Umberto Eco – Pagato il
tributo alla persona, accattivante e magistrale (e
popolare: ”Come viaggiare con un salmone”, il primo Eco proposto da “Repubblica”,
ha rianimato stamani le edicole, vendendo più del quotidiano), resta la valutazione
dell’opera. Un riferimento costante sarà Roland Barthes, un influsso che
paradossalmente non si cita, sulle cui tracce Eco si muoverà a fine anni 1950,
dopo gli studi di Scolastica, nell’approccio alla semiologia. Un altro agli
studi di linguistica, da Saussure e Peirce a Tommaso d’Aquino e Occam. Un altro
alla cultura di massa o popolare, dalla figlia del Corsaro Nero a Mike Bongiorno,
dalla tesi di laurea a Moana. Di cui saranno espressione il lavoro
giornalistico e gli stessi romanzi.
L’unanimità delle commemorazioni in morte è invece espressione di una
cultura da lui avversata, quella che per brevità si dirà dell’allora Pci –
specialista peraltro in funerali. Che lo ebbe sempre in dispetto, e gli esiti
si vedono, oltre che nelle stroncature (e più spesso nelle omissioni) dei suoi
giornali, nell’avversione dei suoi maggiori calibri, Calvino, Pasolini, perfino
Cases – tanto più “picisti” purtroppo quanto meno si sentivano legati all’ortodossia
politica del partito. Con Pasolini, che lo faceva squallido “capocordata” di un
branco di giovani (ma Eco aveva sui quarant’anni ed era in cattedra all’università
da tempo) in cerca di posti nei giornali, la polemica fu spicciola: ai toni
arrabbiati Eco rispose sempre con levità. Il tono più alto fu raggiunto sull’aborto:
Pasolini assurdamente avversò la legge che, a protezione della donna, lo
legalizzava, Eco ne rilevò divertito l’assurdità, firmandosi Dedalus sul “Manifesto”.
Di Calvino, che fu tante cose, anche un
censore di “non allineati”, per esempio Morselli e lo stesso Eco, basti la lettera
inclusa in “I libri degli altri” (un libro che non si è ristampato, dopo la prima
edizione, venticinque anni fa…), l’antologia dei suoi pareri e delle corrispondenze
editoriali. Calvino rifiutò nel 1962 un saggio di Eco per la rivista “Il Menabò”
con parole spregiative. Da un lato rinfacciandogli la difesa delle avanguardie
letterarie, “discorso troppo generico e invecchiato”. Dall’altro le righe spese
sulla cultura popolare o di consumo, di cui si faceva all’epoca gran parlare - il
saggio si intitolava “Del modo di formare come impegno sulla realtà”: “Parli troppo di canzonette: questo involgarisce il discorso.
Cos’è questo Claudio Villa? Cos’è questo Festival di S. Remo? Mai sentito
nominare!”.
Filosofo e letterato, da Dante a Joyce. Ma incuriosito dalla “letteratura
di consumo”, dalla “cultura di massa”. Il terzo dei suoi tre “scaffali”, ma di
gran lunga quello che più lo segna, anche per l’attività giornalistica. Una
chiave derivata dalle “Mitologie” di Roland Barthes, di cui si pubblicò la
raccolta – che fece epoca - nel 1957, quando Eco cominciava a guardarsi
attorno, alla Rai a Roma e nell’editoria a Milano. Nei tre anni precedenti il
semiologo francese, il “padre” che mai si cita di Eco, si era divertito a fare
la “semioclastia” degli eventi comuni per alcuni periodici, soprattutto per “Les
Lettres Nouvelles”: il Tour, le
patate fritte, Greta Garbo, “Billy Graham al Velodromo d’Inverno”, i kolossal sui romani, oggi peplum, “La critica del né né”, le guide
Blu.... Queste mitologiche saranno un genere che Eco non smetterà mai: l’analisi
dei fatti politici e di cronaca, le mode, le innovazioni. Tra narrazione, satira
e moralità, cioè leggibili oltre che utili. Ma indubbiamente dispersivi.
Gli altri due scaffali sono la semiologia e i romanzi. Eco si è
sprecato? Anzitutto, voleva sprecarsi: l’insegnamento gli piaceva, e così pure
la conversazione. E poi si voleva uomo del tempo: non lo specialista avulso che
coltiva il suo orto ma uno che vive nel suo tempo e cerca di capire cosa fa e
cosa gli fanno fare. Le sue “semioclastie” sono peraltro spesso approfondite.
Da Mike Bongiorno al “Conte di Montecristo”. Ora sembra una bizzarria, ma i
primi due decenni dell’attività critica di Eco, dal 1955 al 1975 circa, erano
dominati da queste tematiche: la cultura di massa o di consumo, la cultura
popolare. Eco, che da studioso dei linguaggi si avocava una “naturale vocazione
politica”, si fece un obbligo di approfondirle. E i risultati sono ancora apprezzabili:
“Il superuomo di massa”, “L’ideologia del romanzo popolare”, con l’esempio del
socialista Eugène Sue (“I misteri di Parigi”), “I Beati Paoli”. O il lungo
saggio sul “Conte di Montecristo”. Anche perché critici, contenuti rispetto
agli entusiasmi dell’epoca.
Il bon mot sul “Conte di
Montecristo” è anche la chiave del suo secondo “scaffale”: “«Il conte di
Montecristo» è senz'altro
uno dei romanzi più appassionanti che siano mai stati scritti e d’altra parte è
uno dei romanzi più mal
scritti di tutti i tempi e di
tutte le letterature”. All’ultimo – o perlomeno nelle interviste promozionali –
ci teneva, ma questa è la chiave dei suoi romanzacci: un esperimento. Fabrizio
De Andrè lo leggeva “come Stendhal”. Ma è tutt’altra pasta: Stendhal romanzava il
suo tempo, Eco ha romanzato il romanzo. Quello “popolare” (gotico, storico, d’avventura).
Non contemporaneo, nemmeno a chiave - il
secondo “scaffale” era il suo modo di sfuggire alla calamità dell’attualità.
Giugno – Poco poetico, non
fa rima. “Giugn\ slarga el pugn”, Piero Chiara ci trova questa sola rima, in un
proverbio - nel suo calendario “Dodici mesi, un anno” (nella raccolta “Il verde
della tua veste e altri racconti”, cura di Federico Roncoroni).
Manzoni – Faceva pesare i
pantaloni, per saggiarne la consistenza in rapporto alla variazione della
temperatura, e li cambiava a ogni ora del giorno. Metereopatico, oltre claustrofobico?
Umorale?
Padre – Sono tutti di
padri i docubiofilm che si proiettano alla Casa del Cinema a Villa Borghese a
Roma. Tutti di gente del cinema: registi, attori, sceneggiatori. Quasi tutti di
figlie.
Peplum - Perché non
unificare, ecumenicamente, il velo islamico che tanto infastidisce in questo latino
rum? I kolossal americani di ritorno, che già venivano chiamati “peplum” a Hollywood
al tempo di “Ben Hur”, potrebbero veicolare opportunamente il messaggio, per un
po’ più di pace.
Professore – Tutti hanno
avuto un professore o una professoressa memorabili, per qualche verso. I più ne
hanno avuto uno\a eccezionale, anche Eco per dire. Ma fino a un paio di generazioni fa, poi la professione
si è perduta, o è scaduta, anche solo nella considerazione. Annegata nel
vituperio generale della scuola. In nome di non si sa che cosa? L’autoreferenzialità?
il tipo 5 Stelle, tutti nati imparati.
Ma, poi, è della scuola pubblica che si parla male e malissimo, per
favorire il business privato: le avanguardie
degli studenti non lo sanno, e i professori stessi, così impegnati a scalzarsi
i piedi e ogni altro fondamento, e questo è segno evidente della decadenza della
professione.
Terrorismo – “Yasmina
Khadra” ha vissuto da milutare in Algeria – era colonnello dell’esercito – il primo
Stato Islamico dei mozza teste, che ha combattuto. Ne ha anche fatto tema dei suoi gialli, per i quali è diventato
scrittore famoso. Che però gli hanno valso, confida a Stefano Montefiori per “Sette”,
il disprezzo e l’isolamento in Francia, suo paese di elezione da scrittore. Il
terrorismo è terrorista solo nelle culture “avanzate”. E lo è a doppio taglio, inducendo
il masochismo.
Lo scrittore algerino lo conferma con una seconda osservazione: di
terrorismo si parla come di un attacco all’Europa e agli Usa, all’Occidente,
mentre è ferocemente sanguinario soprattutto in Africa e nel Medio Oriente.
Verdi-Wagner – Si è celebrato
l’altro anno il bicentenario della nascita senza niente di nuovo. Soprattutto
non dei due nazionalismi, benché sempre più nettamente distinti, e anzi
opposti. Patriottico quello di Verdi. Sciovnista, estremo, Wagner. Che pure era
cosmopolita, più di Verdi. E per esempio un habitué
di Venezia e altri luoghi ameni in Italia. Ma sempre in odio alla musica
italiana – anche se dovette studiarla, adattarla, copiarla. Celebrato anche da
festival in pura chiave nazionalista, perfino razzista - seppure col supporto
entusiasta di una certa élite
ebraica. La musica è la musica, il programma è però ben miserevole.
Viaggio - “Mestiere attivo, pensoso, errabondo e
dissipato” fa Diderot nel “Supplemento al viaggio di Bougainville” quello del
viaggiatore. O anche no, è sempre il viaggio in una stanza: “Se il vascello non
è che una casa flottante, e se si considera il navigatore che attraversa spazi
immensi rinchiuso e immobile in un recinto, lo si vedrà fare il giro del mondo
su una tavola”.
letterautore@antiit.eu