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sabato 9 aprile 2016

Il “Corriere” a gratis

Urbano Cairo è un uomo coraggioso - un imprenditore, uno che senza mezzi ha fatto tanto, in trent’anni, anche meno, uomo di idee. Uno dei pochi nel ramo editoria che abbia creato qualcosa di durevole nella lunga storia della Repubblica – sono tre: gli altri due sono Scalfari e Berlusconi. Vendeva pubblicità per Berlusconi, si è messo in proprio rilevando la Giorgio Mondadori Editore, la squadra di calcio del Torino, La 7. Riportandole in bonis dal sostanziale fallimento. Nulla di scandaloso che si proponga di salvare dal fallimento la Rcs: ha più titoli dei tanti altri azionisti dei piani alti del “Corriere della sera”.
Ma comprarsi il “Corriere della sera” senza sborsare un euro – in cambio de La 7… - dà la misura della deriva del gruppo milanese. Cairo ha le spalle slide, poiché lo assisterà nell’operazione Banca Intesa, e Bazoli, il patron di Banca Intesa, è uno che a Milano ancora non ha fallito un colpo. Ma il passaggio di Rcs dagli Agnelli a Cairo ha un che di malinconico. Anche perché al “Corriere” non lo sanno.

Renzi impiccato al tribalismo

La denuncia di Delrio porta a palazzo Chigi. Non a Renzi forse, sicuramente a Lotti e De Vincenti, forse pure a Boschi. Questo si sa e si dice. Mentre si sa e non si dice che i Carabinieri non accerteranno nulla, nessun dossieraggio è stato mai perseguito legalmente – giusto Guareschi, che però ne fu vittima. E che, Delrio essendo deciso ad andare fino in fondo, questo vuole dire andare via dal governo.
Ottimo amministratore – ottimo sindaco di Reggio Emilia per dieci ani, e ottimo sottosegretario e ministro - Delrio non sarà una perdita qualsiasi, un Lupi o una Guidi. Ma soprattutto viene con lui al pettine il nodo più grosso dell’egotista Renzi: il tribalismo. Fuori Delrio, il personalissimo governo di Renzi, molto extraparlamentare, non avrà più membri di qualche rilievo che non siano fiorentini o toscani. 

Letture - 253

letterautore

Ariosto – Si divertiva, era ironico? Si direbbe di sì leggendolo. Ma Nicola Gardini, “Domenica” del “Sole 24 Ore” 23 agosto 2015 e Christian Rivoletti hanno dimostrato che l’ironia dell’Ariosto è un “mito”, che nasce con l’estetica romantica di Schiller, Schlegel e Schelling. Che può essere vero: Montaigne documenta nel “Viaggio in Italia” la conoscenza diffusa del “Furioso”, anche nella valli di montagna come di un romanzo di avventura e passioni, raccontato e anzi declamato per canti interi anche da analfabeti. Ma è lo stesso Gardini poi a documentare, domenica sempre sul “Sole 24 Ore”, che un suo superaffollato Reading Group a Oxford sull’“Orlando Furioso”, che ha visto accorrere italianisti, ispanisti, slavisti, anglisti, francesisti, classicisti, storici, storici dell’arte, e anche gente di altre università, sta concludendosi su toni da commedia.Ilclassicista e francesista,  traduttore di teatro, David Maskell sta adattando il poema alla scena con “furia creativa” sostanziata di inglese brioso, “abili rime” e “l’esaltazione di una certa comicità”.
Che spesso è ammirevole: Se ne trova traccia – di Montaigne e dello spirito comico – nelle volgarizzazioni dei pupari siciliani. Camilleri se ne è avvalso ancora recentemente, per il racconto lungo “Il sorriso di Angelica”.

Autobio – “La letteratura di memoria è l’ultimo rifugio delle canaglie”, argomenta un personaggio di Eco, “Il pendolo di Foucault”.

Best-seller – “ll segreto del best-seller? Avere poca fantasia”, confida Ken Follett a Stefania Parmeggiani su “la Repubblica”. Era da sospettarlo: il best-seller deve scorrere veloce.

Italo Calvino –Sono passati senza lasciare traccia i trent’anni della morte l’anno scorso: niente studi, riedizioni, scoperte, inediti, rivalutazioni, revisioni. La disattenzione è però generale – Pasolini si è salvato ma solo per il lato scandalistico della  morte. Mentre l’autore è fertile: si rilegge con interesse immutato. Non trascinante, ma non voleva esserlo. E piuttosto sperimentale, allora come oggi. Come se gli anni fossero trascorsi senza incidere.
Calvino dà un senso di vuoto nella storia italiana recente. In quella politica anche, probabilmente, di sicuro in quella culturale.

U. Eco  - È scrittore di libri - biblioscrittore, riscrittore. Come materia ha i libri, la biblioteca. C’è lo scrittore d’avventura, d’azione, di gialli, di costume, etc,. e c’è il narratore di libri  - Borges ne è il prototipo. 
Borges è misurato – sornione: sa che dei libri non c’è da fidarsi. Eco è smisurato, sovrastato dalla  bibliofilia.

Si disse da ultimo haunted dalla rete, ne parlava come di un incubo. Perché moltiplica la psicosi del complotto, e la disinformacija, ingenua o perversa. Dopo essere stato pioniere e celebratore della rivoluzione digitale – protagonista del “Pendolo di Fucault”, 1984, è il computer, che “scrive per l’autore”. Ma temeva internet. Ho visto un mio profilo su wikipedia, raccontava da ultimo, ho saputo che è facile rimediare agli errori, ho provato, è vero, e questo mi sconcerta: chiunque può cambiarsi o cambiare i dati.

Un uomo del Seicento, si voleva ed è: curioso. Scrittore di romanzi senz’anima, tutti di curiosità, ossessionato dalla ripetizione, dalla variazione, dalla biblioteca, dalla incalcolabile, irriducibile “vertigine della lista”, della classificazione. Nonché, più seriamente, dall’inconcludenza della riflessione.

Si può dire uno che va a passo di gambero, giusto un suo titolo, se non fu conservatore di ritorno. Postmoderno dopo essere stato araldo dell’avanguardia decostruzionista. Con analisi filologiche e semiotiche applicate ai “corpi” meno elevati e anzi quasi triviali, il “Conte di Montecristo”, Mike Bongiorno,  Campanile..Poi anti-decostruzionista, con “I limiti dell’interpretazione” e il successivo “Interpretazione e sovra interpretazione” – entrambi progettati e editi negli Stati Uniti, in chiave cioè anti Derrida, allora dominante nelle università americane.

Follia - Lévi-Strauss ha gli “stati alterati della coscienza”, a proposito del “mistero sciamanico” … attorno alla creazione estetica, di narratori, poeti, scultori, ricamatori, danzatori…. Stati “alterati” in quando non abitudinari, ma anche non regolamentari (grammaticali). E tuttavia comunicativi: intelligibili, trasmissibili. Saranno questi stati alterati all’origine di tanta creatività in condizioni psicotiche. Fino alla follia certificata. Di Alda Merini. Di Artaud: le tante lettere che scrisse durante l’internamento in manicomio, trattato con continui elettroshock, sono peraltro ben scritte e ragionate. Di Campana, Hölderlin, dello stesso Nietzsche, che in manicomio riconosceva le persone, e suonava il piano senza sbavature. Di “Incom”, il giovane Saro Napoli ora internato, dalla versificazione spontanea, fertile, immaginativa, e insieme misurata e significante. A stati dissociati, al limite della schizofrenia, si accenna anche nella corrispondenza tra Rilke e Lou Salome.

Italia – Nel “Diario di uno scrittore” Dostoevskij annota, un decennio dopo l’unità, che l’Italia con l’unità si era immiserita. Rispetto a una civiltà italica che per “oltre duemila anni” era stata “un’idea universale capace di riunire il mondo”. Dapprima con la civiltà romana, poi con quella cristiana: “La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale”. Ora, si chiede, “per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio con la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno di second’ordine”. La sua delusione è anche premonitrice: un regno, concludeva, “per di più pieno di debiti non pagati e soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine”..  

Marionette – Con la chiusura del piccolo chiosco di Carlo Piantadosi al Gianicolo, dopo la sua morte, Roma non ha più uno spettacolo di marionette – neanche nella forma brevissima e ripetitiva del Pulcinella di Piantadosi. Ma in tutta Italia si può dire non si fa più teatro di burattini, la forma più gradita di spettacolo, di piccoli e grandi. I Cola? Gli Accettella? C’erano famiglie che coltivavano questa tradizione, che evidentemente è troppo complessa per l’epoca – s’incontrano a ogni angolo della città maschere mimiche nelle fogge più strane, anche inventive, per un’elemosina, ma applicarsi al teatro no. Cuticchio ancora esercita da Palermo ma come un caso da museo, nelle tv, nei festival, lo chiamano per spiegare più che per fare spettacolo. .

letterautore@antiit.eu

Calvino aveva scoperto l’America

Un memorabile “viaggio in America” – non è Tocqueville, ma è altrettanto intelligente durevole. Che Calvino, partito per un anno sabbatico (spesato dalla Fondazione Ford, con Arrabal, Hugo Claus e Claude Ollier) col proposito di non scrivere l’ennesimo “libro sull’America”, stese rapidamente al ritorno, e poi bloccò in secondo bozze, incerto. Anzi no, convinto, scriverà poco prima di morire a Luca Baranelli, che fosse “troppo modesto come opera letteraria e non abbastanza originale come reportage giornalistico”. Un altro mondo, un’altra Italia.
L’America di Calvino è più ampia e diffusa. Dispersa in un centinaio di pagine confluite postume in “Eremita a Parigi”, e in varie corrispondenze per periodici e riviste. Questa è la monografia bocciata nel 1962 al “visto si stampi”. Una sorpresa dietro l’altra, ancora oggi: la teocrazia americana vs. il politeismo europeo, le single di New York, i pregi e difetti dei talk show (“Open End” andava a esaurimento, anche alle due di notte), Boston cattolicizzata, dal “duro cattolicesimo irlandese-americano”, il sindacato forte che seleziona gli iscritti, scaricatori o spogliarelliste, come un’azienda, il culto del denaro passato dall’accumulo al consumo, alla dispersione. E Wall Street già “elettronica”, o l’“Orfeo negro” - il razzismo antirazzista che Sartre e Senghor venivano elaborando a Parigi in parallelo con le indipendenze africane. Nonché le impressioni d’autore. Manhattan “elettrica”, o lo snobismo di “noi villager”, i residenti del Greenwich Village. Martin Luther King e Albernathy visti a Montgomery, in Alabama, nei giorni della rivolta nel 1960, come leader soprattutto sobri: dubbiosi, calibrati in ogni mossa. La lista sarebbe lunga dei pezzi di bravura.
Anche come libro di viaggio, queste sue annotazioni si comparano molto favorevolmente con i similari italiani – non una grande tradizione, il libro di viaggio non è nelle corde italiche. Sembra Chatwin e Burton insieme, la curiosità umana e quella culturale. Anche nelle idiosincrasie: non sa – sa di non sapere – parlare dei beatnik, né del razzismo. Ma con un limite formidabile, quando deve fare atto di contrizione al Pci, benché dissidente: il fecondissimo costituzionalismo americano, la guerra civile contro il razzismo, il New Deal di Roosevelt ridice a mezza pagina, in toni liquidatori, di Kennedy neppure il nome – dovevano essere tempi duri per la cultura italiana. Non manca chi gli dice che “l’America passa direttamente dalla barbarie alla decadenza”.  La terra dell’“oblio dei rimorsi” – ferina?
Lo scrittore Calvino comunque sfugge alla morsa. Troppo curioso. Dimezzata, la sua escursione sarebbe un piccolo capolavoro – il re del levare qui si ripete spesso. Ma sempre invoglia.
Al ritorno incontra a Parigi, casualmente, al bistrot Sartre, che gli parla molto, di sé. Un’altra storia. Non migliore.
Italo Calvino, Un ottimista in America (1959-1960), Oscar, pp. 237, ill., € 15

venerdì 8 aprile 2016

I duellanti delle banche centrali

In sedi separate ma all’unisono, i membri del comitato esecutivo della Bce hanno garantito ieri che il quantitative easing funziona: serve al credito e alla ripresa delle economie europee. È mancata all’unanimità Sabine Lautenschláger, che rappresenta la Bundesbank, col fedelissimo lussemburghese Yves Mersch.
Da Basilea qualche giorno prima la rivista trimestrale della Banca dei Regolamenti Internazionali aveva statuito nell’editoriale che “le misure (anticrisi) delle banche centrali sembrano in via di esaurimento”. La Bri, la “banca delle banche”, è da qualche mese a capo della fronda alla Banca centrale europea. Da quando ne è presidente Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank – la carica è a rotazione. Non vanno bene i tassi negativi sui depositi delle banche, naturalmente, dice il suo editoriale. Non funziona granché il riacquisto dei titoli del debito pubblico europeo. E i mercati lo sanno: “All’origine di parte delle turbolenze degli ultimi mesi vi è stata una crescente percezione nei mercati finanziari secondo cui le banche centrali potrebbero avere esaurito o quasi le opzioni di indirizzo efficaci”.
L’editoriale parla di “banche centrali”in genere, ma nel mirino non c’è la Federa Reserve o la Banca del Giappone, giusto la Bce. E precisamente le sue ultime decisioni di politica monetaria: il rafforzamento del quantitative easing, e i tassi negativi sui depositi delle banche.
Weidmann rimprovera a Draghi di aver favorito il lassismo nelle riforme strutturali del debito di cui molti paesi dell’euro necessitano. Draghi  è invece convinto che imporre risanamenti drastici del debito in fase di recessione e deflazione sia letale, e opera per “la ripresa prima”, pur sollecitando le riforme. Opera anche da governatore di una banca centrale, che può solo prendere decisioni di natura monteria e non può sovrapporsi ai governi e ai parlamenti, imporre riforme, etc.
È questa polemica, senza precedenti nella storia delle istituzioni monetarie, alla base dell’inquietudine dei mercati finanziari. Tanto più che dura da troppi anni, e non accenna a sussidere. Una polemica non accademica, anzi causa di molti danni. Con un indubbio elemento personale, molto malevolo, da parte di Weidmann.
La sua Bri infatti denuncia anche la crescita sempre inferiore alle tasse. E lo stesso dice dell’inflazione, sempre in ritardo sulle attese.  Quest’ultima è una considerazione di pura perfidia da parte di uno che ha sempre combattuto le politiche di Draghi contro la deflazione, negandola.
Una specie di muoia Sansone con tutti i filistei? La Bri può poco sul piano operativo, ma la volontà di nuocere può fare male.

Ombre - 311

Una donna capo-azienda, presidente dei Giovani Industriali per dieci anni, ministro per due, che si vuole “la sguattera del Guatemala” per il suo uomo, un piccolo arrivista, peraltro già sposato, che si presenta come uno gnoccone di paese – niente di Clark Gable, nemmeno di Mastroianni, la simpatica canaglia. È la cosa che più fa soffrire di questa vicenda – che peraltro non è nemmeno di corruzione, giusto anti-trivelle.

Si commuove anche l’“Osservatore Romano”: il papa ricorda Scalfari il giorno del suo compleanno, e ai giornalisti di “Repubblica” che lo omaggiano al termine dell’udienza popolare del mercoledì, dice: “Fate gli auguri a Scalfari, un rosario il mio regalo”. Alla vigilia del ribaltone millenario sulla sessualità, che la chiesa conculcava.
Che manderà Scalfari come dono al papa?

È un gesto nobile, quello del papa nei confronti di Scalfari, come un tempo usava fra regnanti. Anche se remoti, erano tutti cugini.

Affettuoso il papa vuole “capovolti” gli anni di Scalfari, e invece di 92 propone di leggere 62, pur dicendolo “un giovanotto nel pieno dell’attività”. Imita la gerenza di questo sito? Che però propone l’età allo specchio – il papa ha perso una battuta.

Non è un’inchiesta a orologeria, quella di Potenza, i giudici italiani non ne fanno. Fanno giusto opera di carità alimentando i giornali ogni con novità – uno scandalo nello scandalo.  Come un fuoco d’artificio a catena. Dopo Guidi Delrio. A quando Renzi? Non poteva non sapere.

La Procura di Potenza smentisce il disastro ambientale. Dopo un settimana di disastri indelebili. Con varie mozioni di sfiducia. Il disastro ambientale non è una guerra tra appaltatori, è un disastro per tutti.
Una cosa giusta Renzi l’avrà fatta: questi Procuratori non saranno senatori.

Sei anni fa ci sono stati 21 morti e 650 feriti a Duisburg per un concerto gratuito. Per rilanciare l’immagine della città. Dopo sei anni non c’è un colpevole, anzi non c’è nemmeno da cercarlo. Gli organizzatori, la polizia, i soccorsi? I giudici sin sono rifiutati di giudicare il caso. C’è lo Stato-mafia e c’è lo Stato-Stato: la Germania si protegge inttaccabile. .

È il solito scandalo preelettorale, quello di Potenza per gli abusi petroliferi? Sì, l’inchiesta va avanti da almeno due anni. Serve all’inutile referendum anti-trivelle

In realtà questa nuova inchiesta di Potenza è quella vecchia di Woodcock, aggiornata. Quindi di sei-sette anni. Una delle tante inchieste fantasiose che il giudice impiantò o a Potenza per farsi trasferire a Napoli, la sua città.

Provenzano, cronico in ospedale, deve stare in isolamento. Il ministro della Giustizia Orlando se ne lava le mani. Effetto dello Stato-mafia: chi tocca i fili muore. Ma anche dello Stato terribilista, come lo diceva Sciascia, che dopo cinquant’anni punisce terribilissimo i delinquenti. Dopo averli cioè lasciati delinquere per cinquant’anni, mezzo secolo, due generazioni.

Ben due firme sul “Corriere della sera-Roma” per una notizia di cinque righe, F.Fia. e Il.Sa. È vero che riguarda Bertolaso. Ma riguarda una curiosa sentenza di un giudice di cui non diremo il nome, S.F.; il quale, non potendo giudicare Bertolaso perché prescritto, però lo condanna: “Non si sono elementi per ipotizzare la sussistenza di evidenti elementi in favore del proscioglimento nel merito, vi sono numerosi e concordanti elementi di segno opposto”.  Questo giudice è da tenere a mente, farà carriera. Ma perché confidarsi a due cronisti invece di uno? Non è buon principio mafioso.

Non c’è dubbio che l’accordo Ue con la Turchia delega a Erdogan, a pagamento, i “respingimenti” degli immigrati. L’unica soluzione che l’Europa ha trovato al problema,  alternativa all’accettazione supina di chi arriva. Ma questo non si dice.
Il Vaticano lo dice, ma senza eco. Nei giornali, nei tg, neppure alla Rai, che pure non ci risparmia nulla del papa.

Renzi ha resistito al piano Merkel per la Turchia sugli immigrati perché il Vaticano non voleva. Leggendo “l’Unità” questo si capiva. Ma nessuno lo ha detto: collegare la posizione del governo con quella del Vaticano. Lo stesso Renzi ha fatto valere i suoi tre mesi di resistenza come uno dei tanti sgambetti dell’eterna Germania-Italia. Il Vaticano, con tutto il papa Francesco, non paga più politicamente?

Mario Adinolfi si candida a sindaco di Roma e si esibisce nei caffè di quartiere con sei cornetti, ripieni, accanto al cappuccino. Una prefigurazione?
Come farsi fare la campagna gratis, ovvio – purché si parli di me. Ma perché a sindaco? 

Recessione - 47

Le recessione è ancora in atto:
Il patrimonio familiare medio è diminuito del 16 per cento tra il 2010 e il 2014,  secondo la Banca d’Italia. È diminuito ancora nel 2015, presuntivamente.

I prezzi tornano a decrescere - è la deflazione: si svende, non si accumula e non si investe.

Il valore medio delle retribuzioni è ancora in calo, di almeno un 1 per cento nel 2015 - caso unico in Europa.

La media nazionale delle retribuzioni è stata nel 2014 inferiore a quella del 2004.

Le rendite (pensioni) sono anch’esse inferiore mediamente al 2004, per effetto dell’aumento della fiscalità, indiretta, diretta e patrimoniale (nazionale, regionale, comunale), e del rincaro dei beni di largo consumo, col blocco della perequazione.

La vendetta fa boomerang

Siamo a Dublino non molti anni fa, 2012, ma non si dice sui giornali che qualcuno si è suicidato. Con ditte e matrimoni misti, cattolico-anglicani, che gli stessi soggetti che vi si impegnano in vario modo risentono. Con le donne - mogli, sorelle, fidanzate - che aspettano a casa gli uomini dalle ronde con le amanti, anche non a pagamento. E con una mentalità inglese e una irlandese – il modo sdi “sapere senza sapere”. Ma la suspense c’è:  nella scrittura. La scrittura dettaglista di Banville appiattisce la vicenda - l’alto e il basso, il grave e il triviale, qui anche il Nord e il Sud – ma è essa stessa suspense: crea una sua piccola adrenalina che invoglia la lettura.
“Vengeance” è il titolo originale, della vendetta boomerang, pubblicato come Benjamin Black. Banville usa questo pseudonimo per i gialli, come a dirli mercanzia di scarto, ma scrive sempre alla stessa maniera: elaborata, allusiva. Avvincente per indefinitezza. Eccezione fa solo per i due caratteristi seriali, il dottor Quirke e l’ispettore Hackett, inafferrabili, benché ripetitivi, e strambi, come vuole la ricetta originaria Sherlock Holmes.
Benjamin Black, False piste, Guanda, pp. 280 € 17,50

giovedì 7 aprile 2016

Il mondo com'è (256)

astolfo

Dottrina Obama – Il Medio Oriente non è più prioritario per gli Usa, secondo Obama. Gli Usa devono darsi delle priorità di politica internazionale, e difendere le zone d’influenza là dove possono farlo con successo, senza invischiarsi in conflitti “che dissanguano la credibilità e la potenza degli Stati Uniti”. Questo il nodo della “Dottrina Obama”, la sintesi delle posizioni del presidente Usa in politica estera da lui affidate a Jeffrey Goldberg, col titolo “The Obama Doctrine”, sul mensile “The Atlantic” di aprile. È la “sindrome Vietnam”, non menzionata nel saggio, rinverdita recentemente da Henry Kissinger nel voluminoso “L’ordine mondiale”: gli Usa combattono da quindici anni una guerra in Medio Oriente che non riescono a portare a conclusione.
Goldberg schematizza in dieci punti la posizione di Obama. Con la revisione presidenziale, di Benjamin Rhodes, del Consiglio Nazionale di Sicurezza (Nsa), redattore dei discorsi di politica estera di Obama, e dello stesso presidente che ha riletto il testo:
1. Orgoglioso di non ave colpito Assad nel 2013 (dopo l’uso dei gas nervini alla periferia di Damasco).
2. È necessario  spostare l’asse degli interessi Usa dal Medio Oriente all’Asia e altre regioni.
2. L’Ucraina sarà sempre vulnerabile all’influenza russa.
4. Orgoglioso di aver contrastato John Kerry e la retorica degli attacchi militari – in realtà di aver contrastato il Pentagono.
5. L’Arabia Saudita deve condividere il Medio Oriente con l’Iran, come sub-potenze stabilizzatrici.
6. L’Is è il Joker dei fumetti – il genio del male di Batman, il killer inafferrabile, esperto di esplosivi, torturatore, manipolatore, resistente a ogni attacco…
7. Putin “non è completamente stupido”.
8. Francia e Gran Bretagna hanno creato un pasticcio in Libia.
9. L’Is non è una minaccia esistenziale, il mutamento climatico lo è.
10.Le lezioni di Netanyahu lo indispettiscono. 
Nulla di eccezionale, eccetto che su un punto: il riaggiustamento delle priorità americane, cominciando dal parziale disimpegno nel Medio Oriente, regione ingovernabile. Alla critica dell’establishment di Washington, che gli rimprovera il declino della potenza Usa, Obama obietta che “il Medio Oriente non è più terribilmente importante per gli interessi americani”. In subordine aggiunge che, “seppure il Medio Oriente fosse di straordinaria importanza, c’è poco che il presidente americano possa fare per renderlo un posto migliore”. Il riferimento qui è a Netanyahu, il primo ministro israeliano, ch praticamente ha estromesso Obama da qualsiasi coinvolgimento nella questione arabo-israeliana. Il presupposto è che “il mondo non può permettersi di vedere la potenza americana indebolita”, come sta avvenendo da un quindicennio appunto in Medio Oriente.
In realtà, il senso di tutta la “Dottrina Obama” è questo: non un ridimensionamento dell’influenza americana ma un riposizionamento. Col fine peraltro di riacquistare credibilità, cioè di rafforzare l’influenza stessa. Eccettuato il Medio Oriente, non c’è regione al mondo o problema che Obama ritenga estranei agli interessi americani.   

Easter Rising – La rivoluzione più fallimentare sarà stata la più proficua? È quello che è successo a Dublino un secolo fa, nella rivolta della settimana di Pasqua del 1916, tra il 24 e il 30 aprile - le due Pasque a un secolo di distanza sono temporalmente speculari, una delle più anticipate quest’anno, una delle più ritardate un  secolo fa. Organizzata male, anzi non organizzata, e domata facilmente, anche se a costo di molte vittime e molte macerie – gli inglesi, contro cui l’Irlanda si rivoltava, avevano molti cannoni in città. I nazionalisti irlandesi pensavano di trovarsi di fronte un nemico indebolito, impegnato com’era nella guerra sul continente. E agirono d’accordo con la nemica Germania, che mandò una nave piena di armi. Ma non riuscirono nemmeno a sbarcare le armi. E avevano trascurato che con gli inglesi combattevano 300 mila giovani irlandesi, con famiglie numerose in città e nel paese.
La rivolta si svolse quindi nell’indifferenza del popolo, nelle campagne e anche in città. A Dublino,  come vide e raccontò James Stephens, lo scrittore stimato da Joyce, che pensò perfino di coinvolgerlo nella continuazione di “Finnegas Wake”, opera sempre in progress, le folle si impegnarono ad assaltare le pasticcerie, ben rifornite per le feste. Ma la rivolta fallimentare impose il principio dell’indipendenza dell’Irlanda, che non tardò, almeno per una parte.

Germania  Dai Sudeti al Paraguay e al Volga ha mantenuto un’identità forte attraverso i secoli. Non alla maniera di altre emigrazioni, magari più di massa di quelle tedesche, per esempio degli italiani, che perpetuano gli usi (alimentari, parentali, religiosi) e la lingua per un paio di generazioni, per un moto naturale di resistenza, ma in modo razziale. Per inbreeding, lingua, folklore, sempre antagonizzando le popolazioni presso le quali si sono trasferiti. Adesso in subordine alla grande immigrazione, il recupero dei “tedeschi nazionali” è stato forte durante la prima fase della Repubblica Federale, con vasti programmi di recupero e reinsediamento.

Quella tedesca è una diaspora – un altro dei tanti modi di essere e argomentare che avvicina semmai i tedeschi agli ebrei: il tribalismo.
È tedesco pure Woody Allen, prussiano: di nome fa Königsberg, la città di Kant – Allan Königsberg.

Imprese pubbliche – Si comparano in modo favorevole – estremamente favorevole – col mercato liberalizzato e privatizzato. Sia come gestione, sia come livello di corruzione politica (sottogoverno): la protezione dei media e della giudicatura, di cui gode il mercato privatizzato, non può nascondere i fatti. La deriva di Telecom rispetto alla Sip-Stet. I rincari e i disservizi dell’elettricità privatizzata. Le banche Iri, prima e dopo: non c’è comparazione possibile. Le infrastrutture del Sud, cui l’Iri provvedeva per il 40 per cento dei suoi investimenti, oltre alla Cassa del mezzogiorno, ferme a venticinque anni fa. Gli scampoli di Sme, un colosso alimentare frantumato e svenduto, in una serie di marchi che mettono il cappello dell’italianità su produzioni eccentriche – un cavallo di Troia a molte teste contro l’agroindustria italiana. I ritardi di Autostrade: quasi trent’anni per la “variante di valico” Bologna-Firenze, la tratta Orte-Firenze ancora a doppia corsia stretta, idem la Firenze-Mare. L’interruzione della cablatura che Stet aveva avviato col progetto Proteo, che avrebbe proiettato l’Italia all’avanguardia nella comunicazione elettronica – il progetto viene ripreso oggi da Enel, che però è aspramente avversato dai soggetti privati..
Guardando alle privatizzazioni, dopo un quarto di secolo, si trovano soprattutto e ovunque macerie. Gli unici che ne profittano sono le “banche” d’affari: affaristi e società di affaristi che comprano e vendono. Che sono poi gli stessi che fanno l’informazione, tutta piegata a loro favore. senza mai un dubbio. Per non dire dei giudici. Tutti pagano tangenti in certi mercati, specie quelli arabi e asiatici: la mediazione è inevitabile. Ma solo quelle delle imprese ancora pubbliche vengono perseguite dai giudici italiani - quasi sempre su denunce ascrivibili a interessi stranieri, concorrenti e\o servizi segreti. Resistono i mercati esteri che l’Eni aveva aperto negli anni 1950, Egitto e Russia nel 1955, Iran nel 1957 – con la Libia dopo il golpe di Gheddafi, 1969: hanno ancora l’Italia come primo, o tra i primi, partner economici. Ma con sempre maggiori difficoltà. Gli interessi puntati a minare queste relazioni trovano continui echi nei media e nelle Procure italiane, distruttivi senza ragione.
Sul lato corruzione organica, o sottogoverno, l’elenco dei disastri privati è interminabile. Il più sintomatico è il caso Sip-Telecom: una serie di favori a questo e quell’interesse monopolistico, Agnelli, Colaninno, Tronchetti Provera, sotto la regia di Cuccia, il padrino di questo malaffare, e infine un gruppo abbandonato, spolpato, alle banche, mentre il personale, presto dimezzato, ora dovrà ridursi a un terzo e forse a un quarto. E non è tutto: molto più che a favore dei “salotti buoni”,  lo smembramento e la liberalizzazione della grandi imprese pubbliche si sono fatti a beneficio delle fauci inesauste degli interessi politici locali. Gli stessi che oggi, per fare un esempio paradigmatico, sullo smaltimento dei rifiuti, sulla riconversione di Bagnoli, sulla potabilizzazione dell’acqua, sul risanamento dei quartieri, rivendica il sindaco-tipo, il napoletano De Magistris, senza averne la capacità e nemmeno la volontà, giusto per governare gli appalti relativi. L’appropriazione degli interessi pubblici da parte del sottogoverno locale è fortissima soprattutto nella sanità – dove oggi il giudice Cantore scopre tangenti per seimila miliardi l’anno – e l’ambiente, i due maggiori canali della spesa pubblica.
Restano fuori dal ludibrio, tra i grandi gruppi privatizzati, Eni, Enel e Finmeccanica. Ma perché sono fintamente privatizzati: operano sul mercato – su mercati anzi difficili, molto internazionali, molto competitivi - ma in una logica ancora di interesse pubblico: produttività, investimenti oculati e quindi creazione e non distruzione di lavoro e reddito, limitazione del sottogoverno, attenzione alle appropriazioni indebite – la corruzione è impossibilitata dagli audit, e comunque è ridotta, impercettibile rispetto ai flussi del privato sottogoverno.

Presidenziali Usa – I poteri del presidente Usa sono decisivi e anzi totalitari per quanto concerne la politica estera. Mentre la politica interna resta terreno prevalentemente parlamentare, condizionato e deciso dal Congresso e dagli Stati dell’Unione. Ma le candidature nella lunga campagna elettorale si definiscono esclusivamente in base alle questioni interne agli Usa – la conoscenza dei fatti esterni è ridotta alla curiosità e allo scherzo.

Turchia – Ritorna di prepotenza ottomana. Dalla Siria fino all’Oman, e all’Egitto. È parte attiva dei conflitti civili dentro la Siria. In Iraq combatte i curdi indipendentisti della regione di Mossul e Kirkuk. In entrambi i paesi ha tenuto in vita, e tuttora usa, l’Is. Aprirà una base militare nel Qatar, secondo un accordo firmato a dicembre, forte di tremila soldati – un accordo simbolico, per i cent’anni dal 1915, quando le truppe ottomane chiudevano a Doha, la capitale dell’emirato, la loro presenza nel Golfo Persico. E si presenta esportatrice di armi nella regione. L’associazione delle industrie belliche turche, Musiad, ha organizzato una fiera a settembre nel Qatar e altre ha in programma nel Kuwait e in Arabia Saudita. I paesi arabi del Golfo hanno una spesa militare in forte espansione, anche negli ultimi due anni malgrado il calo del prezzo del petrolio: La spesa per la difesa dei paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo è aumentata del 66 per cento nei cinque anni dal 2010, da 74,7 a 124,1 miliardi di dollari. In particolare per gli armamenti, la spesa complessiva dal 2007 è stata secondo il Consiglio di 135 miliardi.
In questa ottica va visto il deterioramento improvviso delle relazioni con Israele, che erano state invece strette in tutto il dopoguerra. E l’offerta di sostegno diplomatico e collaborazione militare all’Egitto – prima di Al-Sisi, è vero, con la presidenza dei fratelli Mussulmani (Al-Sisi è nemico giurato dell’Is).


La riottomanizzazione della Turchia va di pari passo, curiosamente, con la sua europeizzazione. Se andrà a effetto l’accordo per gli immigrati con l’Unione Europea di fine marzo. L’accordo infatti affida alla Turchia la regolazione degli afflussi di immigrati ai vari Paesi europei secondo il vecchio accordo delle quote, una responsabilità enorme. Accoglie di fatto la Turchia nel sistema di Schengen, o della libera circolazione, abolendo i visti. E riavvia il negoziato per l’adesione della Turchia alla Ue quale paese membro. Tre esiti di enorme importanza. Si capisce il potere che il presidente Erdogan ha accumulato all’interno del Paese, per effetto di questa duplice proiezione internazionale, in termini di influenza e di orgoglio nazionale. Fino a spingerlo alla semi guerra civile contro i curdi turchi, e alla chiusura dei giornali di opposizione, con l’accusa di tradimento.

Il mancato riconoscimento delle minoranze e la violenza contro la libertà d’opinione dovrebbero precludere a questa Turchia l’accesso a Schengen, nonché l’ammissione alla Ue. Ma non è detto. 

astolfo@antiit.eu 

Eco fantastico

Tre favolette moderne di cinquant’anni fa, in riedizione celebrativa, con illustrazioni a piena pagina di Carmi, che sono il vero Eco: semplice, brioso, e incisivo. Degli atomi ribelli che fuggono via dalle bombe dove sono in carica. Degli astronauti concorrenti, russo, cinese e americano, che un marziano generoso – ha sei braccia – mette d’accordo. Degli esploratori “esplorati”, dai lontani gnomi del pianeta Gnu, che giustamente rifiutano la civiltà dei veleni, dei fumi, delle droghe e dei rifiuti.
Allora, nel 1966, Eco praticava la decostruzione della narrazione, ma qui si diverte a raccontare. Le brevi favole, quasi apologhi, conciliano anche le sue ambizioni contrapposte, di filosofo e di narratore, che finiva per filosofare nei romanzi e – meno – divagare nella riflessioni: l’aneddoto fantastico concilia i due Eco. .
Eugenio Carmi-Umberto Eco, Tre racconti, Bompiani, pp. 113, ill., € 12

mercoledì 6 aprile 2016

Un piano Turchia anche per la Libia

Si difende Renzi, in Vaticano e con i suoi, per l’accettazione del piano tedesco in favore della Turchia, con tre miliardi di euro di contributi per l’emergenza immigrazione. Non poteva sottrarsi, spiega, ma il sì ha condizionato a analogo schema di aiuto alla Libia, quando a giorni il governo designato Serraj sarà in piena carica.
La Libia è il fronte di pieno successo che Renzi coltiva, in mezzo ai problemi di tenuta del governo per l’offensiva delle opposizioni via Procura di Potenza. Dopo aver resistito alle estenuanti pressioni milanesi, da oltre sei mesi, per un intervento militare, Renzi sta ora vedendo maturare l’opzione politica che lui ha difeso.
Se Fayed el-Serraj si consolida, il prossimo passo sarà avere la Libia al fianco del’Italia nella prevenzione di un afflusso massiccio di immigrati attraverso la Sirte – il canale verrà prevedibilmente riaperto dai trafficanti dopo la chiusura di quello turco. Mediante un aiuto europeo consistente, anche se non delle dimensioni di quello voluto dalla Germania per Erdogan in Turchia.

Il nostro agente turco per i respingimenti

Il papa va a Lesbo per ribadire con più risalto mediatico la denuncia dei respingimenti. Vuole andarci presto, subito: mai visita papale fu affrettata come questa. Rischiosa anche, benché sostenuta dagli ortodossi, il patriarca di Costantinopoli e l’arcivescovo di Atene, che condividono la sua posizione.
Sui respingimenti le opinioni sono divise. Ma sono indubbiamente un fatto di polizia. E sono l’unica soluzione che la Ue sa proporre, in alternativa all’accettazione senza filtro e senza difese di questa nuova orda, per quanto bisognosa e disarmata.
L’accordo che Angela Merkel ha voluto con la Turchia è in realtà per un fronte dei “respingimenti”. Delegando a Erdogan le funzioni di polizia, alle frontiere turche col Medio Oriente, e dalla Grecia indietro alla Turchia. O altrimenti si dovrebbe pensare a una delega alla Turchia di scremare gli immigrati e imporne poi il ricollocamento nei paesi europei secondo le quote del vecchio piano mai entrato in funzione – impensabile.
I collaboratori del papa, specie mons. Galantino, hanno provato insistentemente a impedire l’accordo, che però alla fine si è fatto, e ora è in atto.

Il racconto della fine del mondo arabo

La vita al Cairo non molti anni fa, a fumare il narghilè con gli amici, con un tè alla menta, chiacchierare della rivoluzione socialista che non poteva mancare, nonché di come tirarsi fuori dalle batoste di Israele, e inseguire la bella Qurunfula. In un paese governato monocraticamente, da un bonapartismo che perpetuava la tradizione dei khedivé e dei faraoni, ma nel quale il socialista Nahfuz era onorato del premio di Stato, e poteva scrivere liberamente su “Al-Ahram”, il quotidiano più diffuso e autorevole. .
Il primo Nobel arabo per la letteratura non fa i salti mortali, ma i suoi racconti un mondo delineano, vecchio di secoli e forse di millenni che dopo di lui all’improvviso è svanito. Fece in tempo lui stesso, a 83 anni, nel 1994, sei anni dopo il Nobel, a subire un attentato fondamentalista. Testimone di un mondo che si è disintegrato sotto la spinta dell’islam dei principati del Golfo.  
La nostalgia si moltiplica, sopraffatta dall’imbarbarimento. Raddoppiata dalla copertina, con un fastoso vassoio di caffè turco, menta e lukum. Non si è fatto in tempo a smaltire quella per Alessandria, ultima città franca del Mediterraneo, per egiziani, islamici e cristiani ugualmente, italiani, greci, libanesi, ebrei e quant’altro, come anche il Cairo, a Ghezira, a Gamaliyyah, svanita col nazionalismo arabo nel 1956, che si rimpiange il nazionalismo arabo, progressista seppure monocratico, sotto l’islamismo – ora è l’Arabia Saudita che guida il mondo, e pensare che quarant’ani fa vi era proibita radio Nasser, troppo rivoluzionaria per il reame. Si leggono questi racconti come si legge il “De Reditu” di Rutilio Namaziano, la letteratura della fine del mondo antico.
Nagib Mahfuz, Karnak Café, Il Sole 24 Ore, pp. 95 € 0,50

Stupidario calcistico

“Bonucci non mi ha dato nessuna testata. Sono stato io a spingerlo”, dice l’arbitro Rizzoli del calciatore della Juventus. Ma le tv e i giornali fanno vedere il contrario. Chi ha detto che l’occhio della tv ha ragione? Come se non ci fosse una letteratura sterminata sulla “verità” dell’immagine. Anche una tecnica, di cui l’Italia è maestra, da Torino (dove nacque il cinema) a Roma.

O si adotta la moviola in campo a ragion veduta, per aumentare il casino? Le discussioni libere nella “settimana”, su Sky e Rai, sulle tv e le radio “libere”. A Roma i chiacchieratori professionali sono molti di più dei tesserati delle due squadre cittadine, Roma e Lazio, contando fino ai pulcini. Il business del calcio sarà la chiacchiera.

Si squalifica Higuaìn per quattro partite, che si sa verranno ridotte a tre, e i giornali romani, “Messaggero”, “Corriere dello Sport”,  tifano contro. Cioè per la squalifica integrale, senza sconto. Perché la quarta partita è Napoli-Roma.
Dimenticano per questo anche l’odio contro la Juventus, per il testa a testa Bonucci-Rizzoli.

Higuaìn in tv supereccitato conferma l’impressione che si usino sostanze eccitanti. Non proibite, oppure tali che sfuggono all’antidoping se non assunte continuativamente. La stessa impressione che si ha vedendo correre una squadra per novanta minuti ininterrotti, e poi la partita dopo vederla abulica: deve smaltire?

Rai 2 propone in prima serata il Gran Premio di Formula Uno di cui tutti già sanno tutto, anche se non hanno visto la diretta su Sky. Per non fare la “Domenica Sportiva” che invece farebbe un grande pubblico. Solo tafazzismo? 

martedì 5 aprile 2016

Secondi pensieri - 257

zeulig

Decostruzione – È certamente eccessiva (contraddittoria) nella decontestualizzazione. E nella “necessità del travisamento” di Harold Bloom. Contraria in entrambi i casi ai suoi presupposti, della ricerca di un di più di verità.

Esoterismo – Perché un’assurdità incoerente e illogica invece di una coerente e logica, argomentava Joyce.

Gelosia – È possesso, ma anche timore. E come tutti i timori si lega alla speranza. Se non, appunto, nella forma possessiva: è in effetti, in questo caso, il segno di un amore che non c’è – immedesimarsi nell’altro.
Nella pratica è l’acquisizione di una immunodeficienza: “Il geloso è come un ipocondriaco, che diventa malato per paura di esserlo” (Umbero Eco, “L’isola del giorno prima”, 339).

Gnosi – Si può dire il vangelo contemporaneo, dell’età del Sospetto, o del Complotto – del segreto iniziatico, cospirativo. Che viene, si diffonde, si impone, come conoscenza: con l’allargamento della conoscenza, cioè con la comunicazione democratica. Della conoscenza come potere, e del potere-conoscenza en petit comité, riservato, per segmentazioni, tribali , di razza, religione, carboneria. Dei pochi che si ergono a guru, leader e sacerdoti in virtù di saperi riservati.
Va anche insieme, paradossalmente, con la decostruzione. Che invece è intesa come suo opposto. È il paradosso che Umberto Eco ha preso a denunciare con costanza dal “Nome della Rosa”, e più dalle glosse al romanzo, la “Postille” del 1983. Con costanza e quasi con paranoia – il morbo è virale - soprattutto a partire dal “Pendolo di Foucault,” e poi negli ultimi “romanzi” – dei corposi pamphlets in realtà: “Il cimitero di Praga” e “Numero zero”.

Infelicità - Herta Müller raconta in “La paura non può dormire” di un amico suicida che cercava la felicità, perché cercava la felicità: “Buttandosi dalla finestra  non cercava la morte, ma solo una via d’uscita dalla perenne infelicità della vita”. La rinuncia come un bene, la rinuncia alla vita? È un’ipotesi – ipotetica per la stessa scrittrice, che ama le sottigliezze: “Forse il suicidio è una ricerca estrema della felicità. Quando il restare non è più sopportabile, evadere è la felicità”.

Mistero – Insondabile è quello dell’inizio. Quello della fine si può evitarlo, l’eternità post mortem: quando la morte interviene, noi non ci siamo più. Quello dell’inizio invece ci segue – si impone – per tutta la vita: su quale eternità ci innestiamo, l’eternità della materia o l’eternità di Dio?

Opinione pubblica – Heidegger, il filosofo che più l’ha aborrita – la “dittatura del si”, del falso, dell’adulterazione, di tutto ciò che è contrario alla “autenticità”, di cui si fa l’anamnesi e la condanna in “Essere e tempo” – sarà stato quello che meglio l’ha saputa adottare e programmare: la pubblicazione dei “Quaderni neri” è un capolavoro di uso della Öffentlichkeit. Fino all’abuso, nello scandalo dell’antisemitismo, per buona misura falso - inesistente, gonfiato.
Si ricordi “Essere e tempo”. § 27: “Nell’utilizzazione dei mezzi pubblici di trasporto, nell’impiego dei mezzi d’informazione (giornali) ognuno è altro fra gli altri”. Non più sé, ma altro: “Questo essere ‘l’un con l’altro’omologa completamente il proprio esserci al modo d’essere «degli altri», e fa in modo che gli altri scompaiano ancor più nella loro diversità e nella loro distinzione”. Quella del “si” è un’autentica dittatura: “Noi godiamo e ci divertiamo come si gode; noi leggiamo, vediamo e giudichiamo di letteratura e d’arte come si vede e si giudica; ma altresì ci distinguiamo dalla «massa» come ci si distingue; ci «indigniamo» di ciò di cui ci si indigna. Il si, che di preciso non è nessuno e che, benché non come somma, tutti sono, prescrive il modo d’essere della quotidianità”. Nell’indistinzione evapora la personalità col giudizio: “Ciascuno è l’altro e nessuno se stesso”.

Straordinario – non solo in Heidegger, naturalmente - l’uso della “sfera pubblica” come dominante, non solo dell’opinione ma della stessa cultura, e della filosofia in essa, oggi tutto essendo öffentlich, di quel particolare esoterismo che è connesso alla divulgazione, all’informazione. Grazie alla superficialità, della ricezione, dell’elaborazione.
Non è il segreto vs. il pubblico, che si presta ai paradossi dei rovesciamenti (tanto più segreto quanto più pubblico), ma la riflessione contro la superficialità. La “pubblicità” (Öffentlichkeit), la sfera pubblica, l’opinione pubblica sono il dominio dell’informazione superficiale: allarmata, allarmistica sempre, scandalistica, o massiccia, in forma di campagna, imposta, sempre per qualche verso sotto pressione.   

Postumano - La nostra seconda vita – di Rosi Braidotti e altri - negli universi digitali, nel cibo geneticamente modificato, nelle protesi intelligenti, nelle tecnologie della riproduzione, non conducono al postumano. Almeno, non nel senso di un modo in cui l’umanità si scioglie. Sono invece lo sviluppo dell’umanesimo dell’homo faber. L’assunto, peraltro, di una vita “oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte”, è vecchissimo – se non per la mutazione transgenica, che non fuoriesce però qualitativamente dal vecchio innesto.  È un nuovo materialismo – nuovo-vecchio, di un darwinismo sacralizzato, riduzionistico - ma non più di tanto.
Lo stesso animalismo non è una novità – il logos animale risale a Sesto Empirico, e forse a Crisippo, e nella cristianità a Boezio.

Vuoto – “Questo gran vuoto del vuoto”, o “l’unico grande nulla”, Umberto Eco, “L’isola del giorno prima”, sintetizza alchemicamente come “la Sostanza del tutto”. Ma di suo, “questo gran vuoto del vuoto” lo prospetta in realtà come numero periodico.
Uno dei concetti, anche, senza realtà. Di ciò che si può legittimamente pensare che non esistono, non al riscontro.  

zeulig@antiit.eu

Il romanzo che non c’è

La trama è più lunga, si può dire, del romanzo. Il fatto dirimente è questo: la lotta fra gli Stati per la ricerca del punto fijo ovvero dell’antimeridiano di Greenwich, “il nostro centottantesimo meridiano”: l’antipodo di Greenwich, “la linea oltre la quale il tempo va indietro” – cioè dove il tempo non c’è: non è ieri e non è oggi. Un colpo d’ingegno che il lettore paga a caro prezzo. Al principio con l’assedio di Casale Monferrato, “la fortezza più importante dell’Italia del Nord”, 1629, nel quale si distingue il Roberto-Umberto, protagonista, testimone e narratore della plurima vicenda. Giusto per immergere il romanzo in una temperie nazionale, non perché sia necessario. L’assedio di Casale è un topos del Seicento: è quello dei “Promessi sposi”, Giovanni Maria Tamburini ne ha fatto una battaglia geometrica per la Sala dei Ricami Indiani di palazzo Colonna a Roma sotto il Quirinale. Eco ne fa volutamente un calco. Un altro, uno dei tanti, lo fa in un attraversamento dei Pirenei, da Giovambattista Marino. Anche l’isola che non c’è è materia di racconti d’appendice, da più secoli, e fino a Edoardo Bennato e Johnny Depp – una trattazione è in Gozzano, “La più bella”: l’Infante di Spagna, ricevuta l’Isola-non-Trovava in dono da suo cugino il re del Portogallo, su bolla del papa “in gotico latino”, fa vela per cercarla, ma “l’isola non c’era”…. Per finire con l’isola che non c’è, che Roberto deve raggiungere non sapendo nuotare - senza averne peraltro il tempo poiché l’isola è nel tempo che non c’è. E qui siamo finiti nel labirinto, altro topos che sembra piacere, nei mari del Sud, in forma di nave cimitero. Nel mezzo con repertori interminabili, di “imprese” (“Simboli, Cenni”, etc., per sei righe – e manca l’Aforisma), colombe, l’Alexipharmaca, i segni alfabetici, i tanti “argomenti” contro il moto terrestre. Digressioni di ogni tipo, dai repertori che Eco, bibliofilo incontinente, predilige. Una per tutte, la storia del cane utilizzato per determinare la longitudine in assenza di un riferimento. S’imbarca un cane ferito alla partenza, dopo aver urticato il punteruolo con la “polvere di simpatia”, la polvere avrebbe “urtato” il cane ogni giorno alla stessa ora, il cane avrebbe reagito gemendo, e così si poteva sapere sulla nave in navigazione che ora era in quel momento al punto di imbarco, e derivare la longitudine.  Rimedio fantasioso, naturalmente, ma non è finita. A esso Eco sardonico oppone analogo meccanismo fantasioso, ma scientifico, proposto da Galileo (in una lettera a Lorenzo Realio, 1637), sempre per calcolare l’introvabile longitudine.  
In filigrana c’è il romanzo del fratello Ferrante, che Roberto a tratti si propone di scrivere. Un fratello maggiore che forse non è esistito, proiezione del padre non amato dal protagonista narratore, proprio perché prediligeva il primogenito. Oppure semplicemente l’“oggetto di fantasie fanciullesche”, quelle cui indulgono i bambini soli – questa storia nella storia si dissolve man mano che si dispiega, è solo un pretesto per massime sul romanzo.  C’è anche Galileo con lo Instrumentum Arcetricum. La vicenda principale è il problema delle longitudini. Nel mezzo uno scemenzario. Anzi, lo Scemenzario di uno scemenzario, che è la Conoscenza. La “Vertigine della lista” sarà poi una delle ultime compilazioni di Eco, che non riusciva a liberarsene:  cominciando dal “catalogo delle navi” dell’“Iliade” e finendo con Calvino e Borges, vi repertorierà una lunga serie di elenchi di cose, più o meno ipotetiche - un tentativo, dirà, di fissare e padroneggiare il mondo, compresa la stessa libreria. Ma l’Autore non sembra divertito, e il lettore non vede perché. Un polpettone. Illeggibile ai più, incommestibile ai pochi – e tuttavia, riedito alla vigilia di Pasqua, subito esaurito.
Una parodia, sempre, del romanzo. Eco è venuto alla letteratura, nel Gruppo 63, con la “fine del romanzo”, anzi la Fine del Romanzo, come usava nel Seicento. Qui mette in scena un romanzo a più piani. Ma da disappetente: alla fine pure l’autore sembra arrendersi. Anche il piano storico, il più semplice, risolve in una tela di fondo forse veridica, ma piuttosto imbrogliata. Il materialismo e l’incredulità si scontrano col gesuitismo senza soluzione: Roberto-Umberto è all’inizio con Saint-Savin, un pirroniano libertino che pone il dissidio insolubile tra creazione e eternità (“la prima qualità di ogni uomo è il disprezzo della religione”), e alla fine con un vecchio scienziato gesuita – nel mezzo con numerosi religiosi: il viaggio della vita Roberto de la Brive fa in compagnia di religiosi, un padre Emanuele, un cappuuccino, un carmelitano e da ultimo il gesuita scienziato Caspar Wanderdrossel (“tordo vagante”), che sacramenta (“Un Saggio? Certamente sì, o almeno un erudito, e un curioso sia di scienze naturali che divine. Un esaltato? Sicuramente…”). Richelieu c’è, e anche Mazzarino (“un tal Giulio Mazzarini, un siciliano, un plebeo romano…”), che è quelo che pone il problema del punto fijo, ma è come non ci fossero, comparse. Galileo serve a presentare e discutere la teoria copernicana e quella tolemaica, entrambe “vere”. Per non dire dell’antimeridiano di Greenwich.  Il protagonista deve imparare a nuotare per cavalcare il meridiano inesistente fluttuando “a fior d’acqua, gli occhi al cielo… su quel ciglio che separava l’oggi dal giorno prima, al di fuori del tempo, in un eterno mezzogiorno” – questo è “L’Itinerario Estatico Celeste”. Sempre naufrago, o sul punto di naufragare, sempre discetta incurante, anche di Dio e della Redenzione. Ma dicendosi: “In verità Roberto non era convinto dei suoi argomenti”.
Eco risolve il romanzo nel pastiche, nella elaborazione filologica. Nel discorso del romanzo. Dei generi e non degli autori. Senza misura, e quindi sempre irrisolto: l’ironia  dissolve e non coagula – la misura giusta del pastiche sarà quella di Proust, “Pastiche et mélanges”, di prose brevi, scherzose più che affannate, di satira amichevole (fare il verso a qualcuno). Qui il pastiche è filosofico. Nel senso dell’impossibilità della filosofia, dell’inconcludenza – il protagonista che passa lunghi capitoli a imparare a nuotare è la metafora di questa conoscenza: il tempo e lo spazio, il vuoto, il Dio di Spinoza, la pluralità dei mondi. Lo è all’inizio e poi alla fine: “Il Serraglio degli stupori”, “Il Labirinto del Mondo”, “Il Cannocchiale Aristotelico”, “Le Passioni dell’Anima” sono tra i primi capitoli, “La Pluralità de Mondi”, “L’uomo al Punto”, “Itinerario Estatico Celeste” tra gli ultimi. Ma finiscono per non dire nulla poiché non risolvono nulla, non giungono mai a una conclusione.

Un sogno e una tentazione impossibili del lettore smisurato, per di più curioso di tutto. Uno sberleffo, se Eco si è divertito. Un Calvino diluito, e riportato indietro al Seicento, tra Barocco e Scienza, invece che nel futuro. Un romanzo d’autore anche nel senso che è pieno di frasi famose. Lievi: sulla gelosia, la bellezza (“la bellezza del giorno è come una bellezza bionda, mentre la bellezza della notte è una bellezza bruna”), l’amore (“l’assenza è all’amore come il vento al fuoco: spegne il piccolo, fa avvampare il grande”), o piuttosto il disamore, etc. E pesanti, che però non sono un punto fermo, da ogni ipotesi zampillando un’altra ipotesi. “Non c’è pensiero più tremendo, specie per un filosofo, di quello del libero arbitrio”. “Nella vita le cose accadono perché accadono, ed è solo nel Paese dei Romanzi che sembrano accadere per qualche scopo o provvidenza”. Il bruniano (non attribuito) “unico grande Nulla, che è la Sostanza del tutto. Regolata da una maestosa Necessità”. Accettando e rifluendo nella quale l’uomo confluisce nello spinoziano (non attribuito) “Amore Intellettuale di Dio”. Mentre Giuda, come già in Caillois, è condannato a vivere “sempre nel venerdì santo”, incatenato ai piani divini dei quali dev’essere la vittima sacrificale – “Era dunque scritto fin dall’inizio che io fossi dannato a essere dannato”? Che sembra irridente, e anzi blasfemo. Ma “ciò che assilla il filosofo” è “il mistero dell’inizio” e non “la naturalezza della fine”, “la “angosciosa domanda su quale eternità ci abbia preceduti: l’eternità della materia o l’eternità di Dio?”
Umberto Eco, L’isola del giorno prima, Corriere della sera, pp. 476 € 9,90

lunedì 4 aprile 2016

A Sud del Sud - Il Sud visto da sotto (281)

Giuseppe Leuzzi

Nel “Convivio“ di Dante Federico II di Svevia, lo stupor mundi di Palermo e dintorni, è “vento di Soave”. Herta Müller, “La paura che non può morire”, ricorda i suoi “cosiddetti conterranei del Banato” svevo, in Romania, nazisti ancora “nel 1969 e nel 1970, e pure negli anni successivi”. Il Nord trasposto a Sud sarebbe stato migliore?

Che possiamo farci noi?, sembra dire il presidente (ex) del Parco dell’Arcipelago Toscano, Mario Tozzi, sentito sull’erosione delle coste toscane, la più profonda e più ampia in Italia: “La mia Toscana è in buona compagnia”, si difende, “si pensi a cosa accade in Calabria o sul litorale romano”. Dove però l’erosione è molto più contenuta: Tozzi vuole solo dire che la Toscana è e resta migliore – vuoi mettere la Toscana con la Calabria?.

Amare la bellezza
Simone Weil, “Forme dell’amore implicito di Dio”: “La tendenza naturale dell’anima di amare la bellezza è la trappola più frequente di cui si serve Dio per aprirla al soffio che viene dall’alto. È la trappola in cui cadde Core. Al profumo dei narcisi sorridevano tutta la terra, la volta del cielo e il turgido mare. Appena la povera ragazza tese la mano, fu presa al laccio. Era caduta nelle mani del Dio vivente. Quando ne uscì, aveva mangiato il chicco della melagrana che la legava per sempre. Non era più vergine; era la sposa di Dio”.
“Amare la bellezza”? Bova ancora festeggia Core, la ragazza, di nome Persefone. La domenica delle Palme, con le “Persefoni”: una processione di grandi figure femminili di rami d’ulivo intrecciati, su telai di canne, punteggiate di fiori, e dei gialli e rossi degli agrumi – Bova, ricca di ulivi come tutta la Calabria, nutre agrumi portentosi. Core-Persefone è peraltro presente tutto l’anno: un comitato cittadino a Locri prepara la petizione, che una delegazione porterà biennalmente a Berlino, dove non viene ricevuta, per chiedere la restituzione della grande statua che è l’attrazione dell’Altes Museum, il museo antiquario della capitale tedesca, e ripristinare l’antico luogo di culto. Una statua gigante, di grande interesse anche per la simbologia, la mitologia, la linguistica. Fu tagliata a pezzi e trafugata dalla località La Moschetta (mesquita) nel 1911 da trafficanti tedeschi. Che poi la vendettero allo Stato Prussiano a caro prezzo. Legalmente, si dice, allora si potevano “esportare” i beni culturali, seppure non a pezzi e di nascosto. Ma in contanti: il museo berlinese non ha alcuna pezza giustificativa dell’acquisto.
Corrado Alvaro racconta il trafugamento in “Mastrangelina”.

L’anima del Sud è femminile
Nel “Quaderno X”, Simone Weil si interroga: “Se Core (Persefone) rappresenta veramente il chicco di grano, è una figura del Cristo”.  Core e Demetra, sua madre, sono le divinità della colonia greca di Locri, e delle sue tante sottocolonie, in Calabria sui due mari e fino al golfo di Taranto – Bova, sulla punta della Calabria, ancora celebre le “Persefoni” a Pasqua.
Core poi la filosofa accosta, nello stesso “Quaderno”, alle altre prefigurazioni del Cristo, Prometeo e Dioniso: “Le Oceanine sono compagne di Core come di Prometeo. Core è rapita nella pianura di Nisa, dove fu rapito Dioniso”. Nonché a Osiride, per l’equivalenza-discendenza che stabilisce fra i misteri egiziani e quelli greci e cristiani, uniti nella Passione, la Passione di Dio: “La Passione di Dio era l’oggetto stesso dei misteri egizi, e così pure dei misteri greci, in cui Dioniso e Persefone sono il corrispettivo di Osiride”. E ancora: “Tutte le divinità morte e resuscitate impersonate dal greco, Persefone, Atti, ecc., sono immagini del Cristo, e il Cristo ha riconosciuto questa somiglianza attraverso l’espressione: «Se il grano non muore… ». Ha fatto la stessa cosa rispetto a Dioniso dicendo: «Io sono la vera vite», e ponendo l’intera propria vita pubblica sotto il segno di due trasformazioni miracolose, una dell’acqua in vino, e l’altra del vino in sangue”.
Da Core viene generato Zagreo – “zangrei” sono tuttora in grecanico i pastori: “Zeus è diventato drago per generare Zagreo da Core mediante un bacio”.

Il battesimo del sangue, di toro
Si allarga la simbologia e al toponomastica del toro nella Piana del Medma, oggi Piana di Gioia Tauro – vedi

Fino a Tropea, all’attuale Capo Vaticano, in antico Taurinum Promontorium.  
Luigi M. Lombardi Satriani ne accosta in “De sanguine” il culto alla dea Cibele, “la Grande Madre frigia”. Che non  è attestato nella Magna Grecia, ma sì forse in quello dei Demetra, che invece vi fu diffusissimo, sebbene in forme non più cruente, cerealicolo e non sanguinario. “Il rituale di iniziazione ai suoi misteri”, di Cibele, scrive il decano degli antropologi italiani, consisteva nel taurobolium o battesimo del sangue di toro”. Un rito tramandato da Prudenzio, il prolisso poeta della tarda latinità, quindi ancora attivo nel IV e V secolo d.C.. “Secondo Prudenzio, che disprezzava il culto”, sintetizza Lombardi Satriani, “l’adepto doveva essere rigenerato dal sangue del toro sacrificato, e in tal modo sentirsi ai sacri misteri renatus”. Ciò si faceva “per “la purificazione dell’iniziato e la sua rinascita a nuova vita”. Il rito poteva venire rinnovato, ogni venti anni. Ma di alcuni si voleva che fossero “in aeternum renati”, una volta per sempre. Un variante era il criobolium, un battesimo col sangue di montone.
L’iniziato rinato, cioè dopo l’effusione del sangue, veniva nutrito col latte. La commistione dunque era già in atto tra riti cruenti e riti naturali, stagionali.
Tra i tanti sviluppi del taurobolium l’antropologo mette anche la pratica cristiana del battesimo, il lavacro attraverso un liquido.

Sudismi\sadismi
Arrestano un algerino dell’Is a Bellizzi, in provincia di Salerno, dove “si è rifugiato”, ricercato dalla polizia belga, e Marco Demarco del “Corriere della sera-Napoli (“Corriere del Mezzogiorno”) ci scopre oggi una serie di ignominie. Non che Bellizzi sia Molenbeek, no, anzi è un esempio di convivenza, gli immigrati convivono con i locali, negli stessi palazzi, sullo stesso pianerottolo. Il cognato dell’arrestato è anzi un imam facente funzioni, cioè uno che sa leggere – e non difende il cognato, anzi. Non che al Sud ci siano ghetti, no. E nemmeno sfruttamento, a ben guardare. Anche se gli immigrati nel salernitano, che quarant’anni fa erano un centinaio, ora sono 45 mila. E tuttavia Demarco ci scopre “tante piccole Molenbeek sulla Salerno-Reggio Calabria”. Non tante, due. In due remote località vicino Eboli, una a Campolongo e una a Tavernanova. A Tavernaona stanno “ammassati” – cosa inaudita - in una fabbrica conserviera abbandonata, la Mellone. A Campolongo in affitto in villette.

“Un tempo”, scrive Demarco, “queste erano villette per i turisti, con il mare che si nasconde dietro la pineta che Mussolini fece piantare al tempo delle grandi bonifiche”. La colpa è di Mussolini, non doveva piantare le pinete? Non doveva fare le grandi bonifiche? O le villette non andavano affittate?

“Le ex villette per turisti divenute dormitorio per braccianti: costano 400 euro al mese”, denuncia il  “Corriere della sera”.  È troppo o è poco?

Per la verità, Demarco precisa, la Salerno-Reggio Calabria di cui si parla non è l’autostrada ma la Statale 18 - altrimenti gloriosa. Ma senza autostrada non c’è fumo.

E poi la Salerno-Reggio non c’entra, nemmeno sotto forma di Statale: Tavernanova è una strada alla periferia di Eboli, che non sta sulla Statale, e Campolongo è Marina di Eboli, sul mare. Ma, certo, il diavolo è unitario.

Marco Demarco è giornalista di solito attento. Ma che ha fatto di male il Sud per meritarsi Napoli?

leuzzi@antiit.eu

Stupidario panamense

La scoperta qual è? Che Panama è un posto dove non si pagano le tasse? Anche negli altri paradisi fiscali, certo.

Perché altrove le fanno pagare tanto più care?

Puti, certo, e i cinesi, non si sa mai. Ma nemmeno un americano nella lista di Panama, nemmeno Trump? Ne va dell’onestà degli onesti reporter.

Quattrocento reporter per un’inchiesta. Che è il furto dei documenti di uno studio legale. Non sono troppi? Anche perché il furto - non perseguito, non perseguibile - non può averlo fatto che un servizio segreto.

E poi, Panama, non è un colonia americana? O l’aveva liberata Bush padre, occupandola?

E chi è wikileaks? È una tragedia o una commedia?

Pietà, risparmiateci un po’ di segreti.

Rapida e sapida Colette

La guerra in città, anche in campagna. Come le donne la vivono, la Grande Guerra era ancora per uomini soli, le bambine, i soldati che dal fronte scrivono alle donne, le donne che la guerra condanna al nubilato. In città tra gli allarmi e il carovita, e nelle case abbandonate delle retrovie.
Colette ha pubblicato varie raccolte dei suoi elzeviri sulla guerra al tempo della guerra. Sulla divisione netta tra uomini e donne, sulle gelosie femminili, e sulle paure, i prezzi, la scarsità, le mutilazioni – il soldato ritorna alla vita civile mutilato. Con l’occhio sempre sensibile alle “cose” invisibili - comuni, quotidiane: la fantasia e il linguaggio libero dei bambini,  i colori, i sapori, gli odori, i tepori, i freddi.
Questa raccolta si ripubblica con una nota che è un capolavoro di sintesi critica, di Francine Dugast: “La metafora della luce, in questa «camera illuminata», evoca anche i poteri della scrittura”. Di una scrittrice di cui si comincia ad apprezzare la tenuta, al di là del personaggio che finora l’ha oscurata: i critici le rimproverano una “mancanza di tenuta”, ma “noi oggi apprezziamo questa virtuosità del discontinuo” – “questo trattamento della cronologia in istanti di pienezza, in rivelazioni folgoranti che trascinano l’adesione del lettore nella ricezione rapida e sapida del tempo e dello spazio”. In poche righe tratteggia spietata la guerra nella guerra, tra le giovani in attesa, le signore in cerca di un eroe, e le vedove. O il mondo favoloso delle modelle che fissa in sei righe: “Nella mesta  eleganza del salone bianco, le mannequins danzano, l’una dopo l’altra, il passo della «sirena che avanza sulla sua natatoia caudale», e quello del «serpente eretto». Avanzano con pena, le ginocchia unite e legate, fendono l’aria come un’acqua pesante…”.  Ma più conta lo sguardo acuto – inedito – sul “territorio”, la lallazione infantile, le erbe, gli insetti, le anime in pena, la vita al chiuso e nel campo. In un momento di crisi coniugale, ma non lontana dalla verità: “La vita coniugale è più segreta e la solitudine a due più terribile e più incognita della giungla”.
C’è la guerra, ma la vita scorre come sempre lontano dal fronte. Questa è una sorpresa continua.
Colette, La chambre éclairée, Mille et une nuits, pp. 77 € 2,50