Conoscenza – È
scientificamente fallibile, di “provato” ha solo questo. È un processo non un
esito, interminabile.
Fede – Nel cristianesimo
è un calcolo. Così Heidegger al § 109 del quaderno nero “Riflessioni XIII”: “Il
cristianesimo è l’estrema umanizzazione dell’uomo, ed è la divinizzazione del
suo Dio”. Basandosi sul calcolo della salvezza dell’anima: “Tutto ciò che è
divino è commisurato a questa salvezza”.
La
chiesa ha invece una funzione, continua Heidegger: “La fede nella chiesa
tuttavia conserva – già in forza della tradizione che in essa si mantiene – la
capacità di una consolazione e di una prospettiva e un rifugio”. La fede come
consolazione, dunque, anche in senso filosofico, sia pure un credere a vuoto?
Lo “healing power of faith” è la
copertina dell’ultimo “National Geographic”, il potere di guarigione della
fede. E il camminatore non può non concordare, se si muove a Roma, passando di
fronte alle tante edicole di santi e madonne contornate da ex voto e attestazioni
di “grazia ricevuta” incontestabili.
Infinito – È il mondo in
realtà, il mondo fisico – non distinto di fatto dall’immensità. Popolato da
miliardi di galassie, che si allontanano a velocità superiore a quella della
luce, in uno spazio intergalattico quindi non misurabile. E non esclusi più
mondi.
È indistinto, già concettualmente.
Soprastante, confusamente. Come le galassie e i “vuoti” intergalattici, e non
ha tempo. Che è lì ma inerte, non trascorre. Il mondo è il prodotto di una
nebulosa primitiva, non intelligente benché complessa. E dunque che ci
facciamo? L’uomo in quanto essere vivente non esiste, non in teoria: ognuno è
cento miliardi di neuroni, ancora da sistemare. E una sogliola senza spessore,
secca. A due dimensioni o undici, come vuole il mattacchione Gödel, o a un milione, è sempre
Bertrand Russell un secolo fa: più analizziamo il mondo fisico, più vario e
complesso lo scopriamo. Ogni fantasia è possibile, non predeterminata – compresa la memoria ma
non la storia. Figurativamente, in questo mondo interminabile se non infinito,
i sei miliardi, o siamo già nove, di essere umani sono un punto, di una
superficie senza limiti – senza nemmeno piano.
Realismo
-
Il professor Giovanni Bignami di Pavia ha trovato una stella a cui ha dato nome
Gemina. Poliglotta per gh’è minga, la
stella che non c’è. Per questo motivo forse non ha potuto vederla, ma sa che è
fatta di neutroni, che non è distante, solo cinquecento anni luce dal sole
(cinquecento? cinquecentomila? cinquecento milioni?), e che è veloce, va a
centoventi chilometri al secondo. Ora, come fa a vederla, dato che è già
passata? Il professore non fa in tempo a rialzare il capo che la stella che non
c’è, è già passata. Ma non ne ha colpa. In un universo in cui tutto va veloce -
il diametro della sola galassia della Terra è di centomila anni luce – e fa vedere
al telescopio il 5 per cento di sé, il Bignami si pone al centro della metafisica:
cosa sono le cose, gli esseri, il mondo, che col tempo si scopre vuoto. È il
problema posto da Alexius Meinong da Graz. Che Lord Russell voleva sminuire
opponendogli il buonsenso: per un 51 per cento la realtà è effettuale. Ma
comprendendovi i cavalli alati. E il 49?
Le stelle, un tedesco le ha contate,
sono sette con nove zeri – un settilione, dice lo scopritore stupito, e non sa
che dice sette per suggestione della Bibbia, quale numero incalcolabile. Un
secolo fa c’era la Via Lattea, con miliardi di stelle e nuvole di gas. Ora ci
sono galassie come polvere nell’universo. Che po-trebbe non essere solo, ma uno
di un multiverso. Lo scientismo, che sem-pre regna, non riesce a capirlo: la
scienza non conduce in nessun posto, sempre ferma davanti al mistero della
creazione, della stessa scienza. L’universo osservabile è profondo solo
quattordici miliardi di anni luce. Forse per questo non se ne hanno notizie, la
luce è veloce, il suono lento.
C’è un realismo al fondo della nostra
concezione nel mondo. Anzi, prima che della nostra concezione, del modo di
essere del mondo. La fisica odierna, quantistica e del caos, lo riconosce, di
non poter venire a capo dei processi più semplici della materia, pur essendo
arrivata all’infinitamente piccolo. La fisica è teistica, l’infinito, piccolo o
grande, è fuori dalla pretesa moderna di sperimentazione, è la non fisica.
Storia - Quantitativamente
l’uomo sarebbe una virgola nella storia, se la storia ci fosse – la storia
umana, si legge nei sussidiari Usa, occupa pochi secondi se la storia
dell’universo si comprime in un giorno. Ma non c’è storia in cielo, non nel senso
del progresso, il mondo muta per caso, e si può solo misurare, quantità, massa,
velocità. Rusell, Meinong e il mondo lavorano per dare ragione a Campanile, il
cui solido fondamento è: “Si è vivi per un minuto, si è morti per l’eternità”.
La storia degli uomini è peraltro diversa
da quella dell’universo. Questa è democratica, uguale in ogni suo punto, quella
premia il successo - che è solo all’apparenza una tautologia, direbbe Darwin.
L’umanità si
può pensare come Eta Carinae, una delle stelle più massicce e luminose note
agli astronomi, centocinquanta volte più grande del sole e quattro milioni di
volte più luminosa, che dalla Terra, a una distanza di diecimila anni luce, si
vede abitualmente pallida, ma che di tanto in tanto, per ragioni ancora ignote,
ha uno scoppio di energia. Nello scoppio del 1841 divenne la seconda stella più
luminosa, per poi acquattarsi dietro le sue nubi. Siamo stelle instabili. O
fuochi di paglia, non entreremmo in un catalogo di fossili, non lasciando
traccia. La nostra galassia ha quattrocento miliardi di stelle. Che solo a
contarle prendono molto spazio. E l’universo ha galassie a miliardi – e se ci
fosse anche un diverso, e un triverso? La materia morta che riempie lo spazio
cosmico, diceva Kant, è per sua natura in stato d’inerzia e immutabilità. Ma
sulla terra, in questo bosco sconfinato di stelle, gli uomini sono vermoni
rumorosi, che si eliminano come in una qualsiasi altra catena naturale, più
spesso senza mangiarsi, per un bisogno cioè non elementare, e con la tendenza a
farci su una lezione. La verità del mondo non può essere terrestre, troppa ansia.
Tempo – Nel mondo incalcolabile il tempo che senso ha, che
peso? A parte l’ansia del prima e dopo, e della fine. Se un secondo può valere
più di una giornata. E i dinosauri, animali a tutti gli effetti fantastici,
sono realmente esistiti milioni di anni fa.
Il tempo si misura in milioni, miliardi di
anni. Quanti ne richiede la mutazione minima. È
il tempo dei tempi, misura senza metro. Ammassi globulari, grumi di centinaia
di migliaia di vecchie stelle, hanno venti miliardi di anni.
Cinquanta miliardi di galassie, o
cinquantamila miliardi, a 186 mila miglia al secondo, mandano informazioni
vecchie di eoni. Di due, cinque, dieci miliardi di anni fa, di quando il mondo
ebbe origine. Se ebbe origine. E il messaggio è flebile, non arriva quasi nulla
dallo spazio se non questa luce che non illumina, fredda.
Mille miliardi di anni luce sono un
tempo infinito. Che è un ossimoro, il tempo è breve. È giovane, la scoperta del
tempo è recente, si contava per genealogie, e in alcuni posti deve ancora
nascere.
Verità – È un processo
non un fatto o un evento: è il processo della conoscenza, per tentativi ed
errori. Dimostrabile, come in tribunale, dove tutto è da dimostrare.
Vita – Che venga dal caso-caos è più o meno
illogico (possibile) che la creazione?
zeulig@antiit.eu
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