, nell’impossibilità di farsi raccontare da Swann
qualcosa di divertente, si consola con un verso che la figlia - la madre del
narratore che da lei ha saputo l’aneddoto - gli ha insegnato: “Signore, quante
virtù ci fai odiare!” - in quanto “verso”, una citazione corneliana, da
“Pompeo”, ma tal quale reperibile nel perfido Saint-Simon, di cui Proust era
più assiduo che di Corneille. Il lutto per la scomparsa di Albertine finisce
nel momento in cui il narratore se lo confessa, cioè subito. Subito dopo aver
risposto a qualcuno, che gli chiede perché non esce: “No, non vado al teatro,
ho perso un’amica che amavo molto”. Basta questo per liberarlo: “È a partire da
quel momento che cominciai a scrivere a tutti che avevo avuto un grande dolore
e a cessare di sentirlo”.
Ma un po’ tutti gli estratti di Leclair
sono di questo tipo. Madame Verdurin, “soffrendo per le sue emicranie di non
avere più il cornetto da inzuppare nel caffelatte”, se lo fa ordinare dal
dottore. Il cornetto è difficile da avere – “più difficile da ottenere dai
poteri pubblici che la nomina di un generale” - perché siamo in guerra. Il
caffelatte viene preso con la lettura del giornale. Il giorno in cui il
“Lusitania” è affondato, madame Verdurin si rattrista, ma con “l’aria, indotta
probabilmente dal sapore del cornetto, così prezioso contro l’emicrania,
piuttosto di una dolce soddisfazione”.
letterautore@antiit.eu
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