martedì 20 dicembre 2016

Pio XII tra revisionismo e guerra fredda

I sacerdoti Kolbe e Lichtenbegr, cui “Il Vicario” è dedicato, sono ora l’uno santo e l’altro beato. Pio XII, il cattivo Vicario di Dio in terra, è venerabile: le cose sono cambiate. Il dramma è del 1962, l’anno dopo la costruzione del Muro di Berlino, il primo schiaffo di Kruscev a Kennedy. E la politica, la storia politica del dopoguerra, la “guerra fredda”, è la cosa che più ritorna alla rivisitazione del testo.
Il cattolico Carlo Bo nella presentazione ne fa un “dramma cristiano”, del male dentro di noi, etc.. Ma forse non l’ha letto: alla lettura ogni verso odora di Cominform, la propaganda sovietica. Erwin Piscator, all’epoca attivo a Berlino Est, incaricato entusiasta della messinscena, evoca nell’altra presentazione Schiller - dopo essersi accreditato come massima autorità in tema, avendo riproposto il dramma epico “prima di Brecht”. Ma Hochhuth è sulle tracce di Goethe: in versi è un po’ sotto, novemila contro i dodicimila del “Faust”, in lunghezza lo supera. Nella rappresentazione di Piscator, l’unica integrale, durò sette ore. A stampa, nell’edizione che Feltrinelli si affrettò a proporre, è assortito di un centinaio di pagine di note di scena che in realtà sono caratterizzazioni ideologiche, e da un altro centinaio di “Delucidazioni storiche”.
“Solo con noi, solo\ con la Chiesa, e non contro di noi,\ il fascismo è invincibile”, spiega il nunzio papale a Berlino al giovane gesuita Riccardo Fontana che ne sarà vittima, alla prima scena dell’atto primo. Nella quale invece il tenente delle SS Kurt Gerstein, medico e ingegnere, denuncia lo sterminio. Il tema del “Vicario”, cavalcato all’epoca dalla stampa, e poi da una certa storiografia, contro la chiesa cattolica, è un atto da guerra fredda: “Il signor Molotov l’ha capito anche lui”.Il rifiuto della condanna di Hitler per non avvantaggiare Stalin sarà il leitmotiv.
In questa prima scena ha già fatto il suo ingresso Pio XII, in nota, come “un autocrate”, lui come Hitler: il dramma storico “schilleriano” è un lunghissimo pamphlet contro Pio XII. Di cui ancora oggi non si vede la ratio, se non appunto nel quadro della guerra fredda: non si tratta di protestanti contro cattolici, né di laici contro credenti, ma solo di Pio XII. E del suo successore Giovani XXIII, all’epoca regnante, di cui un cardinale cinico nella pièce ha il fisico e la storia personale. In esergo, tra i tanti Camus, Mauriac, Kierkegaard, c’è il cardinale Tardini, segretario di Stato di Giovanni XXIII - oltre a un santino dello stesso Pio XII, “Il Grande”. I vezzi toscani di Ippolito Pizzetti sottolineano nella traduzione il tono polemico e derisorio.
La scena madre, all’atto terzo, intitolato “Il gran rifiuto”, agita un papa anticomunista, che nulla smuove alla condanna di Hitler: “Solo Hitler difende oggi l’Europa”. Benché lo consideri, sempre freddo, un assassino: “Hitler combatterà fino alla morte\ perché per l’assassino non c’è più perdono”. Questo il giorno dopo il 16 ottobre. Il 16 la razzia degli ebrei romani è inscenata in via di Porta Angelica, sotto gli appartamenti papali. E anche i gesuiti, cui pure appartiene il giovane prete Fontana che s’immolerà per testimoniare lo sterminio degli ebrei, hanno “istruito\ personale specializzato per la Russia,\ che al seguito di Hitler,\ vale a dire dell’esercito tedesco,\ dovrebbe fondare missioni”. Tipiche contraddizioni, di carte ammonticchiate alla rinfusa, di “materiali”, non di ricerche, tantomeno storiografiche. Le fonti sono il barone Ernst von Weizsäcker, il segretario di Stato agli Esteri di Hitler poi ambasciatore in Vaticano, Gerald Reitlinger, il collezionista e esteta britannico che scrisse la storia dell’Olocausto per ridimensionarne le cifre (si deve a lui il conteggio di 4,5 milioni di vittime dei campi della morte, invece di 6 milioni), Walter Schellenberg, generale delle SS “pentito” a fine guerra, e Kurt Gerstein, l’ufficiale delle SS la cui memoria si andava riabilitando, dopo una prima condanna in Francia alla liberazione, che Hochhuth eleva a personaggio centrale della rappresentazione. In generale, il nazismo è la chiesa: roghi e scomuniche – le SS sono i domenicani, Tommaso d’Aquino Himmler…
I “documenti” e le “rivelazioni” che hanno fatto seguito alla caduta del Muro concordano che Hochhuth venne rifornito e ispirato per questo lavoro dai servizi segreti sovietici, via i servizi satelliti rumeni, i cui materiali gli sarebbero stati passati attraverso alti ufficiali tedesco-orientali. Ma questo si vedeva già nel 1962. Hochhuth, esordiente, fu esibito rappresentato, con grandi mezzi e notevole apparato pubblicitario, da Erwin Piscator, alla Freie Volksbühne di Berlino Est. I partiti fratelli furono mobilitati come per la più popolare delle cause. Il settimanale del Pci “Vie Nuove” si occupò di sottolineare la rappresentazione a Berlino Est con un dossier di quaranta pagine contro Pio XII. Il drammone viene riproposto on demand da Wizarts come quello da cui è tratto il film di Costa Gavras “Amen” – il film è giocato sulla figura di Gerstein, l’SS che condanna Auschwitz, dove opera, non su Pio XII. Ma all’epoca Feltrinelli ne approntò rapidissimo la traduzione, per un succès de scandale - in un’edizione peraltro ottima.
Il polpettone stesso è un vero dramma della disinformacija, surrettizio: in questo senso tutto funziona. E fastidiosamente revisionista: i tedeschi non hanno colpa, gli altri sì, olandesi, francesi etc. – e naturalmente Mussolini, che ha trascinato Hitler “in avventure folli\ e senza senso in Africa e in Grecia”. “Quanti tedeschi aiutano i fratelli” viene con l’esclamativo e non con l’interrogativo. L’eroe è il dottore ingegnere, e anche chimico, SS incaricato di preparare il veleno “giusto” per le camere della morte, il Zyklon B – ma non è un sabotatore di Hollywood, è uno che tiene famiglia (e un ebreo nascosto in casa…): “La coscienza quale istanza morale\ è assai poco sicura”, è il suo credo: “Sono convinto\ che anche Hitler segue la voce\ della sua coscienza”. Questo spirito nobile assolve naturalmente i tedeschi. Perché non sanno. Cioè sì, sanno, ma “che mai può fare\ il benintenzionato? Chi può condannare\ un uomo che non voglia morire per gli altri?”. I polacchi sono peggiori, gli olandesi, gli ungheresi, i francesi, gli ucraini, nella graduatoria di questo eroe SS  della resistenza. Edith Stein è stata denunciata dalle sue consorelle olandesi in convento…
La stessa nota alla scena prima atto primo ha fatto di Kurt Gerstein, sempre il medico-ingegnere-chimico incaricato del veleno per le stanze della morte, “un Cristo «moderno»” e “un essere eletto, un predestinato”. Segue Eichmann, come il Mefistofele goethiano nella cantina di Auerbach, in una sala giochi e bagordi, la “Taverna del Cacciatore”,  lui sì cattivo – è già stato giustiziato da un anno. Ma Eichmann “essere banale” ricorre nel discorso per l’assegnazione a Hochhuth del premio Gerhard-Hauptmann da parte delle autorità tedesco-orientali il 17 novembre 1962, alla vigilia della rappresentazione – a Berlino Est tutto era ferramente organizzato:  una primizia, il libro sulla “banalità del male” di Hannah Arendt uscirà a luglio del 1963, peraltro col titolo “Eichmann in Jerusalem”. Tutte le scene romane vedono “Sander”-Kappler, l’organizzatore del 16 ottobre, riflessivo e giusto, rigoroso. Benché già condannato – nelle note di regia – per l’“errore” delle Fosse Ardeatine, i cinque giustiziati in più rispetto al numero ordinato da Berlino. E uno che protegge il papa e i cattolici. La lista degli ebrei romani da razziare gliel’ha compilata Mussolini.
Molte pagine delle “Delucidazioni” sono impiegate a spiegare che gli Alleati sapevano dell’Olocausto – mentre i tedeschi non sapevano. Gli stessi che avevano impedito l’emigrazione in massa degli ebrei “quando goi ebrei dovettero lasciarci la notte del 9 novembre 1938” – questo per l’autorità di una giornalista, Ursula von Kardoff. La resistenza francese era una massa di opportunisti. A proposito della morte di Gerstein in un campo di prigionia francese nell’estate del 1945, forse suicida forse per mano di altre SS, Hochhuth accusa i francesi: “Non molti tra coloro che, dopo l’arrivo degli americani, incrudelirono contro gente disarmata e contro prigionieri tedeschi, portano a buon diritto il titolo onorifico di partigiano”. Gerstein fu una delle vittime di questa giustizia sommaria: “L’11 aprile 1952 il ministro della Giustizia francese dichiarava che dopo la Liberazione erano stati giustiziati 10.519 francesi, di cui solo 846 in base a regolare verdetto” – figurarsi i tedeschi… (la fonte è Reitlinger).
Hochhuth si manifesterà poco dopo apertamente revisionista. Dapprima col “dramma schilleriano” successivo, “Soldati”, in cui incolpa Churchill della guerra – ne vuole fare un criminale di guerra per i bombardamenti - e di alcuni delitti contro la nobile nazione polacca. Era il 1967, quando la Polonia ribolliva contro il regime filosovietico. Ultimamente sarà scoperto negazionista, al fianco di David Irving. Con il quale aveva collaborato nel 1967 per “Soldati”, per la storia del generale Sikorski, primo ministro del governo polacco in esilio, morto in un incidente aereo, che i due avevano trasformato in intrigo ordito da Churchill - una versione, per la quale i due saranno poi condannati in giudizio, proposta da Irving, conquistato dal “Vicario”. Ma nel “Vicario” non si nasconde: la colpa è degli altri, a partire naturalmente dal papa, la loro massima autorità morale .
Himmler, il capo delle SS, è… un gesuita.– sull’autorità di Schellenberg, il generale SS “pentito”. E un pedante, nient’altro: “Egli ha organizzato le SS secondo\ le regole di Ignazio di Loyola\ e ha studiato, da pedante  quale è,\ e quale in ogni occasione si dimostra,\ un’intera biblioteca gesuita….”. Himmler è anche di buon cuore: “Non riesce a sopportare\ la vista delle vittime che muoiono”. Anche se non può non essere Himmler: già sospetta origini slave nel generale Manstein, che ha condotto le armate tedesche nella vittoria, “perché si chiama Levitsky, o qualcosa del genere”. Von Hassell, l’ambasciatore nazista a Roma, è anche lui uno che chiede: “Perché Galen è stato lasciato solo?” Von Galen, il vescovo di Münster, che aveva attaccato dal pulpito le deportazioni degli ebrei – ma solo degli ebrei battezzati, Hochhuth non si evita di sottolineare.
Un repertorio, si può dire, del revisionismo agganciato alla guerra fredda. Napoleone è Hitler, anche lui. Linferno di Auschwitz è accomunato a Dresda e Hiroshima. Il quinto atto, “Auschwitz o la morte di Dio”, è aperto in nota con una citazione di Celan, “della sua bellissima poesia «Todesfuge»”, e con l’impensabile del campo della morte:  “Il fatto che oggi si possa visitare Auschwitz come il Colosseo, non riesce affatto a convincerci che diciassette anni fa possa essere stato costruito nel nostro mondo reale questo immenso complesso industriale, dotato di un proprio nodo ferroviario, soltanto per uccidere a mezzo di uomini normali, che oggi si guadagnano il loro pane come portalettere, giudici, pedagoghi, commessi viaggiatori, pensionati, segretari di Stato o ginecologi, altri essere umani”. Ma l’indignazione è solo uno degli argomenti tedesco-orientali contro la Repubblica Federale di Bonn – la mancata o insufficiente denazinificazione. Hochhuth, di suo, è un nazionalista negativista. 
Rolf Hochhuth, Il vicario, Wizarts, pp. 432 € 26

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