Pubblico distratto. Orchestra perplessa.
Anche i cantanti sembravano lì per dovere, Sofia Ganassi e Russell Brown, impigliati
negli occhiali per leggere lo spartito, da levare e mettere, alla prima di
“Senza sangue” ai concerti di Santa Cecilia al Parco della musica di Roma: voci
senza suono, senza sonorità. Né pretendeva di più l’autore, che dirigeva
l’esecuzione, il musicista ungherese Peter Eötvös, che ha molta pratica di musica da film, per questo forse insensibile al canto.
Il libretto di Mari Mezei, tratto dal
racconto dallo stesso titolo di Baricco, contribuiva al gelo. Baricco racconta
in effetti di testa, storie anche sensazionali senza spessore, di personaggi e
luoghi posticci, in nowhere vissuti
in apnea – fa esercizi ipotetici, algidi. Ma ama il canto, così assicura. Della
dodecafonia la vittima è invece il canto – l’orchestra alla fine se la cavava,
con qualche divertimento: la partitura è complessa, viole e bassi reggono le
corde.
Non si capisce perché si facciano opere
atonali, nel senso di melodrammi, teatro in musica. In una musica che elimina di programma le
passioni. E il canto. O sì, si capisce? “Senza sangue” è stata commissionata dall’Opera di Colonia.
Molti melodrammi contemporanei, di musica dodecafonica e elettronica, sono
commissionati dai teatri d’opera tedeschi perseguendo il vecchio disegno – una volta
era ritenuto un limite - dell’opera esangue. Di testa. Anche nei recitativi:
più che un’esibizione, una punizione - “Senza sangue” voleva essere una notazione positiva: un duello senza sangue.
Peter Eötvös, Senza sangue
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