Claudio Sabelli Fioretti fa l’elogio
“senza vergogna”, nella sua omonima rubrica su “Io Donna”, delle primarie
democratiche del partito Democratico. Che consentono a Verdini, luogotenente
(ex) di Berlusconi, di votare il Pd Giachetti a Roma. Mentre il partito arruola
allo stesso scopo “noti ex comunisti provenienti dall’impero di Mao”. Bravi,
dice, e auspica che “la prossima mossa” sia far votare “anche i cinesi
all’estero”, quel miliardo e mezzo sparso fra la Cina e il resto del’Asia.
Giusto: la quarta sponda perché non sarebbe meglio la Cina, invece della Libia?
Ma Claudio fa un errore,
stigmatizzando chi lamenta che “all’appuntamento dei gazebo si presentano
troppe persone piccole e con gli occhi a mandorla”. I cinesi non sono
mediamente piccoli, e possono anche essere grandi. Quelli del Nord, e anche
molti del Sud. Hanno misure piccole, e hanno per questo creato problemi negli
anni ruggenti delle lavorazioni dell’abbigliamento in conto terzi a façon, perché hanno ossatura sottile –
la loro L è la nostra S. Ma anche i francesi ce l’hanno. E la loro è robusta.sabato 12 marzo 2016
Il femminismo è borghese, nell’ombra
L’insormontabile
classismo britannico dentro la più ampia e determinata rivendicazione femminile
un secolo fa, quella per il voto alle
donne in Gran Bretagna. Un tema promettente. Tanto più per essere il film di
una regista di famiglia super upper class
– padre milionario laburista, e baronetto, madre vice-sindaco di Londra. Ma
svolto con timidezza e anzi confuso. O svigorito in fase di montaggio, dalla
produzione o dalla stessa regista, a maggior gloria di quella che oggi sarebbe
una battaglia “civile”, dei belli-e-buoni senza distinzione di classe.
Questo è quello che il pubblico è portato a vedere. Giocando anche sul richiamo di Meryl Streep, che invece è in scena per solo mezzo minuto. E proprio in quella che avrebbe dovuto essere probabilmente la scena madre, con la borghesissima Emmeline Pankhurst che esce dal rifugio ben protetta, dalla stessa polizia, per incitare all’“armiamoci e partite”. Anche il doppio standard della polizia, uno con le povere e un altro con le ricche, è lasciato infine in sordina, nell’indistinto generale.Un racconto incongruente. Oltre che bizzarramente triste, per essere di lotte e di lottatrici, di una rivoluzione alla fin fine.
Le donne del film non si capisce perché si ostinino, in una rivoluzione che è delle signore bene politicanti, loro che sono operaie, licenziate per il militantismo, picchiate dai mariti o cacciate di casa, quanto sono sporchi e cattivi i poveri, private dei figli, privilegiate dai manganelli e le carceri. E passive, esauste: mettono le bombe e non sanno perché. Il coevo antifemminista Marinetti richiamando subdolo, della prosa “Il disprezzo delal donna”, 1911: “In questo sforzo di liberazione, le suffragette sono le nostre migliori collaboratrici, poiché quanti più diritti e poteri esse otterranno alla donna, quanto più essa sarà impoverita d’amore, tanto più essa cesserà di essere un focolare di passione sentimentale o di lussuria. La vita carnale sarà ridotta unicamente alla funzione conservatrice della specie”.
Sarah
Gavron, Suffragette
Questo è quello che il pubblico è portato a vedere. Giocando anche sul richiamo di Meryl Streep, che invece è in scena per solo mezzo minuto. E proprio in quella che avrebbe dovuto essere probabilmente la scena madre, con la borghesissima Emmeline Pankhurst che esce dal rifugio ben protetta, dalla stessa polizia, per incitare all’“armiamoci e partite”. Anche il doppio standard della polizia, uno con le povere e un altro con le ricche, è lasciato infine in sordina, nell’indistinto generale.Un racconto incongruente. Oltre che bizzarramente triste, per essere di lotte e di lottatrici, di una rivoluzione alla fin fine.
Le donne del film non si capisce perché si ostinino, in una rivoluzione che è delle signore bene politicanti, loro che sono operaie, licenziate per il militantismo, picchiate dai mariti o cacciate di casa, quanto sono sporchi e cattivi i poveri, private dei figli, privilegiate dai manganelli e le carceri. E passive, esauste: mettono le bombe e non sanno perché. Il coevo antifemminista Marinetti richiamando subdolo, della prosa “Il disprezzo delal donna”, 1911: “In questo sforzo di liberazione, le suffragette sono le nostre migliori collaboratrici, poiché quanti più diritti e poteri esse otterranno alla donna, quanto più essa sarà impoverita d’amore, tanto più essa cesserà di essere un focolare di passione sentimentale o di lussuria. La vita carnale sarà ridotta unicamente alla funzione conservatrice della specie”.
Di
Emily (Davison), personaggio storico, che alla fine muore – non volendo - per la
causa, ignoriamo lo spessore resistenziale: una che in pochi mesi fu
imprigionata nove volte, e contro gli scioperi della fame subì una cinquantina
di nutrizioni forzate, una specie di tortura. Dopo aver cercato più volte, per
anni, un acculturamento universitario e una qualificazione che la redimessero
dal lavoro di bambinaia. Un altro effetto mancato: il radicalismo è piccolo
borghese.
Quello che Draghi ha fatto veramente
La prima risposta in Borsa al
pacchetto Draghi di giovedì è stata positiva, ma non perché la Bce ha adottato
i tassi negativi, al contrario, perché non li ha adottati. Il pacchetto è più complesso
e va spiegato. Anche perché la Bce viene da un errore: Draghi ha dovuto prendere misure
innovative, e annunciare la determinazione a misure ancora più incisive, per
ribaltare l’esito catastrofico dei tassi negativi imposti alle banche a dicembre, che hanno prodotto
un primo trimestre disastroso per gli spread e le quotazioni, sopratutto delle
banche - in particolare delle banche italiane.
Che la risposta positiva dei
mercati sia durevole, resta peraltro da vedere, stante la rozzezza delle
reazioni tedesche. Tutte negative, e molto aggressive. Anche perché non
ragionate ma giocate sul nazionalismo, anche quelle degli istituti di ricerca –
un incredibile “leghismo” attanaglia la Germania di Merkel: un regalo ai “latini”
o mediterranei, specie all’Italia, un salvataggio di banche fallite (che poi
sono soprattutto le tedesche…), un furto sul patrimonio tedesco in conto corrente
(un canale molto usato in Germania). La Germania è in grado di spazzare via
ogni ottimismo.
Nell’attesa, è utile sapere
che: 1) Draghi non ha accentuato i tassi negativi, che avrebbero colpito la
redditività delle banche, ma ne ha limitato l’accentuazione a una misura
simbolica, dello 0,1 per cento. E
ha escluso altre riduzioni. Dopo la risposta negativa che la stessa Bce ha
avuto a partire da dicembre, e poi da gennaio in Giappone, da parte delle banche
e degli investitori. 2) Ha soprattutto introdotto
un sistema aggressivo di “targeted longer-term refinancing operations” (Tltro),
una spinta alla riapertura del credito alle imprese, a lungo termine, pagando
ottime condizioni di rifinanziamento alle banche che predentano collaterali solidi.
Un sistema, il “finanziamento al credito” (funding
for lending) già messo in opera con successo dalla Bank of England a luglio
del 2012. 3) Poiché la deflazione continua a serpeggiare, per la lentezza del recupero
delle economie più colpite dalla crisi, ha posto la novità di giovedì nel contesto
di un arsenale più vasto e determinato – “quanto basta”.
venerdì 11 marzo 2016
Problemi di base - 268
spock
Sta socratico per buggeratore, senza verità?
Non mi contraddirò contraddicendomi?
“Se Socrate fosse stato donna non se ne sarebbe
parlato bene” (Marie de Gournay)?
Perché parlare bene di Socrate?
Perché parlarne male?
“Che ne so io?”, dice Montaigne socratico: e noi,
allora?
Ma sapere è possedere, una cosa, un’idea, un dio?
Socrate sapeva di non sapere? Che cosa?
spock@antiit.eu
La gaytudine si fa i dispetti
Perché ci sono tanti mendicanti?
E tanti marchettari no, non sono un problema? Si potrebbe chiuderla qui, con
queste moralità di Buffoni, poeta pure sensibile, e traduttore “scientifico”.
Ma c’è una complicazione: perché tanti mendicanti a Roma, si chiede il poeta
sceso da Gallarate. Non ce ne saranno anche al suo paese – ce ne sono in
rapporto alla popolazione? Cioè: il leghismo è virus onnivoro. Ma qualcosa da
leggere è sfuggito alla indignazione.
Su tutto la “traduzione” di Irma,
del racconto già famoso “Calabria e Piccadilly”: la figlia della portinaia
calabrese a Roma, di casa presso una coppia di inquilini senza figli, inglesi
insegnanti di inglese, che da adulta è una in città “(“siamo una coppia
lesbica”) e una in Calabria (“questa è la mia amica”), in automatico. O Maria
Luisa Spaziani sessanta-settantenne raggiante dopo una gita con un “padre di
famiglia e affermato professionista”, che era stato suo spasimante quando lei
insegnava francese al liceo e lui ra suo allievo – dedicatario di bei versi
gozzaniani: “O tenerezza che la forza ispiri\ O forza che mi ispiri tenerezza”.
Aneddoto sapido specie per chi Spaziani ricorda musa autocertificata per molti
anni di Montale, nonché sposa per una notte di Elemire Zolla – la poesia ama
l’amore.
Qui Buffoni potrebbe fare un’altra puntata: perché Cefis non s’impossessò poi dei manoscritti di “Petrolio”. Ma non si può scherzare sull’assassinio di un poeta. Anzi, il morto non andrebbe nemmeno legato, lui come tutti i gay, all’immancabile carica di marchette, ancorché giovani, tutti furbetti e i più omofobi. L’omomania è insaziabile? O le gioie della gaytudine, che Buffoni professa ogni due pagine, si vogliono dispettose, pettegole?
Qui Buffoni potrebbe fare un’altra puntata: perché Cefis non s’impossessò poi dei manoscritti di “Petrolio”. Ma non si può scherzare sull’assassinio di un poeta. Anzi, il morto non andrebbe nemmeno legato, lui come tutti i gay, all’immancabile carica di marchette, ancorché giovani, tutti furbetti e i più omofobi. L’omomania è insaziabile? O le gioie della gaytudine, che Buffoni professa ogni due pagine, si vogliono dispettose, pettegole?
Anche alcune “cose viste” si
fanno leggere. Ma troppe affogano nel già visto, per quanto indignato, per
difetto di meraviglia e eccesso di moralismo. Soprattutto l’omofobia. Di cui
certo non si dice abbastanza male, ma allora senza il carico di ragazzi di
vita, che sarà inevitabile ma è indigesto al martirio e al lettore, l’omoerotismo
riducendo al porno, a pagamento. Di più pesa l’irredentismo gay, come di un
modo separato, con barriere ad alto voltaggio – un “chi tocca i fili muore”,
forse, per rompere l’indifferenza? Fino al popovismo. Buffoni fa scienza gay
l’informatica, dal perseguitato Türing risalendo a Ada Augusta Lovelace, la
figlia di Byron che teorizzò il computer. Dopo aver fatto di Byron, padre di
Ada, che non fu lesbica, un gay coperto - e pensare che Stendhal lo trovò
concorrente imbattibile con le migliori dame milanesi, avesse incontrato prima
Buffoni… O il solito polpettone su “Petrolio” e il complotto contro Pasolini, a
opera di Cefis.
Franco Buffoni, Il racconto dello sguardo acceso, Marcos ultra,
pp. 247 € 14
giovedì 10 marzo 2016
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (278)
Giuseppe Leuzzi
Gianfranco Rosi fa la luce grigia in
“Fuocoammare”, il film su Lampedusa. Non solare, un altro Mediterraneo, quello che viviamo: livido, di
morti.
È inevitabile pensare che l’Europa non
giova al Mediterraneo. Le migrazioni di massa, i salvataggi, gli eroismi anche
della Marina, tra technicalities e
imprese vere e proprie, come localizzare un barcone di notte , senza coordinate
e senza luna, in altra epoca sarebbero stati solari. Il Nord non giova al Sud,
se non a distanza – non ha l’alito buono.
Le mostre etniche non mordono. Se ne
sono fatte due a Roma questo inverno, semideserte. Mattia Preti non ha attirato
i calabresi, eccetto qualche professoressa esiliata a Roma, malgrado fosse
esposto a villa Corsini, palazzo e giardino da sogno. La Via Lauretana non
attira i marchigiani, qui proprio nessuno, benché anch’essa in sito affascinante,
san Salvatore in Lauro, dietro piazza Navona e via dei Coronari. Entrambe, per
di più, gratuite. Il tribalismo pesa
solo sul Sud.
La moglie di Failla, il tecnico rapito e
ucciso a Sabratha, ce l’ha con Mattarella e Alfano: “Non hanno fatto
abbastanza”. Non con Renzi, non con Gentiloni: e l’ha con i due siciliani
eminenti a Roma. I quali che dovevano fare non si sa ma questo è molto
siciliano, di vituperarsi vicendevolmente, ben diversa la reazione della famiglia Piano, in Sardegna.
Nulla però al confronto con i
“colonnelli” libici, la Sicilia ha ancora da imparare – quanto a parole a
vuoto, “tanto sappiamo di che parliamo”. La fabbrica delle parole è in effetti
meridionale, molto.
È anche, questa dei Failla, una maniera
per elaborare il lutto: esternarlo su un bersaglio, un punching-ball. Ma autolesionista: i media ne sono crudelmente
ghiotti come espressione quasi folk lorica, dell’eterno Sud: lamentoso,
irragionevole.
Nel “Secondo diario minimo” Eco
imbastisce un’utopia-distopia, “Italia 2000”, in cui, nell’Italia “divenuta una
confederazione”, il Sud si arricchisce vendendosi tutti i Mazzini e i Garibaldi, targhe e
statue, ai musei americani - “a un’asta da Christie un Nino Bixio in bronzo
aveva fruttato al comune di Bronte ottanta miliardi di dollari”. In
controtendenza rispetto a una “severa crisi economica invece per il
Norditalia”, in calo di natalità per l’espulsione dei meridionali, e di
vendite:: “Privato di uno sbocco sui mercati mediterranei, esso trovava
difficoltà a vedere vini ala Francia, orologi alla Svizzera, birra alla
Germania, calcolatori al Giappone e il nuovo modello Alfa Romiti alla Svezia”.
Tanto per ridere non è.
”Perché tanti giovani di famiglie
mafiose si laureano in Farmacia (Ilda Boccassini)? Prima pagina del “Corriere
della sera”.
Roberto Saviano si smarca oggi su
“Repubblica” dall’accusa di non essere propositivo sul vituperato Sud, e consiglia
vivamente la sua città, Napoli, di fregiarsi di una celebrazione: una
qualsiasi, una inaugurazione, un monumento, un centenario. Come dire: andate a
prenderlo in quel posto. Non si può stare con i nemici di Saviano, ma che si è
Saviano in quanto si odia e anzi si disprezza il Sud, questo è vero.
Sudismi\sadismi
“Vengono dal Sud con prezzi bassi in
partenza e si prendono gli appalti”, lamenta un sindaco emiliano - “da anni in
prima fila nella lotta al crimine organizzato”, dice “L’Espresso”. Che titola:
“Mafiosi in gita scolastica”.
A Moena vengono invece da Roma, e i
moenesi non sanno come fare. L’installazione nella capitale della mafia da
parte della Procura potrà aiutare?
I “prezzi bassi in partenza” impediscono
al valoroso sindaco le revisioni prezzi in corso d’opera – il mercanteggiamento
– cui era avvezzo.
Le
cose sono scrittura
Si ritrovano molte “cose” in “L’amata
alla finestra”, dimenticate ma non cancellate, una raccolta non eminente di
Corrado Alvaro e un po’ tirata via. Della persistenza della “cosa” – la realtà,
il fatto.
La cultura Alvaro dice infine una
farfalla, che vola via o si sbriciola. E invece è la più coriacea: le “cose”
addirittura durano, s’immortalano, tramite la parola. La citronella
(“ciceroncella). Il vino greco. Il maresciallo Delfino di San Luca, “il
carabiniere che non poteva sentir parlare d ladri senza mettersi a cercarli per
scommessa”. Il maestro Castagna e il metodo di alfabetizzazione “realistico”,
manesco. Il”Barone”, che è il “Sud”, in presenza fisica. Lo Jonio: “Il mare
Jonio respira pesante”, il mare tuttora della Magna Grecia – si parte da Smirne
e si approda, seguendo i venti e le orrenti, a Crotone – “dal respiro
profondo”.
Alvaro è scrittore di “cose”. Si dice di
miti ma no, è di cose: elementi, natura, eventi, anche i miti. Trasfigurati,
cioè fissati, ma solo in parte. È nella scrittura che le cose si immortalano e
sono.
Il
Nord è più a Nord
Tra gli aneddoti della raccolta “Il
racconto dello sguardo acceso”, Franco Buffoni ne ha uno della Germania. Di
quando, al volante di una Bmw 320 a iniezione, sull’autostrada Bonn-Colonia,
sulla corsia di sorpasso superò il limite di velocità: “A un tratto una
Mercedes che avevo superato d’impeto mi si fece vicinissima con i fari
abbaglianti sgranati, costringendomi a farmi da parte”. Dopodiché rallento “al
limite di velocità, senza mai rientrare nella corsia normale”, per impedire a
Buffoni il risorpasso. Buffoni dice: “Impedendomi fino a Colonia di consumare
la mia infrazione”. No, i tedeschi guidano veloci e contro le regole –
“vicinissima con i fari abbaglianti” è da codice penale. Che peraltro per la
velocità non ci sono non ci sono limiti di velocità sulle autostrade. No, la
Mercedes ha voluto dare una lezione alla Bmw dell’italiano - con targa
italiana. Di cui il nordista italiano magari non si accorge. C’è sempre un Nord
più a Nord.
“Beethoven
sordo spiegò a Rossini che l’opera non è per gli italiani” – G. Leuzzi,
“Gentile Germania”, p. 285 (“§ 13. Far cantare le musica” – Von Karajan”). Però, il Nord
esiste da vecchia data.
Il cancelliere austriaco Faymann,
socialista, che ha chiuso le frontiere dell’Austria e vorrebbe farlo anche
materialmente, con un muro, si era distinto l’anno scorso perché era andato in
Grecia e controllare l’afflusso dei rifugiati e aveva ripreso Atene: non era
abbastanza umana con gli immigrati. Che in Grecia sono stati 136 mila nei primi
due mesi dell’anno, mentre Faymann ne vuole ricevere solo 80 al giorno. Ma il
Nord ha sempre ragione: è proprio razzista.
Le
due Europe
C’è un Nord violento e un Sud anche sugli
immigrati. Oltralpe non solo non li vogliono, ma criticano anche Grecia e
Italia perché non fanno abbastanza. Abbastanza per che cosa? Respingerli? Affondarli?
Affamarli? Lasciarli in mare? Qualcosa del genere, che l’Europa oltralpe non
abbia a farsene un problema.
Si chiama Europa ma sono due mondi
diversi. Due civiltà diverse, forse anche due umanità, chissà - bisogna
rivedere la storia delle origini.
Ma questo non sarebbe un problema. Ognuno
con la sua identità, anzi, non sarebbe un male. Il problema è che il Nord si
vuole meglio del Sud, “questo” Nord, egoista, arrogante, stupido. E, peggio,
che il Sud si ritiene peggiore del Nord. Non solo sui giornali, che si possono
presumere prezzolati. .
Il
Sud profondo dell’antropologia
Gli studi antropologici italiani, da
Mantegazza e Pitré a De Martino e Cocchiara, a Lombardi Satriani, sono
concentrati quasi esclusivamente sul Sud. E viceversa: il Sud è prima di tutto
materia di ricerca antropologica, come nelle scienze coloniali. Subito
all’unità, non prima.
Sono gli studi che fanno la differenza.
Senza preclusioni, la scienza non ha pregiudizi, è ma è solo al Sud che ci sono
il malocchio, la magia, lo scongiuro, i filtri d’amore e il culto del sangue.
Anzi, non c’è altro Sud.
È una delle ragioni per cui i
meridionali non sono a loro agio nel “Sud”, il professionista come la
contadina. Magari ne ripetono le ragioni, ma a disagio, e senza via d’uscita –
non ce n’è fuori dalla tomba dell’antropologia.
leuzzi@antiit.eu
La vera storia di Lampedusa
Meryl Streep avrà avuto molte
ragioni a Berlino, al festival del cinema, per premiare Rosi. La luce grigia. La maestria delle
riprese e del montaggio. Le immagini parlanti, mai mute (superflue). Un parlato essenziale, pregno. Un Mediterraneo indifferente. La capacità
narrativa: tante scene resteranno memorabili, la filosofia della fionda, la
lezione d’inglese, il caffè dei vecchi coniugi, la radio locale, il subacqueo
solitario, il dialogo notturno con la civettina, la mangiata frontale degli spaghetti al sugo di seppia. E poi c’è il soggetto certo, l’immigrazione.
Lo spessore umano di questa storia accelerata, febbrile, quasi inverosimile - come di mandrie di bisonti, di zebre, di gnu, alla prima luce, incerta, nel bush africano. Ma piace
pensare che abbia voluto il premio perché infine vediamo cosa succede. Vent’anni
di sbarchi e ecatombi, 400 mila arrivi, 15 mila morti. E giornali, giornalisti
e tv a centinaia ogni giorno sull’isola, a migliaia, che non hanno visto nulla
e non ci hanno detto in realtà nulla.Il film è esteticamente molto
bello: semplice ma curato in tutto, nei dialoghi, le psicologie, le
ambientazioni, perfino nell’uso del dialetto, per chi può seguirlo. Ma è infine,
senza volerlo, senza polemica, un film verità. Prodotto – va aggiunto poiché si
celebra come un successo del made in Italy – dai francesi di Arte.
Gianfranco Rosi, Fuocoammare
mercoledì 9 marzo 2016
Ombre - 307
Il colonnello comandante delle forze
libiche a Sabratha non rende le salme di Failla e Piano se non dopo il
riscatto, in dollari e armi. Il gentiluomo ha anche diritto a un’intervista sul
“Corriere della sera”, da parte dell’ottimo (ingenuo? collaboratore?) Lorenzo
Cremonesi. Si fa presto a dire: “Liberiamoli”, liberiamo i libici.
Da chi? I quattro tecnici italiani rapiti in Libia erano in mano a una famiglia, con moglie e bambino, vicino a Sabratha e a un campo dell’Eni. Ai quali costavano caro, anche se gli davano poco da mangiare. Lo sono stati per mesi. Li cercavano veramente?
E questo ubiquo stato islamico, non sarà una favola? La Turchia chiede alla Ue sei miliardi, per avere i tre promessi da Angela Merkel. Altrimenti… Da un lato è affascinante, l’intramontabilità del vecchio Levante. Dall’altro è curioso: la Merkel non è poi così brillante? Davutoglu entra ed esce a Bruxelles col sorriso, e non è rictus.
Giovedì l’ambasciatore americano dà un’intervista al “Corriere della sera”, al solito guardinga, con le solite cose. Per ribadire che gli Usa vogliono in Libia anche l’Italia, ma senza fretta, dopo che ci sarà un governo libico, etc., senza forzature. Il giornale titola “All’Italia la guida in Libia. Ci aspettiamo 5 mila uomini”, e fa il dibattito politico per tutti questi giorni. Solo ieri l’ambasciatore precisa che non ha chiesto l’armiamoci e partite. Cioè, aveva ragione il giornale?
La Procura di Roma intransigente, che intende dare l’aggravante della premeditazione ai due assassini di un loro coetaneo, “per vedere l’effetto che fa”, pubblica tutto della deposizione di uno dei due. In maniera che l’altro sappia come imbrogliare le carte già al primo interrogatorio. Non può essere insipienza.
Il padre di uno dei sue assassini va a “Porta a Porta” a spiegare che non se lo sa spiegare, che suo figlio è buono. Col cadavere ancora caldo, di un assassinio spregevole, va in televisione: viene portato con la macchina di servizio, va al trucco, aspetta composto nei tempi morti, mentre si ripassa il discorsetto. Un’altra umanità?
Col cadavere del delitto gratuito, con torture e mutilazioni, ancora caldo, Bruno Vespa ritiene giusto e anzi meritorio far esibire alla sua trasmissione il padre di uno dei due assassini. Si può dire che è un’altra umanità. Ma è un’informazione disgustosa come il delitto.
Bastano 350 richieste d’asilo, in un anno, per far
vincere le elezioni in Slovacchia. Alla destra, e all’estrema destra
filonazista. Ah, quell’allargamento prodiano dell’Unione Europea: errore
colossale, per gli stesi vecchi rottami socialista ammessi. Siamo tutti
europei, poich stiamo in Europa, ma con juicio.
Il cancelliere austriaco Faymann si salva il posto
riducendo a 80 per richieste di asilo valutabili ogni giorno. È un socialista,
ma si guada le spalle: si vede che l’estrema destra è forte anche in Austria.
Dovremo erigere un muro anche contro l’Austria?
Il cancelliere socialista austriaco è anche il primo
che ha innalzato un muro. Non il primo il secondo, dopo l’ungherese Orban: il
fascismo è invasivo.
Faymann aveva molto criticato Orban. Anzi, perfino la
Grecia, perché non era abbastanza umana con gli immigrati – 136 mila arrivi in
due mesi, altro che 80.
Orgasmi in tv per la moviola in campo. Proprio dove si
dovrebbe sapere che la moviola è labile e variabile, e anche traditora. Molto
più dell’occhio umano. Basta un operatore abile o un regista non incapace
per variarne illuminazione, ombre, taglio, velocità, etc. Confondendo per di
più la moviola con la misura della palla, se ha oltrepassato la linea di porta,
tutt’altro strumento.
Ma non è incapacità: nel fondo è il desiderio di
complicarla ancora di più. Che lo sport sia dibattito, niente atletismo.
Arnaldo Plateroti è ricordato dai familiari come “un
giornalista e intellettuale socialista”. L’aggettivo è talmente raro che è
ottimo titolo d’onore, in effetti.
Il debito italiano è solido, “garantito” dal risparmio
privato (Marco Fortis). Il debito italiano è il peggiore d’Europa e si merita
lo spread alto (Luigi Guiso). Non un esercizio in equilibrismo, è
l’informazione del “Il Sole 24 Ore” domenica. Cioè: arrangiatevi.
Giusepe Gennari dichiara nulla una serie di
intercettazioni disposte dalla procura di Milano con l’ausilio dell’Agenzia
delle Entrate, perché l’Agenzia non è e non può essere organo di polizia
giudiziaria. Oppure semplicemente abusive, disposte senza autorizzazione del
giudice. Non solo: la Procura, dice ancora Gennari, “ha proseguito
nell’intercettazione illegittima, e poi ha chiesto la proroga
dell’intercettazione mai autorizzata”. A quando l’arresto di questo giudice?
Per concorso in qualcosa – a qualcosa concorrerà pure.
O è da leggere così: siete dei malfattori ma vi
perdono? Il giudice Gennari infatti non ha rinviato a giudizio per tante
illegalità nessuno della Procura.
Scalfari elogia Renzi e Verdini domenica l’altra: “Non
c’è scandalo”, dice, e perché non ci dovrebbe essere? Renzi lo ha fatto “così
come la Dc di Aldo Moro si alleò con i socialisti di Pietro Nenni e alcuni anni
dopo addirittura con il Pci di Berlinguer”. Bella storia.
O bisogna dire Scalfari come Verdini, se Renzi è Moro?
All’epoca Scalfari era socialista di Pietro Nenni, perfino parlamentare.
Un Procuratore Capo di Palmyra, in Siria, dice a “Panorama” che la città è
stata consegnata da Assad all’Is, in cambio delal protezione dello stesso Is,
lo stato islamico, agli oleodotti. E l’Is lealmente si è tenuto ai patti.
Tutto si può dire in Medio Oriente.
un’altra umanità. Ma è un’informazione disgustosa come il delitto.
L’Italia era energia, passione e vita
Un concentrato della passione per l’Italia, “terra di
passioni”. Un’operina ripescata un secolo dopo la morte, di poca consistenza,
ma sì per queste professione di fede. Una delle prime di Stendhal, scritta
rapidamente subito dopo “Roma, Napoli e Firenze nel 1817”, che è la sua prima
opera firmata Stendhal, e la prima di suo pungo – dopo gli scopiazzamenti: le
vite musicali da Girolamo Carpani, firmate “Bombet”, e la “Storia della pittura
in Italia”, uscita anonima nello stesso 1817. Scrisse “L’Italia nel
1818” in risposta alla recensione della “Edinburgh Review”, l’unica apparsa di
“Roma, Napoli e Firenze”, un debutto da cui tanto si attendeva, ma critica, e
anzi irridente: lo scrittore, “quel vero parigino che è il barone de Stendhal”,
l’anonimo recensore accusava di flippancy, “frivolezza”.
L’ironia della “Edinburgh Review” non smontò Stendhal
- “Je suis tout Edinburg Review”, scrisse subito dopo all’amico
Adolphe de Mareste, funzionario della prefettura a Parigi. Anzi, lo spinse a
“riscrivere” il libro sull’Italia, in realtà a farci un’aggiunta, trovandone le
radici nel Medio Evo. Sempre di quella “energia”, “passione”, “furia” che lo
incantavano ed erano per lui l’Italia – magari lo erano: “Come diamine non
essere energici con il sole e le ricchezze d’Italia, e quattro secoli di questi
leggiadri governi” – leggiadri, cioè violenti. È “delizioso” pure “il godimento
del potere”, nelle città italiane che trova “divorate dalla fiamma delle
passioni”. Nonché le lotte costanti, anche fratricide, anche traditrici. E il
ribellismo sconfinato, fino all’assassinio – “quando la giustizia è l’arma del
più forte, una crudele derisione, l’uomo ritorna allo stato di natura,
l’assassinio ridiventa un diritto”. È la celebrazione più determinata
dell’Italia, senza se e senza ma.
La “Edinburgh Review” è parte in causa anche perché
alimentava la passione romantica del futuro Stendhal, mediandogliene gli estri
angloscozzesi e germanici. Una passione letteraria che il neo milanese di
adozione Beyle trasfigurava in esistenziale. Per gli amori infelici e per la temperie
culturale della capitale lombarda, tra Foscolo e Manzoni, con Ludovico di
Breme, Monti, Byron, Berchet, Pellico. Di cui l’anno dopo scriveva
all’amico-editore Crozet a Parigi: “Il furore del romanticismo occupa qui tutte
le teste; ben strane teste, a quattromila leghe dalle francesi. Gli
Italiani non devono nessuna delle loro idee ai libri. Che energia, che furore,
quale vita”.
Stendhal, L’Italia
nel 1818, Aragno, pp. 192 € 15
martedì 8 marzo 2016
La “questione delle donne”
Una “querelle des femmes”
tenne banco in Francia nel Secondo Cinquecento e nel primo Seicento. Pro e
contro l’uguaglianza di condizione e di diritti. Con riferimenti alle Scritture
e anche alla teologia. Con molti uomini a favore della donna, i più famosi e
decisi Erasmo e Agrippa di Nettesheim, “De la noblesse et preexcellence du sexe
féminin”. Fino a un Poullain de la Barre, che nel 1673 farà la “prova
cartesiana” dell’uguaglianza, “De l’égalité des deux sexes. Discours physique
et moral où l’on voit l’importance de se défaire des prejugés”, anche nelle
scienze e in filosofia, “se le donne
studiassero nelle università con gli uomini o in altre appositamente istituite”.
I temi sono soprattutto l’educazione
delle donne, e i rapporti matrimoniali, morali e patrimoniali.
La storica Madeleine Lazard
ha censito 891 libelli pro o contro nel secondo Cinquecento. La querelle continuò accesa anche nei primi
trent’anni del Seicento. La più famosa è quella che nel 1614 oppose Margherita
di Valois al gesuita François Loriot. La regina Margherita, protettrice e
mecenate del gesuita, gli scrisse una lettera aperta con l’invito a temere
conto che le donne sono dotate “quanto e più” degli uomini – ma non ebbe
ragione: Loriot ammise che le donne potevano essere uguali agli uomini, ma agli
uomini mediocri.
Il cavallo non beve, ma i debiti crescono
La Stiftung Markwirtschaft tedesca, una
fondazione di studio del mercato, valuta periodicamente l’indebitamento
complessivo delle economie, il debito “esplicito”, cioè pubblico, più quello
implicito, dando un giudizio di sostenibilità complessivo: valuta cioè la
sostenibilità del debito in rapporto al debito pubblico e all’indebitamento
privato. Finendo (il fatto era segnalato già due anni fa in “Gentile Germania”)
per dare un voto alto alla sostenibilità del debito complessivo italiano,
rispetto, per esempio, a quello complessivo tedesco. Non un’alzata d’ingegno né
una trovata polemica, magari politica, contro questo o quel partito al governo
in questo o quel paese, ma un dato di fatto, calcolato.
Quest’anno “Il Sole 24 Ore” non ha
potuto non segnalare l’esercizio della Stiftung, ma lo commenta come un paradosso. Prova ne sia,
arguisce Luigi Guiso, che i “mercati” non ci credono. Come se i mercati fossero
anonimi, equanimi, automatici, e non obbedissero a interessi ben di parte, e in
grado di sostenersi. Magari con le opinioni pubbliche: creando ex nihilo
aspettative, oppure ansie e qualche volta il panico. Il giudizio del mercato è
certo un dato di fatto, dell’Italia addirittura ha azionato due enormi crisi,
nel 1992 e nel 2011. Ma ergerlo a giudice è un’infamia, mentre sarebbe
corrigendo, e anzi da ergastolo.
Ma non importa – è certo bizzarro, nel
mondo d egli affari, che l’Italia abbia malgrado tutto fondamentali solidi. Il
fatto importante è che il debito privato è cresciuto troppo – non in Italia. In
una conferenza un mese alla London School of Economics, che roa si pubblica
online, il direttore generale della Bri, la Banca dei regolamenti
internazionali di Basilea, Jaime Caruana, ne ha fatto un quadro preciso, “Credit,
commodities and currencies”.
Le turbolenze nei mercati finanziari
Caruana attribuisce a tre fattori: “Il primo è la crescita debole e in revisione
al ribasso, specie nelle economie emergenti; il secondo sono le ampie oscillazioni
dei tassi di cambio, di nuovo in particolare per le monete delle economie
emergenti nei confronti del dollaro; e il terzo è il crolo dei prezzi delle materie
prime”. Non è finita, e la turbolenza durerà ancora – in effetti è durata per
un mese: “I tre sviluppi sono connessi; e condividono fattori comuni”. Ma la risultante sarà positiva: questi sviluppi
Caruana giudica “manifestazioni di un importante riallineamento delle forze
economiche finanziarie”. Il che sarà vero da un punto di vista globale, ma non
per alcune economie, e cioè per l’Europa – come si deduce dal prosieguo di
Caruana.
La turbolenza finanziaria è stata forte per “un eccesso di stock di
vulnerabilità” in alcune economie. Da un lato il debito pubblico, in aumento ovunque.
Quello privato è stato ridotto in alcuni paesi, Irlanda, Spagna, Gran Bretagna,
gli Usa e altrove, “ma il debito pubblico è cresciuto significativamente nelle
economie avanzate, e il debito privato è cresciuto nelle economie emergenti e
in alcune economie avanzate”. Il debito è il fondo comune delle tre matrici della
crisi dei mercati: bassa crescita, cambi instabili, crollo dei prezzi delle
materie prime.
Nelle economie emergenti, il debito del settore privato è cresciuto negli
ultimi sette anni dal 75 al 125 per cento del pil. L’indebitamento in valuta
estera è raddoppiato, a 3.300 miliardi di dollari. – grazie anche all’indebolimento
del dollaro, che però ha un costo. Negli Usa l’indebitamento privato
complessivo si è ridotto, ma nel settore petrolifero è esploso a 3.000 miliardi
di dollari, tra obbligazioni societarie e prestiti bancari. L’indebitamento
“petrolifero” è cresciuto anche per le società a capitale pubblico, in Russia
(del 15 per cento annuo dal 2009), in Brasile (del 25 per cento annuo), e in
Cina (del 31).
C’è più di una ragione per il tracollo delle Borse in questo avvio d’anno,
spiega il direttore della Bri. Che ha
portato nei primi due mesi del 2016 a una perdita di valore soprattutto per le
banche, tra un quarto e un terzo della loro capitalizzazione. Il sottinteso è che
la bufera dovrebbe essere passata, almeno per le banche cui Caruana
sovrintende. Ma non è detto.
Non bisogna dimenticare che la crisi da
cui l’Europa ancora non è uscita, dopo otto anni, è la conseguenza dello stratosferico
indebitamento privato negli Stati
Uniti. La crisi è stata poi perpetuata in Europa dal debito pubblico, ma questo
per un’errata, o ostile, manovra politica tedesca, di cui l’Italia soprattutto
ha fatto e fa le spese, con Grecia, Portogallo, e altri minori.L’Italia più sostenibile della Germania
Non
è una barzelletta: il debito italiano è più sostenibile di quello tedesco addirittura per la
Bundesbank. Se ne può leggere in Giuseppe Leuzzi, “Gentile Germania”, p. 95 :
“Bot e Btp sono un
investimento sulla fiducia. Che il debito sia sostenibile e sia ripagato. E la
sostenibilità del debito italiano è stimata migliore di quello tedesco. Anche
dagli studi tedeschi. Col taglio delle pensioni il debito ita-liano
cessa di crescere, e potrebbe diminuire – se si inter-venisse sui 25 miliardi
di spesa corrente annua che sono il sottobosco politico. Com’è allora che la Germania
paga meno, molto meno? Perché ha convinto i mercati che l’eu-ro è il marco. E
ciò ha fatto indirettamente, costringendo
l’Italia, le “Italia” dell’Ue, a pagare di più. La sostenibilità
riguarda le risorse attese per pagare il debito. È una previ-sione, quindi
incerta, ma si ancora a supporti calcolabili: la spesa sociale, previdenziale,
sanitaria, le entrate fiscali.
…………..
“A marzo
2013 la Bundesbank, inaugurando l’inda-gine statistica sulla ricchezza delle
famiglie, da tempo in uso alla Banca d’Italia, collocava la Germania sotto la
me-dia europea. La differenza era da prendere con riserva: “La ricchezza
privata delle famiglie offre una prospettiva limitata degli standard di vita o
della ricchezza di una società. Specie nei paragoni internazionali. Altri
settori, per esempio lo Stato, possono influenzare la ricchezza delle fami-glie,
in positivo o in negativo”. E tuttavia, in fatto di patrimonio, quello delle
famiglie tedesche è inferiore a quello delle altre grandi economie dell’euro,
per la scarsa diffu-sione della proprietà immobiliare. Possiede una casa solo
il 44,2 per cento delle famiglie tedesche (nella Germania Est il 33,7), contro
il 58 per cento dei francesi, il 69 degli ita-liani e l’83 per cento degli
spagnoli. E solo un 18 per cento delle famiglie tedesche ha immobili non di
residenza.
“Una bassa
propensione etnica, si può dire: possiede la propria casa in Austria il 48 per
cento delle famiglie, in Svizzera il 40. Ma la cosa non è irrilevante. Il
patrimonio conta quanto il reddito per la sostenibilità di un debito, sia esso
societario o nazionale. È la posizione che l’Italia ten-tò di far valere in sede Ue negli anni
2010-2011, su input della Banca
d’Italia di Draghi. Allora inutilmente”.
La “figlia” di Montaigne prima femminista
“La maggioranza di coloro che difendono la
causa delle donne contro l’orgogliosa preferenza che gli uomini si
attribuiscono, passano decisamente dalla parte opposta”. Debutta con una excusatio il manifesto per l’uguaglianza
degli uomini e delle donne, come se fosse un’invasione di campo. Ma siamo nel
1622, ne è autore un donna, per giunta non bella, anzi in fama di “preziosa”, una
zitella rompiscatole (morirà ottantenne, nel 1645), e si deve far perdonare. Ma
non si censura: non per caso Marie de Gournay è figlioccia di Montaigne, e
curatrice quasi testamentaria – nel 1592, alla sua morte, la moglie e la figlia
ne affidarono a lei le carte, compresa l’opera sempre in progress dei “Saggi”.
Il tema è
semplice, di questo saggio protofemminista, in difesa del “sesso malmenato”: le
donne hanno diritto all’istruzione, le donne hanno diritto a governare. Anche
nella chiesa, di cui Marie era devota: le donne hanno diritto al sacerdozio. Su
quest’ultimo punto, cioè in fatto di religione, la libellista insiste - a
tratti anticipa perfino Voltaire: “Dio non è né maschio né femmina”. E se,
creando l’uomo a sua immagine e somiglianza, l’ha preferito maschio, beh, si è impoverito:
l’uomo-maschio non è un bell’esemplare.
L’esposizione
è diretta, seppure con riferimenti a san Paolo e altri testi canonici, insieme
con Plutarco, Platone, Aristotele, Pindaro, e anche Carneade. I tre scritti qui
riuniti, da Albina Maffioli Barsella, con una introduzione molto esauriente, prendono
una settantina di pagine – compreso l’originale a fronte: “Dell’ugaglianza”, “Lagnanza
delle donne”, e l’excursus femminista del “Passeggio del signor de Montaigne”, l’operina
per la quale De Gournay resta nelle storie. La trattazione si vuole peraltro semplice, facendsi forte delle tante donne che hanno corretto la storia, a partire dalla Bibbia e anche da Ipazia, con Giovanna d’Arco naturalmente, e le regine, Caterina e Maria dei Medici, e Anna d’Austria, la regina regnante, cui il primo saggio è dedicato.
La curatrice ne inquadra il personaggio e ciò che ne rimane nella storia letteraia. Il primo sembra prevalente, ma questi scritti non sono di maniera. La querelle des femmes, gli scritti pro o contro l’intelligenza e i diritti delle donne, era un genere corrente tra fine Cinquecento e primo Seicento: Madeleine Lazard, specialista del Rinascimento, ne ha censiti 891 in pochi decenni, a partire da Erasmo. Questi della fille d’alliance del castellano di Montaigne si fanno ancora leggere. Il breve estratto dal “Passeggio”, il primo composto in ordine di tempo, è già agguerrito contro la calunnia e il discredito sociale.
La curatrice ne inquadra il personaggio e ciò che ne rimane nella storia letteraia. Il primo sembra prevalente, ma questi scritti non sono di maniera. La querelle des femmes, gli scritti pro o contro l’intelligenza e i diritti delle donne, era un genere corrente tra fine Cinquecento e primo Seicento: Madeleine Lazard, specialista del Rinascimento, ne ha censiti 891 in pochi decenni, a partire da Erasmo. Questi della fille d’alliance del castellano di Montaigne si fanno ancora leggere. Il breve estratto dal “Passeggio”, il primo composto in ordine di tempo, è già agguerrito contro la calunnia e il discredito sociale.
Montaigne conobbe Marie
de Gournay dopo la seconda edizione dei “Saggi”, 1582, i primi due libri della
raccolta. La diciottenne Marie de Gournay gliene scrisse entusiasta, i due
s’incontrarono più volte e Montaigne fu, oltre che lusingato, sinceramente interessato
dalle doti di carattere e d’intelligenza della giovane. La dichiarò sua figlia
spirituale e ne introdusse un elogio al cap. XVII del libro secondo dei
“Saggi”, che intitolava “Della presunzione”: “Mi sono compiaciuto di dichiarare
in molte occasioni le speranze che ripongo in Marie de Gournay Le Jars, mia
figlia spirituale: e certo da me amata molto più che d’affetto paterno e
inclusa nel mio ritiro e nella mia solitudine come una delle parti migliori del
mio stesso essere. Non considero più che lei al mondo. Se dall’adolescenza si
può trarre presagio, quest’anima sarà un giorno capace delle cose più belle e
tra le altre della perfezione di quella santissima amicizia alla quale non
abbiamo notizie che il suo sesso abbia potuto finora innalzarsi. La schiettezza
e l’integrità dei suoi costumi vi sono già di per sé sufficienti, il suo affetto
per me più che sovrabbondante, e tale insomma che non c’è nulla da desiderare,
se non che il timore che essa ha della mia fine, poiché mi ha incontrato quando
avevo cinquantacinque anni, la tormenti meno crudelmente”. Più ancora è lusinghiero nel seguito:
“Il giudizio che essa dette dei miei primi Saggi, da donna, in questo secolo, e
così giovane, e sola nel suo paese, e lo straordinario ardore con cui mi amò e
mi desiderò a lungo per la sola stima che aveva di me, prima di avermi visto, è
un fatto di degnissima considerazione”.
Una donna per questo, per la considerazione di
Montaigne, e per tanti altri aspetti per
il suo tempo “eccezionale”, fuori da ogni ruolo – potendoselo permettere,
certo, come redditiera, seppure di pensioni modeste, al gradimento dei benefattori.
Non moglie, non monaca, non beghina né dama di san Vincenzo, non casalinga, ma
non cortigiana, e neppure strega, sebbene la incuriosisse l’alchimia. L’amore spirituale del
Montaigne maturo con Marie non viene considerato dai commentatori. Non come
quello, magnificato, santificato, per Étienne de la Boétie. Ufficialmente perché
questa professione di amitié amoureuse ricorre
nell’edizione 1595 dei “Saggi”, postuma, curata dalla stessa Marie. Ma
soprattutto perché Marie è un personaggio reale, e vivrà ancora dieci anni dopo
il 1635, l’anno dell’ultima riedizione, da lei sempre curata, dei “Saggi”. Non era
bella, come si vuole presumere di Étienne. Ed era donna. Una “preziosa”, cioè
saccente. Ma ben una “libertina”, come si classificava e veniva classificata,
quasi una libera pensatrice. Più modestamente, era una donna capace di pensare.
Benché stimatissima dal cardinale Richelieu.
Nulla di scandaloso, in
effetti, in Marie de Gournay. La “vecchia ragazza” che Tallemant des Réaux
tratteggia affettuosamente nelle “Historiettes”: “per bene”, di “generosità” e “forza
d’animo”, di spirito sempre acuto, anche con la dentiera. Il Cinque-Seicento fu
un secolo molto vivace, tra la fine delle guerre di
religione e prima dell’assolutismo. Non si manifestava, ma si pensava forte.
Marie
de Gournay, Dell’uguaglianza degli
uomini e delle donne, Ecig, pp. 131 € 8
lunedì 7 marzo 2016
Letture - 249
letterautore
Agosto – “Agosto, moglie
mia non ti conosco”: tanto l’afa è debilitante? Si dissolverebbe in mezza riga
il romanzo famoso di Campanile.
Eco - Era scontento del giornalismo e dell’editoria, i suoi
secondo e terzo mestiere. L’insoddisfazione per il modo di fare giornalismo,
condensata da ultimo in “Numero zero”, è costante nei “Diari” e nelle
“Bustine”. Dell’editoria fece una satira perfino cattiva, insistita, nel
“Pendolo di Foucault”.
“L’Espresso” e “la Repubblica”
ne mandano in edicola le opere come “un omaggio alla cultura della leggerezza”.
Che a Eco avrebbe fatto piacere e no. Resta come quello di una visione non
apocalittica della vita. Nell’età della crisi non è un approccio da poco.
Nemmeno integrato.
Fabrizio De André invece, in una sorta di intervista postuma che “la
Lettura” ha pubblicato l’altro sabato, lo dice insieme con Sciascia “gli
epigoni moderni di Stendhal”. Una filiazione che lo avrebbe certamente lusingato
ma anche incuriosito: lui è tutto l’opposto di Stendhal, i suoi racconti sono
di testa, quasi geometrici.
L’estetica dei Puffi o la semiologia di Mike Bongiorno, di cui da
ultimo si scusava (“sono solo sei paginette”) mescolando all’indigesta
“joyciana” e all’incomprensibile Peirce, divaricazione che gli veniva
accademicamente rimproverata, ha dato un forte impulso, e anche nuova sostanza,
alla figura in declino dell’intellettuale – del maître à penser. La curiosità (attualità) mescolando alla ricerca, in
un quadro di giudizio non definitivo o sistematico, ma sicuramente ben
indirizzato. Per via dei saldi fondamenti e un giudizio aperto, non prevenuto.
Questa qualità intellettuale, su un’indole estroversa e impregnabile,
in cui molti ci identifichiamo, veniva spontanea collegarla alla comune
educazione dai salesiani. Senza fondamento, poiché Eco ha fatto gli studi
altrove. Ma il collegamento si è poi mostrato parzialmente fondato per via
dell’oratorio che Eco frequentava il pomeriggio, che è un’istituzione
salesiana, un luogo di socializzazione aperto: stare insieme (compartecipare) e
giocare nel senso di “rappresentare”. Derivata
da una pedagogia insieme semplice e sottile: uno studio – poco studio, q.b. –
che stimola l’intelligenza più che riempirla, che sa che c’è il sole quando c’è
il sole, e il comportamento modella sulla curiosità, delle cose e delle persone,
la competizione non reprimendo ma socializzando (sportività).
Cazzullo ora su “Sette” la collega alla piemontesità. Che in morte si
è dimenticata, ma è indubbia - “Eco era
di Alessandria come la famiglia di Bobbio, si è laureato a Torino, «Il nome
della rosa» è ambientato sulle Alpi marittime….”. Forse il rimando, inconscio,
è alla buona Italia, piemontese – anche se era un falso mito. Col senso della
misura – che poi si deve essere perso tra Torino e Roma, e quarant’anni fa tra
Torino e Milano, quando la città sabauda si arrese (Agnelli da Cuccia, etc.). .
Gadda – Un vitalista sotto
la poltronaggine da valetudinario di cui lo affliggono gli amici? Esibisce un
costante richiamo mortuario, accanto alla febbrile ingegnosa attività, nella
corrispondenza sempre, accampando malanni di salute, di vicinanza, di
parentela, inventati più che reali, e nei titoli, “Verso la Certosa”, “Tendo al
mio fine”, il “Trapassi” che doveva titolare la prefazione a Parise che poi non
fece. L’attivismo - malgrado le tante incompiute ha lasciato un corpus
sostanzioso - si spiega con questa ansia di fine precoce? La fine è precoce se
l’ansia è di vita, vitalistica.
Vittorio Emanuele III – Si
era certi in Francia allo scoppio della guerra che Vittorio Emanuele III non
avrebbe “tradito”. Lo ricorda anche la scrittrice Irène Némirovsky, nel romanzo
“I beni di questo mondo”, scritto nel 1941-42 in contemporanea col suo
capolavoro “Suite francese”: “Un grosso signore diceva ad alta voce che sapeva
da fonte sicura che «il re d’Italia avrebbe abdicato se il suo paese fosse
entrato in guerra». Gli altri scuotevano la testa. Il grosso signore disse
tutto serio: «Non mi stupisce da parte di Vittorio Emanuele. Ho sempre avuto
una grande stima di lui»”.
Perfino quando l’Italia attaccò la Francia ormai confitta, accanto
alla riprovazione, persisteva una sorta di fiducia oltralpe che la zona
d’occupazione italiana avrebbe avuto risparmiate le sofferenze inflitte
dall’occupazione tedesca.
Quella dell’ultimo re d’Italia, sulla quale pure governò per quasi
mezzo secolo, è una storia che non si scrive – a parte l’abbozzo biografico di
Mario Bondioli.
Yourcenar – Era di destra. Molto italianofila, anche, al tempo del fascismo.
Ha un ventennio, quasi, italiano – benché trascurato
nelle raccolte della corrispondenza, e in parte anche dalle biografie Per soggiorni, amicizie, influssi. Particolarmente
forte quello di Evola. Numerosi sono i suoi racconti di ambiente italiano. “Le dialogue dans
le marécage”, 1929, è una storia dialogata di Pia dei Tolomei, con – dirà lei
stessa nel 1971, alla riedizione – “un poco della sensualità diffusa ovunque da
D’Annunzio”. Nello stesso anno “Sixtine” evocava Michelangelo vecchio. Lo stesso
anno inizia, risiedendo in Italia, “Denaro del sogno”, sulla preparazione confusa
di un attentato antifascista, che pubblica nel 1934 – e poi riscriverà, nel
1959, evirandolo politicamente. “Italiane” sono naturalmente le “Memorie di
Adriano”, specie le ricerche su cui è fondato il racconto.
Con corrispondenti e amici italiani si è occupata a lungo di ricerche psichiche (occultismo, magnetismo), di alchimi e dei Rosacroce - di
Gandhi rimarcando l’ipocrisia della “santità”. Una passione che, combinata con quella per la storia (Campanella,
Erasmo, Leonardo, Paracelso, Serveto), la condurrà al tardo romanzo di Zenone,
1968, “L’opera al nero”.
Evola scrive di averlo incontrato tardi, per caso, in una libreria di Firenze nel 1952, comprando “Lo Yoga della potenza”. Da cui comunque resta folgorata: lo leggerà annotandolo freneticamente, tascrivendone una trentina di lunghi passaggi, specie dai capp. III e VII, “Presupposti dello yoga” e “Pancatattva – Il rituale segreto”, traducendoli, commentandoli, sotto il titolo “La poursuite de la sagesse”. In un articolo per “Le Monde” il 21 giugno 1972, “Ricette per l’arte del buon vivere” (poi ripreso col tiolo “Approches du tantrisme” in “Il Tempo, questo grande scultore”), si premura di dire che di Evola nel 1952 ignorava anche il nome – cosa non vera. Ma riconosce, “salvo qualche riserva”, di “avere acquisito una di quelle opere che per anni vi alimentano e, fino a un certo punto, vi trasformano”.
Evola scrive di averlo incontrato tardi, per caso, in una libreria di Firenze nel 1952, comprando “Lo Yoga della potenza”. Da cui comunque resta folgorata: lo leggerà annotandolo freneticamente, tascrivendone una trentina di lunghi passaggi, specie dai capp. III e VII, “Presupposti dello yoga” e “Pancatattva – Il rituale segreto”, traducendoli, commentandoli, sotto il titolo “La poursuite de la sagesse”. In un articolo per “Le Monde” il 21 giugno 1972, “Ricette per l’arte del buon vivere” (poi ripreso col tiolo “Approches du tantrisme” in “Il Tempo, questo grande scultore”), si premura di dire che di Evola nel 1952 ignorava anche il nome – cosa non vera. Ma riconosce, “salvo qualche riserva”, di “avere acquisito una di quelle opere che per anni vi alimentano e, fino a un certo punto, vi trasformano”.
Le sue biografie in realtà sono una, quella di Josyane Savigneau nel
1990. Yourcenar ha molti titoli di interesse, oltre a quelli letterari: la
prima donna accademica di Francia, la prima a trattare temi irsuti, come l’omosessualità
e l’incesto, la prima a professare una convivenza lesbica. Ma l’esercizio
biografico resta evidentemente arduo, forse perché fu politicamente scorretta. Fu
infatti di destra. Prima e anche dopo – in modo velato – dopo la guerra.
Non entra nel panteon maledetto della destra novecentesca, accanto alla
triade Céline-Pound-Hamsun, perché abiurò, si riscrisse in parte, e comunque
non lasciò tracce. E non fu antisemita: in nessuno suo scritto pubblicato si
rintraccia nessun accenno deprecativo, neanche per modo di dire, all’ebraismo
(ma anche Hamsun ne fu esente). I suoi corrispondenti degli anni del fascismo
in Italia ne hanno occultato le tracce. Riscrisse “Denaro di sogno” nel 1959
come “racconto semirealista, semisimbolico di un attentato antifascista a Roma
nell’anno XI (1933) della dittatura”. Ma la prima versione, pubblicata nel 1934, e
modellata – sicuramente il personaggio di Marcella - su persone che aveva frequentato a Roma, non
era antimussoliniana. I personaggi che la moneta scambiata collegavano a un
progetto di attentato erano inquieti e non militanti.
A Mathieu Galey, “Gli occhi aperti”, 1980, affermerà che i personaggi del racconto appartenevano a un “ambiente di militanti antifascisti, e mi comunicavano l’eccitazione e l’emozione del momento”. E che lei stessa aveva “una visione molto lucida dell’Italia”. Anzi, aggiunge, “il fascismo mi pareva grottesco”.Da subito, fin dalla marcia su Roma, cui le era capitato di assistere a Milano e Verona, in viaggio con il padre. Ma aveva nell’occasione deciso di stabilirsi in Italia. E il “Denaro di sogno” ha riscritto nel 1959, in senso politico contrario a quello del 1934, ha testimoniato il suo editore di allora André Fraigneau, di un antifascismo confuso e un po’ vuoto.
Ancora nell’estate del 1938 a Capri, separata provvisoriamente da
Grace Frick, Yourcenar scrisse in poco più di un mese “Colpo di grazia”, una
storia di turbamenti sentimentali - di omosessualità represse - ma in una
quadro politico preciso. I protagonisti, Eric von Lhomond, Conrad de Reval e
Sophie de Reval, fratello e sorella, sono partigiani anti-bolscevichi, Freikorp tedeschi contro l’invasione
bolscevica del Baltico. La giustezza della loro causa politica è la tela di
fondo della giustezza delle loro passioni amorose, anche se, agli occhi di
allora, “devianti” - Sophie è innamorata di Eric, il quale però ama Conrad.A Mathieu Galey, “Gli occhi aperti”, 1980, affermerà che i personaggi del racconto appartenevano a un “ambiente di militanti antifascisti, e mi comunicavano l’eccitazione e l’emozione del momento”. E che lei stessa aveva “una visione molto lucida dell’Italia”. Anzi, aggiunge, “il fascismo mi pareva grottesco”.Da subito, fin dalla marcia su Roma, cui le era capitato di assistere a Milano e Verona, in viaggio con il padre. Ma aveva nell’occasione deciso di stabilirsi in Italia. E il “Denaro di sogno” ha riscritto nel 1959, in senso politico contrario a quello del 1934, ha testimoniato il suo editore di allora André Fraigneau, di un antifascismo confuso e un po’ vuoto.
letterautore@antiit.eu
Alla ricerca dell’estasi
La prima di una lunga serie di
celebrazioni francesi, con Nerval, Nodier, Baudelaire et al.. Sulla traccia di
De Quincey, con l’hashish comprendendo anche l’oppio, ma più in chiave quasi
positivistica, della sperimentazione. Particolarmente fredde queste di Gautier,
ultime esperienze con i vecchi compagni di bohème.
Abbastanza da poterle rivivere e trascrivere personalmente, senza l’aiuto del
testimone esterno, come farà l’ancora più freddo Benjamin. La “tradizione” sarà
infatti ripresa, via Parigi, da Walter Benjamin, Ernst Jünger e altri uomini tedeschi
meno illustri. Per diventare infine promozionale, negli anni 1960 negli Usa, di
una paraindustria, nell’ambito della cultura hippie dei fiori.
Le droghe non fanno poesia. Di uso non
eccezionale prima, diventano quasi obbligate dopo De Quincey e nella monarchia
orleanista a Parigi, ma a nessun effetto creativo. Se ne ricavano immagini
bizzarre e colori vivaci – oggi di produzione industriale: traslucidi,
fosforescenti. Gautier ne riferisce come di una stranezza quasi metafisica. Che
l’uomo abbia bisogno di alcol o, nei paesi orientali dove l’alcol è proibito
dalla religione, delle droghe, per una sorta di bisogno di estasi: “Il
desiderio dell’ideale è così forte nell’uomo da fargli cercare di allentare … i legami che tengono
l’anima unita al corpo; e siccome l’estasi non è alla portata di tutte le
nature…”.
Si somministrava l’hashish all’epoca –
come ancora per Benjamin – in forma commestibile: le foglie venivano cotte “con
burro, pistacchi, mandorle e miele, in modo da formare una specie di confettura
abbastanza somigliante alla marmellata di albicocche”.
Théophile Gautier, Hashish, Il Sole 24 Ore, pp. 78 € 0,50
domenica 6 marzo 2016
Problemi di base - 267
spock
L’anticapitalismo è di destra?
E il capitalismo di sinistra?
“Non è buona cosa a fin di
bene far male; ma per fin di male far bene è ancora peggio” (Manzoni)?
Non è meglio un buon ladro e
un buon assassino che uno cattivo – anche il boia, non è meglio del mestiere?
Tra il giusto e l’ingiusto
la via di mezzo è salomonica?
Salomone era, anche lui, per
il Grande Centro?
Ma la via di mezzo unisce,
oppure spacca – che avrebbe fatto Salomone?
spock@antiit.eu
Yourcenar libertina, di corpo e di spirito
Un vita di amori. Di ogni età e tipo, di
coetanei, anziani, giovanetti, uomini, gay, donne, fino ai cinquant’anni. Poi in
coniugio con Grace Frick, non bella e con tutti i suoi trent’anni, a Petite Plaisance nel Maine dopo una prova di convivenza a Capri. Grace accudirà in una lunga agonia, ma
non senza nuove infatuazioni per accompagnatori giovani, etero e gay. E una
distinta passione per la legge e l’ordine, se non per il fascismo – che non l’ascrive
alla destra solo perché qualcosa riscrisse, e molto cancellò e abiurò.
La vieille
dame accademica, la prima donna nell’augusto consesso, era una libertina.
In senso proprio, amoroso cioè e politico. Ma personale, avendo anche connaturata
una distinta propensione per l’ordine costituito, in ogni epoca.
È per questo che la sua vita non si
riscrive? E neppure si riesamina l’opera? Joysane Savigneau, che ci ha provato
nel 1990 e Oreste Del Buono volle tradurre, ci ha trovato tante di quelle
evidenze, pur facendo uno scavo superficiale, che non si potrebbe più non tenerne
conto anche in sede critica. Soprattutto per una scrittrice che, a parte le
memorie familiari, ha narrazioni tutte molto politiche..
Josyane
Savigneau, Marguerite Yourcenar