Uno vede Salvini – è impossibile non vederlo,
è dappertutto – e si dice: ma come è possibile? Che male abbiamo fatto?
E Milano, possibile che non abbia nulla
di meglio? Ma forse no, sarà un uomo dello schermo: Milano schiera Salvini per
punirci senza scampo.
Molto urta Milano la decisione degli
eredi Agnelli di lasciare il “Corriere della sera”, rivendicando: “Per tre volte
in quarant’anni abbiamo messo ingenti capitai per salvarne l’attività e l’autonomia”.
Tutto vero. Ma a Milano non se ne danno caso, gli Agnelli li considerano
intrusi.
Non si gioca nemmeno al pallone, al Sud,
senza il patrocinio del Nord. Ci vuole in tv, sul canale 8 Mtv, un uomo del Nord
per dare la voglia di correre ai ragazzotti della Martirano Lombardo, terza
divisione. L’uomo della Provvidenza è Vialli, che si presenta così: “Dove cazzo
mi avete portato, non prende nemmeno il cellulare”.
I lombardo-veneti a Martirano
Martirano è, malgrado l’attributo, in Calabria, in provincia di Catanzaro - si incontra molta Lombardia da Napoli in giù e fino in Sicilia: venivano nei secoli per lavorare la pietra e nei lavori edili. A Martirano si lasciò morire Enrico (VII)
Hohenstaufen, lanciandosi da un dirupo, massiccio com’era, dopo avere
combattuto una vita il padre Federico II nel nome della libertà, alleato della
Lega Lombarda, dei principi tedeschi e di ogni altro ribelle - un padre che
aveva una ventina di figli, da tredici madre diverse, di cui sei anonime. Enrico
lo Sciancato, anche gli epiteti hanno una ragione, per distinguerlo da Enrico
lo Zoppo, che fu imperatore e santo.
A Martirano soggiornò Giacomo Casanova,
all’età di diciotto anni, alla corte del vescovo, in cerca di lavoro. E ricambiò
il suo anfitrione, che si faceva felice alla sua sola vista, col trovare
cattivo anche l’olio, di cui quelle contrade sono e erano specialiste.
Ma è da dire che il racconto di
Casanova, fanciullo ebete fino ai nove anni, è messo in dubbio dalla filologia
veneta recenziore – Casanova in Calabria? absit!
La quale invece, “Impressioni di un gentiluomo veneto vissuto a Martirano nella
prima metà del Cinquecento”, registra
lamenti di un Gabriele Gerbi, alla veneziana Zerbi, che a metà secolo
scriveva a Paolo Manuzio lamentando dieci anni di vita “in quel deserto di
Martorano”. Ma che ci faceva in quei dieci migliori anni della sua vita? Era un
avvocaticchio, aveva un posto al seguito dello zio vescovo. Che poi seguì a
Nocera Pagani.
I veneti scendono ancora in Calabria, sempre
lamentandosi. Vanno più a Nord, a Rocca
Imperiale, ma pur esso luogo federiciano – hohenstaufeniano, se si vuole. Vengono
da Padova e da Treviso, sono nell’immobiliare, comprano vecchie case, per lo
più abbandonate, le intonacano, e le rivendono a tre e quattro volte il costo.
Il
ritorno – nostos
Il nostos
è sempre problematico, già in Omero, e qualche volta insostenibile. La nostalgia
evapora presto di fronte alle diversità incoercibili, acquisite, maturate,
inevitabili. Naturalmente in qualche modo abiette, che superano ogni buon proponimento.
Non ci sono ritorni felici. È un fatto meridionale ma anche settentrionale. I milanesi
di Roma, gli scrittori, le ragazze in cerca di fortuna, e i leghisti – anche i leghisti,
che hanno prosperato dicendo male di Roma, dei ristoranti, degli alberghi, dei
caffè - non ritornano a Milano.
Questo sarebbe un altro aspetto, da
indagare: non ci sono tanti romani in tutta la Lombardia e in tutto il Veneto
quanti sono i lombardi e i veneti a Roma. Con la scusa della politica – peraltro
disprezzata - ma non è vero: tutto il
business dei restauri dei quartieri popolari (fatiscenti), Trastevere, Ghetto,
Testaccio, Monti, ruota attorno ai ricchi lombardo-veneti, che vogliono avere
il pied-à-terre a Roma. Anche i napoletani, scrittori e non, preferiscono Roma,
ma questo è un altro discorso – loro non la disprezzano (come potrebbero?)
Specie dei letterati questo è curioso.
Gli editori, infatti, si trovano a Milano. Milanesi anche i giornali che li
sfamavano fino a un paio di decenni fa, il “Corriere della sera”” e “Il Giorno”.
Aridatece
i buoni borghesi
In due saggi curiosamente interpolati
nella ricerca antropologica “De sanguine”, Lombardi Satriani propone un
bellissimo programma della “cultura signorile del Sud dell’Italia” – in realtà
della Calabria - “indagata attraverso alcuni corpora, e precisamente la facciata dei palazzi, i quadri degli
antenati, le parole funebri (elogi, lapidi, testamenti)”. Cosa che poi non fa.
Eccetto che per la “casa signorile”, alla quale dedica un diffuso capitolo,
“Stanze della memoria”. Al centro della casa c’è ovunque la biblioteca, ovunque
molto ampia e curata, spesso con edizioni rare, e perfino incunaboli – oltre
che epigrafi, monete, reperti archeologici. Con enciclopedie, riviste e raccolte
di giornali. Il cui uso è testimoniato da annotazioni in corpore e da considerazioni documentate, in opuscoli, lettere e
anche opere conchiuse. Di una cultura vigile. Alcune case erano anche famose,
Lombardi Satriani ne elenca una ventina. Si stava meglio quando si stava
peggio.
…e le processioni
Dismessa
come rito pagano al Sud, e anzi mafioso, come del resto tutto al Sud, specie
dai sacerdoti, per i quali è una corvée,
la processione viene riabilitata a Roma e in atre città, e inventata dove non
c’è, dalle parrocchie come una forma di socializzazione. Come lo scoutismo e
l’oratorio. E anche di occupazione degli spazi esterni, di proiezione del sacro
fuori della chiesa.
Ha
tuttora, come l’ha sempre avuta, la funzione di occupazione dello spazio,
territoriale e sociale. Di comunicazione e immedesimazione. Specie nei
conglomerati urbani, forzosamente compositi e meticci. Una funzione che è
propria anche della piazza, ma nella processione si dà unitarietà, per un
minimo di credenze condivise e di buoni proponimenti.
E
succede che, sia la fede dappertutto in regresso, come vogliono tutti i
censimenti, anche parrocchiali, la processione invece raccoglie vasto seguito. Non
una cerimonia particolare, la tipica processione, con luminarie, banda, salmodie
e inni, nasali, dietro le Madonne o i santi locali, e fuochi d’artificio
finali. Poi dice che il Sud è perseguitato. Da se stesso?
Il
meridionale non ama i meridionali
Armando Saitta, di Sant’Angelo di Brolo,
“non amava i meridionali”. Professore di Storia moderna alla Normale di Pisa,
costrinse nel 1966 Marcella Marmo a lasciare la Normale dopo il primo anno solo
perché era napoletana. Marmo ama la la storia ed aveva la stoffa di storica: si
è poi laureata a Napoli con Galasso, ed è professore di Storia contemporanea. È
anche indiziata per essere “Elena Ferante”, la scrittrice che scala tutte le classifiche,
ma questo non è importante.
Marmo aveva già dimostrato chi era: era
entrata alla Normale dopo una selezione dura, allora si ammettevano una diecina
di matricole per disciplina l’anno. Ma non concorse per il secondo anno,
preferì andarsene. Sant’Angelo di Brolo è un piccolo paese vicino Messina.
Saitta è famoso – era – per i suoi
manuali di storia ai licei. Portato alla Normale da Palermo, dove allora
insegnava, da Giovanni Gentile, fu dopo la guerra paracomunista. Continuò a non
amare i meridionali anche a Roma, dove si trasferì l’anno dopo aver silurato
Marcella Marmo.
leuzzi@antit.eu