domenica 4 dicembre 2016

L’opera contro il melodramma

Pubblico distratto. Orchestra perplessa. Anche i cantanti sembravano lì per dovere, Sofia Ganassi e Russell Brown, impigliati negli occhiali per leggere lo spartito, da levare e mettere, alla prima di “Senza sangue” ai concerti di Santa Cecilia al Parco della musica di Roma: voci senza suono, senza sonorità. Né pretendeva di più l’autore, che dirigeva l’esecuzione, il musicista ungherese Peter Eötvös, che ha molta pratica di musica da film, per questo forse insensibile al canto.
Il libretto di Mari Mezei, tratto dal racconto dallo stesso titolo di Baricco, contribuiva al gelo. Baricco racconta in effetti di testa, storie anche sensazionali senza spessore, di personaggi e luoghi posticci, in nowhere vissuti in apnea – fa esercizi ipotetici, algidi. Ma ama il canto, così assicura. Della dodecafonia la vittima è invece il canto – l’orchestra alla fine se la cavava, con qualche divertimento: la partitura è complessa, viole e bassi reggono le corde.  
Non si capisce perché si facciano opere atonali, nel senso di melodrammi, teatro in musica.  In una musica che elimina di programma le passioni. E il canto. O sì, si capisce? “Senza sangue” è stata commissionata dall’Opera di Colonia. Molti melodrammi contemporanei, di musica dodecafonica e elettronica, sono commissionati dai teatri d’opera tedeschi perseguendo il vecchio disegno – una volta era ritenuto un limite - dell’opera esangue. Di testa. Anche nei recitativi: più che un’esibizione, una punizione - “Senza sangue” voleva essere una notazione positiva: un duello senza sangue.
Peter Eötvös, Senza sangue

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