Urbano Cairo è un uomo
coraggioso - un imprenditore, uno che senza mezzi ha fatto tanto, in
trent’anni, anche meno, uomo di idee. Uno dei pochi nel ramo editoria che abbia
creato qualcosa di durevole nella lunga storia della Repubblica – sono tre: gli
altri due sono Scalfari e Berlusconi. Vendeva pubblicità per Berlusconi, si è
messo in proprio rilevando la Giorgio Mondadori Editore, la squadra di calcio
del Torino, La 7. Riportandole in bonis dal sostanziale fallimento. Nulla di
scandaloso che si proponga di salvare dal fallimento la Rcs: ha più titoli dei
tanti altri azionisti dei piani alti del “Corriere della sera”.
Ma comprarsi il “Corriere
della sera” senza sborsare un euro – in cambio de La 7… - dà la misura della
deriva del gruppo milanese. Cairo ha le spalle slide, poiché lo assisterà
nell’operazione Banca Intesa, e Bazoli, il patron di Banca Intesa, è uno che a
Milano ancora non ha fallito un colpo. Ma il passaggio di Rcs dagli Agnelli a
Cairo ha un che di malinconico. Anche perché al “Corriere” non lo sanno.
sabato 9 aprile 2016
Renzi impiccato al tribalismo
La denuncia di Delrio porta a
palazzo Chigi. Non a Renzi forse, sicuramente a Lotti e De Vincenti, forse pure
a Boschi. Questo si sa e si dice. Mentre si sa e non si dice che i Carabinieri
non accerteranno nulla, nessun dossieraggio è stato mai perseguito legalmente –
giusto Guareschi, che però ne fu vittima. E che, Delrio essendo deciso ad
andare fino in fondo, questo vuole dire andare via dal governo.
Ottimo amministratore –
ottimo sindaco di Reggio Emilia per dieci ani, e ottimo sottosegretario e
ministro - Delrio non sarà una perdita qualsiasi, un Lupi o una Guidi. Ma soprattutto
viene con lui al pettine il nodo più grosso dell’egotista Renzi: il tribalismo.
Fuori Delrio, il personalissimo governo di Renzi, molto extraparlamentare, non
avrà più membri di qualche rilievo che non siano fiorentini o toscani.
Letture - 253
letterautore
Ariosto – Si divertiva,
era ironico? Si direbbe di sì leggendolo. Ma Nicola Gardini, “Domenica” del “Sole
24 Ore” 23 agosto 2015 e Christian Rivoletti hanno dimostrato che l’ironia dell’Ariosto
è un “mito”, che nasce con l’estetica romantica di Schiller, Schlegel e
Schelling. Che può essere vero: Montaigne documenta nel “Viaggio in Italia” la
conoscenza diffusa del “Furioso”, anche nella valli di montagna come di un romanzo
di avventura e passioni, raccontato e anzi declamato per canti interi anche da
analfabeti. Ma è lo stesso Gardini poi a documentare, domenica sempre sul “Sole
24 Ore”, che un suo superaffollato Reading Group a Oxford sull’“Orlando
Furioso”, che ha visto accorrere italianisti, ispanisti, slavisti, anglisti,
francesisti, classicisti, storici, storici dell’arte, e anche gente di altre
università, sta concludendosi su toni da commedia.Ilclassicista e francesista, traduttore di teatro, David Maskell sta adattando
il poema alla scena con “furia creativa” sostanziata di inglese brioso, “abili
rime” e “l’esaltazione di una certa comicità”.
Che spesso è ammirevole: Se ne trova traccia – di Montaigne e dello
spirito comico – nelle volgarizzazioni dei pupari siciliani. Camilleri se ne è
avvalso ancora recentemente, per il racconto lungo “Il sorriso di Angelica”.
Autobio – “La letteratura
di memoria è l’ultimo rifugio delle canaglie”, argomenta un personaggio di Eco,
“Il pendolo di Foucault”.
Best-seller – “ll segreto
del best-seller? Avere poca fantasia”, confida Ken Follett a Stefania Parmeggiani
su “la Repubblica”. Era da sospettarlo: il best-seller deve scorrere veloce.
Italo Calvino –Sono
passati senza lasciare traccia i trent’anni della morte l’anno scorso: niente
studi, riedizioni, scoperte, inediti, rivalutazioni, revisioni. La
disattenzione è però generale – Pasolini si è salvato ma solo per il lato
scandalistico della morte. Mentre l’autore
è fertile: si rilegge con interesse immutato. Non trascinante, ma non voleva
esserlo. E piuttosto sperimentale, allora come oggi. Come se gli anni fossero
trascorsi senza incidere.
Calvino dà un senso di vuoto nella storia italiana recente. In quella
politica anche, probabilmente, di sicuro in quella culturale.
U. Eco - È scrittore di libri - biblioscrittore,
riscrittore. Come materia ha i libri, la biblioteca. C’è lo scrittore
d’avventura, d’azione, di gialli, di costume, etc,. e c’è il narratore di
libri - Borges ne è il prototipo.
Borges è misurato – sornione: sa che dei libri non c’è da fidarsi.
Eco è smisurato, sovrastato dalla bibliofilia.
Si disse da ultimo haunted
dalla rete, ne parlava come di un incubo. Perché moltiplica la psicosi del complotto,
e la disinformacija, ingenua o
perversa. Dopo essere stato pioniere e celebratore della rivoluzione digitale –
protagonista del “Pendolo di Fucault”, 1984, è il computer, che “scrive per l’autore”.
Ma temeva internet. Ho visto un mio profilo su wikipedia, raccontava da ultimo,
ho saputo che è facile rimediare agli errori, ho provato, è vero, e questo mi
sconcerta: chiunque può cambiarsi o cambiare i dati.
Un uomo del Seicento, si voleva ed è: curioso. Scrittore di romanzi
senz’anima, tutti di curiosità, ossessionato dalla ripetizione, dalla
variazione, dalla biblioteca, dalla incalcolabile, irriducibile “vertigine
della lista”, della classificazione. Nonché, più seriamente, dall’inconcludenza
della riflessione.
Si può dire uno che va a passo di gambero, giusto un suo titolo, se
non fu conservatore di ritorno. Postmoderno dopo essere stato araldo
dell’avanguardia decostruzionista. Con analisi filologiche e semiotiche
applicate ai “corpi” meno elevati e anzi quasi triviali, il “Conte di
Montecristo”, Mike Bongiorno,
Campanile..Poi anti-decostruzionista, con “I limiti dell’interpretazione”
e il successivo “Interpretazione e sovra interpretazione” – entrambi progettati
e editi negli Stati Uniti, in chiave cioè anti Derrida, allora dominante nelle
università americane.
Follia -
Lévi-Strauss ha gli “stati alterati della coscienza”, a proposito del “mistero
sciamanico” … attorno alla creazione estetica, di narratori, poeti, scultori,
ricamatori, danzatori…. Stati “alterati” in quando non abitudinari, ma anche
non regolamentari (grammaticali). E tuttavia comunicativi: intelligibili,
trasmissibili. Saranno questi stati alterati all’origine di tanta creatività in
condizioni psicotiche. Fino alla follia certificata. Di Alda Merini. Di Artaud:
le tante lettere che scrisse durante l’internamento in manicomio, trattato con
continui elettroshock, sono peraltro ben scritte e ragionate. Di Campana, Hölderlin,
dello stesso Nietzsche, che in manicomio riconosceva le persone, e suonava il
piano senza sbavature. Di “Incom”, il giovane Saro Napoli ora internato, dalla
versificazione spontanea, fertile, immaginativa, e insieme misurata e
significante. A stati dissociati, al limite della schizofrenia, si accenna
anche nella corrispondenza tra Rilke e Lou Salome.
Italia – Nel “Diario di
uno scrittore” Dostoevskij annota, un decennio dopo l’unità, che l’Italia con
l’unità si era immiserita. Rispetto a una civiltà italica che per “oltre
duemila anni” era stata “un’idea universale capace di riunire il mondo”. Dapprima
con la civiltà romana, poi con quella cristiana: “La scienza, l’arte, tutto si
rivestiva e penetrava di questo significato mondiale”. Ora, si chiede, “per che
cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio con la
diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno di second’ordine”. La
sua delusione è anche premonitrice: un regno, concludeva, “per di più pieno di
debiti non pagati e soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine”..
Marionette – Con la
chiusura del piccolo chiosco di Carlo Piantadosi al Gianicolo, dopo la sua
morte, Roma non ha più uno spettacolo di marionette – neanche nella forma brevissima
e ripetitiva del Pulcinella di Piantadosi. Ma in tutta Italia si può dire non
si fa più teatro di burattini, la forma più gradita di spettacolo, di piccoli e
grandi. I Cola? Gli Accettella? C’erano famiglie che coltivavano questa
tradizione, che evidentemente è troppo complessa per l’epoca – s’incontrano a
ogni angolo della città maschere mimiche nelle fogge più strane, anche
inventive, per un’elemosina, ma applicarsi al teatro no. Cuticchio ancora esercita
da Palermo ma come un caso da museo, nelle tv, nei festival, lo chiamano per
spiegare più che per fare spettacolo. .
letterautore@antiit.eu
Calvino aveva scoperto l’America
Un
memorabile “viaggio in America” – non è Tocqueville, ma è altrettanto
intelligente durevole. Che Calvino, partito per un anno sabbatico (spesato dalla
Fondazione Ford, con Arrabal, Hugo Claus e Claude Ollier) col proposito di non
scrivere l’ennesimo “libro sull’America”, stese rapidamente al ritorno, e poi
bloccò in secondo bozze, incerto. Anzi no, convinto, scriverà poco prima di
morire a Luca Baranelli, che fosse “troppo modesto come opera letteraria e non
abbastanza originale come reportage giornalistico”. Un altro mondo, un’altra
Italia.
L’America
di Calvino è più ampia e diffusa. Dispersa in un centinaio di pagine confluite
postume in “Eremita a Parigi”, e in varie corrispondenze per periodici e
riviste. Questa è la monografia bocciata nel 1962 al “visto si stampi”. Una
sorpresa dietro l’altra, ancora oggi: la teocrazia
americana vs. il politeismo
europeo, le single di New York, i pregi e difetti dei talk show (“Open End”
andava a esaurimento, anche alle due di notte), Boston cattolicizzata, dal
“duro cattolicesimo irlandese-americano”, il sindacato forte che seleziona gli
iscritti, scaricatori o spogliarelliste, come un’azienda, il culto del denaro
passato dall’accumulo al consumo, alla dispersione. E Wall Street già
“elettronica”, o l’“Orfeo negro” - il razzismo antirazzista che Sartre e
Senghor venivano elaborando a Parigi in parallelo con le indipendenze africane.
Nonché le impressioni d’autore. Manhattan “elettrica”, o lo snobismo di “noi villager”, i residenti del Greenwich
Village. Martin Luther King e Albernathy visti a Montgomery, in Alabama, nei
giorni della rivolta nel 1960, come leader soprattutto sobri: dubbiosi,
calibrati in ogni mossa. La lista sarebbe lunga dei pezzi di bravura.
Anche
come libro di viaggio, queste sue annotazioni si comparano molto favorevolmente
con i similari italiani – non una grande tradizione, il libro di viaggio non è
nelle corde italiche. Sembra Chatwin e Burton insieme, la curiosità umana e
quella culturale. Anche nelle idiosincrasie: non sa – sa di non sapere – parlare
dei beatnik, né del razzismo. Ma con un limite formidabile, quando deve fare
atto di contrizione al Pci, benché dissidente: il fecondissimo
costituzionalismo americano, la guerra civile contro il razzismo, il New Deal
di Roosevelt ridice a mezza pagina, in toni liquidatori, di Kennedy neppure il
nome – dovevano essere tempi duri per la cultura italiana. Non manca chi gli
dice che “l’America passa direttamente dalla barbarie alla decadenza”. La terra dell’“oblio dei rimorsi” – ferina?
Lo
scrittore Calvino comunque sfugge alla morsa. Troppo curioso. Dimezzata, la sua
escursione sarebbe un piccolo capolavoro – il re del levare qui si ripete
spesso. Ma sempre invoglia.
Al ritorno incontra a Parigi, casualmente, al bistrot Sartre, che gli parla molto, di sé. Un’altra storia. Non migliore.
Italo
Calvino, Un ottimista in America
(1959-1960), Oscar, pp. 237, ill., € 15Al ritorno incontra a Parigi, casualmente, al bistrot Sartre, che gli parla molto, di sé. Un’altra storia. Non migliore.
venerdì 8 aprile 2016
I duellanti delle banche centrali
In sedi separate ma
all’unisono, i membri del comitato esecutivo della Bce hanno garantito ieri che
il quantitative easing funziona: serve al credito e alla ripresa delle economie europee. È mancata all’unanimità Sabine Lautenschláger, che rappresenta la Bundesbank, col
fedelissimo lussemburghese Yves Mersch.
Da Basilea qualche giorno prima
la rivista trimestrale della Banca dei Regolamenti Internazionali aveva
statuito nell’editoriale che “le misure (anticrisi) delle banche centrali
sembrano in via di esaurimento”. La Bri, la “banca delle banche”, è da qualche
mese a capo della fronda alla Banca centrale europea. Da quando ne è presidente
Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank – la carica è a rotazione. Non
vanno bene i tassi negativi sui depositi delle banche, naturalmente, dice il
suo editoriale. Non funziona granché il riacquisto dei titoli del debito
pubblico europeo. E i mercati lo sanno:
“All’origine di parte delle turbolenze degli ultimi mesi vi è stata una
crescente percezione nei mercati finanziari secondo cui le banche centrali
potrebbero avere esaurito o quasi le opzioni di indirizzo efficaci”.
L’editoriale parla di “banche centrali”in genere, ma nel mirino non c’è la Federa Reserve o la Banca del Giappone, giusto la Bce. E precisamente le sue ultime decisioni di politica monetaria: il rafforzamento del quantitative easing, e i tassi negativi sui depositi delle banche.
L’editoriale parla di “banche centrali”in genere, ma nel mirino non c’è la Federa Reserve o la Banca del Giappone, giusto la Bce. E precisamente le sue ultime decisioni di politica monetaria: il rafforzamento del quantitative easing, e i tassi negativi sui depositi delle banche.
Weidmann rimprovera a Draghi
di aver favorito il lassismo nelle riforme strutturali del debito di cui molti
paesi dell’euro necessitano. Draghi è
invece convinto che imporre risanamenti drastici del debito in fase di
recessione e deflazione sia letale, e opera per “la ripresa prima”, pur
sollecitando le riforme. Opera anche da governatore di una banca centrale, che
può solo prendere decisioni di natura monteria e non può sovrapporsi ai governi e ai parlamenti,
imporre riforme, etc.
È questa polemica, senza
precedenti nella storia delle istituzioni monetarie, alla base
dell’inquietudine dei mercati finanziari. Tanto più che dura da troppi anni, e
non accenna a sussidere. Una polemica non accademica, anzi causa di molti danni. Con un indubbio elemento personale, molto malevolo, da
parte di Weidmann.
La sua Bri infatti denuncia
anche la crescita sempre inferiore alle tasse. E lo stesso dice dell’inflazione,
sempre in ritardo sulle attese. Quest’ultima
è una considerazione di pura perfidia da parte di uno che ha sempre combattuto
le politiche di Draghi contro la deflazione, negandola.
Una specie di muoia Sansone
con tutti i filistei? La Bri può poco sul piano operativo, ma la volontà di nuocere
può fare male.
Ombre - 311
Una donna
capo-azienda, presidente dei Giovani Industriali per dieci anni, ministro per
due, che si vuole “la sguattera del Guatemala” per il suo uomo, un piccolo arrivista,
peraltro già sposato, che si presenta come uno gnoccone di paese – niente di
Clark Gable, nemmeno di Mastroianni, la simpatica canaglia. È la cosa che più
fa soffrire di questa vicenda – che peraltro non è nemmeno di corruzione,
giusto anti-trivelle.
Si
commuove anche l’“Osservatore Romano”: il papa ricorda Scalfari il giorno del
suo compleanno, e ai giornalisti di “Repubblica” che lo omaggiano al termine
dell’udienza popolare del mercoledì, dice: “Fate gli auguri a Scalfari, un
rosario il mio regalo”. Alla
vigilia del ribaltone millenario sulla sessualità, che la chiesa conculcava.
Che manderà Scalfari come dono al papa?
È un
gesto nobile, quello del papa nei confronti di Scalfari, come un tempo usava
fra regnanti. Anche se remoti, erano tutti cugini.
Affettuoso
il papa vuole “capovolti” gli anni di Scalfari, e invece di 92 propone di
leggere 62, pur dicendolo “un giovanotto nel pieno dell’attività”. Imita la
gerenza di questo sito? Che però propone l’età allo specchio – il papa ha perso
una battuta.
Non è un’inchiesta
a orologeria, quella di Potenza, i giudici italiani non ne fanno. Fanno giusto
opera di carità alimentando i giornali ogni con novità – uno scandalo nello scandalo.
Come un fuoco d’artificio a catena. Dopo
Guidi Delrio. A quando Renzi? Non poteva non sapere.
La
Procura di Potenza smentisce il disastro ambientale. Dopo un settimana di disastri
indelebili. Con varie mozioni di sfiducia. Il disastro ambientale non è una
guerra tra appaltatori, è un disastro per tutti.
Una cosa
giusta Renzi l’avrà fatta: questi Procuratori non saranno senatori.
Sei anni
fa ci sono stati 21 morti e 650 feriti a Duisburg per un concerto gratuito. Per
rilanciare l’immagine della città. Dopo sei anni non c’è un colpevole, anzi non
c’è nemmeno da cercarlo. Gli organizzatori, la polizia, i soccorsi? I giudici
sin sono rifiutati di giudicare il caso. C’è lo Stato-mafia e c’è lo Stato-Stato:
la Germania si protegge inttaccabile. .
È il solito
scandalo preelettorale, quello di Potenza per gli abusi petroliferi? Sì,
l’inchiesta va avanti da almeno due anni. Serve all’inutile referendum
anti-trivelle
In
realtà questa nuova inchiesta di Potenza è quella vecchia di Woodcock,
aggiornata. Quindi di sei-sette anni. Una delle tante inchieste fantasiose che
il giudice impiantò o a Potenza per farsi trasferire a Napoli, la sua città.
Provenzano, cronico in ospedale, deve stare in
isolamento. Il ministro della Giustizia Orlando se ne lava le mani. Effetto
dello Stato-mafia: chi tocca i fili muore. Ma anche dello Stato terribilista,
come lo diceva Sciascia, che dopo cinquant’anni punisce terribilissimo i
delinquenti. Dopo averli cioè lasciati delinquere per cinquant’anni, mezzo
secolo, due generazioni.
Ben due
firme sul “Corriere della sera-Roma” per una notizia di cinque righe, F.Fia. e
Il.Sa. È vero che riguarda Bertolaso.
Ma riguarda una curiosa sentenza di un giudice di cui non diremo il nome, S.F.; il quale, non potendo giudicare Bertolaso
perché prescritto, però lo condanna: “Non si sono elementi per ipotizzare la
sussistenza di evidenti elementi in favore del proscioglimento nel merito, vi
sono numerosi e concordanti elementi di segno opposto”. Questo giudice è da tenere a mente, farà
carriera. Ma perché confidarsi a due cronisti invece di uno? Non è buon principio
mafioso.
Non c’è
dubbio che l’accordo Ue con la Turchia delega a Erdogan, a pagamento, i
“respingimenti” degli immigrati. L’unica soluzione che l’Europa ha trovato al
problema, alternativa all’accettazione
supina di chi arriva. Ma questo non si dice.
Il
Vaticano lo dice, ma senza eco. Nei giornali, nei tg, neppure alla Rai, che pure
non ci risparmia nulla del papa.
Renzi ha
resistito al piano Merkel per la Turchia sugli immigrati perché il Vaticano non
voleva. Leggendo “l’Unità” questo si capiva. Ma nessuno lo ha detto: collegare
la posizione del governo con quella del Vaticano. Lo stesso Renzi ha fatto
valere i suoi tre mesi di resistenza come uno dei tanti sgambetti dell’eterna
Germania-Italia. Il Vaticano, con tutto il papa Francesco, non paga più
politicamente?
Mario
Adinolfi si candida a sindaco di Roma e si esibisce nei caffè di quartiere con
sei cornetti, ripieni, accanto al cappuccino. Una prefigurazione?
Come
farsi fare la campagna gratis, ovvio – purché si parli di me. Ma perché a sindaco?
Etichette:
Il mondo com'è,
Informazione,
Ombre
Recessione - 47
Le recessione è ancora in atto:
Il
patrimonio familiare medio è diminuito del 16 per cento tra il 2010 e il 2014, secondo la Banca d’Italia. È diminuito ancora
nel 2015, presuntivamente.
I
prezzi tornano a decrescere - è la deflazione: si svende, non si accumula e non
si investe.
Il valore medio delle retribuzioni è ancora in calo, di almeno un 1 per
cento nel 2015 - caso unico in Europa.
La media nazionale delle retribuzioni è stata nel 2014 inferiore a quella
del 2004.
Le rendite (pensioni) sono anch’esse inferiore mediamente al 2004, per
effetto dell’aumento della fiscalità, indiretta, diretta e patrimoniale
(nazionale, regionale, comunale), e del rincaro dei beni di largo consumo, col
blocco della perequazione.
La vendetta fa boomerang
Siamo
a Dublino non molti anni fa, 2012, ma non si dice sui giornali che qualcuno si
è suicidato. Con ditte e matrimoni misti, cattolico-anglicani, che gli stessi
soggetti che vi si impegnano in vario modo risentono. Con le donne - mogli,
sorelle, fidanzate - che aspettano a casa gli uomini dalle ronde con le amanti,
anche non a pagamento. E con una mentalità inglese e una irlandese – il modo
sdi “sapere senza sapere”. Ma la suspense c’è:
nella scrittura. La scrittura dettaglista di Banville appiattisce la
vicenda - l’alto e il basso, il grave e il triviale, qui anche il Nord e il Sud
– ma è essa stessa suspense: crea una sua piccola adrenalina che invoglia la
lettura.
“Vengeance”
è il titolo originale, della vendetta boomerang, pubblicato come Benjamin
Black. Banville usa questo pseudonimo per i gialli, come a dirli mercanzia di
scarto, ma scrive sempre alla stessa maniera: elaborata, allusiva. Avvincente
per indefinitezza. Eccezione fa solo per i due caratteristi seriali, il dottor
Quirke e l’ispettore Hackett, inafferrabili, benché ripetitivi, e strambi, come
vuole la ricetta originaria Sherlock Holmes.
Benjamin Black, False piste, Guanda, pp. 280 € 17,50
Benjamin Black, False piste, Guanda, pp. 280 € 17,50
giovedì 7 aprile 2016
Il mondo com'è (256)
astolfo
Dottrina Obama – Il Medio
Oriente non è più prioritario per gli Usa, secondo Obama. Gli Usa devono darsi
delle priorità di politica internazionale, e difendere le zone d’influenza là
dove possono farlo con successo, senza invischiarsi in conflitti “che
dissanguano la credibilità e la potenza degli Stati Uniti”. Questo il nodo della
“Dottrina Obama”, la sintesi delle posizioni del presidente Usa in politica
estera da lui affidate a Jeffrey Goldberg, col titolo “The Obama Doctrine”, sul
mensile “The Atlantic” di aprile. È la “sindrome Vietnam”, non menzionata nel
saggio, rinverdita recentemente da Henry Kissinger nel voluminoso “L’ordine
mondiale”: gli Usa combattono da quindici anni una guerra in Medio Oriente che
non riescono a portare a conclusione.
Goldberg
schematizza in dieci punti la posizione di Obama. Con la revisione
presidenziale, di Benjamin Rhodes, del Consiglio Nazionale di Sicurezza (Nsa), redattore
dei discorsi di politica estera di Obama, e dello stesso presidente che ha
riletto il testo:
1.
Orgoglioso di non ave colpito Assad nel 2013 (dopo l’uso dei gas nervini alla
periferia di Damasco).
2.
È necessario spostare l’asse degli
interessi Usa dal Medio Oriente all’Asia e altre regioni.
2.
L’Ucraina sarà sempre vulnerabile all’influenza russa.
4.
Orgoglioso di aver contrastato John Kerry e la retorica degli attacchi militari
– in realtà di aver contrastato il Pentagono.
5.
L’Arabia Saudita deve condividere il Medio Oriente con l’Iran, come sub-potenze
stabilizzatrici.
6.
L’Is è il Joker dei fumetti – il genio del male di Batman, il killer inafferrabile,
esperto di esplosivi, torturatore, manipolatore, resistente a ogni attacco…
7.
Putin “non è completamente stupido”.
8.
Francia e Gran Bretagna hanno creato un pasticcio in Libia.
9.
L’Is non è una minaccia esistenziale, il mutamento climatico lo è.
10.Le lezioni di Netanyahu lo indispettiscono.
10.Le lezioni di Netanyahu lo indispettiscono.
Nulla
di eccezionale, eccetto che su un punto: il riaggiustamento delle priorità
americane, cominciando dal parziale disimpegno nel Medio Oriente, regione
ingovernabile. Alla critica
dell’establishment di Washington, che gli rimprovera il declino della potenza
Usa, Obama obietta che “il Medio Oriente non è più terribilmente importante per
gli interessi americani”. In subordine aggiunge che, “seppure il Medio Oriente
fosse di straordinaria importanza, c’è poco che il presidente americano possa
fare per renderlo un posto migliore”. Il riferimento qui è a Netanyahu, il
primo ministro israeliano, ch praticamente ha estromesso Obama da qualsiasi
coinvolgimento nella questione arabo-israeliana. Il presupposto è che “il mondo
non può permettersi di vedere la potenza americana indebolita”, come sta
avvenendo da un quindicennio appunto in Medio Oriente.
In
realtà, il senso di tutta la “Dottrina Obama” è questo: non un
ridimensionamento dell’influenza americana ma un riposizionamento. Col fine peraltro
di riacquistare credibilità, cioè di rafforzare l’influenza stessa. Eccettuato
il Medio Oriente, non c’è regione al mondo o problema che Obama ritenga
estranei agli interessi americani.
Easter Rising – La rivoluzione più
fallimentare sarà stata la più proficua? È quello che è successo a Dublino un secolo
fa, nella rivolta della settimana di Pasqua del 1916, tra il 24 e il 30 aprile -
le due Pasque a un secolo di distanza sono temporalmente speculari, una delle più
anticipate quest’anno, una delle più ritardate un secolo fa. Organizzata male, anzi non
organizzata, e domata facilmente, anche se a costo di molte vittime e molte
macerie – gli inglesi, contro cui l’Irlanda si rivoltava, avevano molti cannoni
in città. I nazionalisti irlandesi pensavano di trovarsi di fronte un nemico
indebolito, impegnato com’era nella guerra sul continente. E agirono d’accordo
con la nemica Germania, che mandò una nave piena di armi. Ma non
riuscirono nemmeno a sbarcare le armi. E avevano trascurato che con gli inglesi
combattevano 300 mila giovani irlandesi, con famiglie numerose in città e nel
paese.
La
rivolta si svolse quindi nell’indifferenza del popolo, nelle campagne e anche in
città. A Dublino, come vide e raccontò
James Stephens, lo scrittore stimato da Joyce, che pensò perfino di coinvolgerlo
nella continuazione di “Finnegas Wake”, opera sempre in progress, le folle si impegnarono ad assaltare le pasticcerie,
ben rifornite per le feste. Ma la rivolta fallimentare impose il principio
dell’indipendenza dell’Irlanda, che non tardò, almeno per una parte.
Germania
Dai
Sudeti al Paraguay e al Volga ha mantenuto un’identità forte attraverso i secoli.
Non alla maniera di altre emigrazioni, magari più di massa di quelle tedesche,
per esempio degli italiani, che perpetuano gli usi (alimentari, parentali,
religiosi) e la lingua per un paio di generazioni, per un moto naturale di
resistenza, ma in modo razziale. Per inbreeding,
lingua, folklore, sempre antagonizzando le popolazioni presso le quali si sono
trasferiti. Adesso in subordine alla grande immigrazione, il recupero dei
“tedeschi nazionali” è stato forte durante la prima fase della Repubblica
Federale, con vasti programmi di recupero e reinsediamento.
Quella
tedesca è una diaspora – un altro dei tanti modi di essere e argomentare che
avvicina semmai i tedeschi agli ebrei: il tribalismo.
È
tedesco pure Woody Allen, prussiano: di nome fa Königsberg, la città di Kant –
Allan Königsberg.
Imprese pubbliche – Si comparano
in modo favorevole – estremamente favorevole – col mercato liberalizzato e privatizzato.
Sia come gestione, sia come livello di corruzione politica (sottogoverno): la
protezione dei media e della giudicatura, di cui gode il mercato privatizzato,
non può nascondere i fatti. La deriva di Telecom rispetto alla Sip-Stet. I rincari
e i disservizi dell’elettricità privatizzata. Le banche Iri, prima e dopo: non
c’è comparazione possibile. Le infrastrutture del Sud, cui l’Iri provvedeva per
il 40 per cento dei suoi investimenti, oltre alla Cassa del mezzogiorno, ferme a
venticinque anni fa. Gli scampoli di Sme, un colosso alimentare frantumato
e svenduto, in una serie di marchi che mettono il cappello dell’italianità su produzioni eccentriche – un cavallo di Troia a molte teste contro l’agroindustria italiana.
I ritardi di Autostrade: quasi trent’anni per la “variante di valico”
Bologna-Firenze, la tratta Orte-Firenze ancora a doppia corsia stretta, idem la
Firenze-Mare. L’interruzione della cablatura che Stet aveva avviato col progetto
Proteo, che avrebbe proiettato l’Italia all’avanguardia nella comunicazione
elettronica – il progetto viene ripreso oggi da Enel, che però è aspramente
avversato dai soggetti privati..
Guardando
alle privatizzazioni, dopo un quarto di secolo, si trovano soprattutto e ovunque
macerie. Gli unici che ne profittano sono le “banche” d’affari: affaristi e
società di affaristi che comprano e vendono. Che sono poi gli stessi che fanno
l’informazione, tutta piegata a loro favore. senza mai un dubbio. Per non dire
dei giudici. Tutti pagano tangenti in certi mercati, specie quelli arabi e
asiatici: la mediazione è inevitabile. Ma solo quelle delle imprese ancora
pubbliche vengono perseguite dai giudici italiani - quasi sempre su denunce ascrivibili a interessi stranieri, concorrenti e\o servizi segreti. Resistono
i mercati esteri che l’Eni aveva aperto negli anni 1950, Egitto e Russia nel
1955, Iran nel 1957 – con la Libia dopo il golpe di Gheddafi, 1969: hanno
ancora l’Italia come primo, o tra i primi, partner economici. Ma con sempre
maggiori difficoltà. Gli interessi puntati a minare queste relazioni trovano
continui echi nei media e nelle Procure italiane, distruttivi senza ragione.
Sul
lato corruzione organica, o sottogoverno, l’elenco dei disastri privati è interminabile. Il più
sintomatico è il caso Sip-Telecom: una serie di favori a questo e quell’interesse monopolistico,
Agnelli, Colaninno, Tronchetti Provera, sotto la regia di Cuccia, il padrino di
questo malaffare, e infine un gruppo abbandonato, spolpato, alle banche, mentre il personale,
presto dimezzato, ora dovrà ridursi a un terzo e forse a un quarto. E non è tutto: molto più che a favore dei “salotti buoni”,
lo smembramento e la liberalizzazione della grandi imprese pubbliche si
sono fatti a beneficio delle fauci inesauste degli interessi politici locali.
Gli stessi che oggi, per fare un esempio paradigmatico, sullo smaltimento dei
rifiuti, sulla riconversione di Bagnoli, sulla potabilizzazione dell’acqua, sul
risanamento dei quartieri, rivendica il sindaco-tipo, il napoletano De Magistris,
senza averne la capacità e nemmeno la volontà, giusto per governare gli appalti
relativi. L’appropriazione degli interessi pubblici da parte del sottogoverno
locale è fortissima soprattutto nella sanità – dove oggi il giudice Cantore
scopre tangenti per seimila miliardi l’anno – e l’ambiente, i due maggiori
canali della spesa pubblica.
Restano
fuori dal ludibrio, tra i grandi gruppi privatizzati, Eni, Enel e Finmeccanica.
Ma perché sono fintamente privatizzati: operano sul mercato – su mercati anzi
difficili, molto internazionali, molto competitivi - ma in una logica ancora di
interesse pubblico: produttività, investimenti oculati e quindi creazione e non
distruzione di lavoro e reddito, limitazione del sottogoverno, attenzione alle appropriazioni indebite – la corruzione è impossibilitata dagli audit, e comunque è
ridotta, impercettibile rispetto ai flussi del privato sottogoverno.
Presidenziali Usa – I poteri del
presidente Usa sono decisivi e anzi totalitari per quanto concerne la politica
estera. Mentre la politica interna resta terreno prevalentemente parlamentare, condizionato
e deciso dal Congresso e dagli Stati dell’Unione. Ma le candidature nella lunga
campagna elettorale si definiscono esclusivamente in base alle questioni
interne agli Usa – la conoscenza dei fatti esterni è ridotta alla curiosità e
allo scherzo.
Turchia – Ritorna
di prepotenza ottomana. Dalla Siria fino all’Oman, e all’Egitto. È parte attiva
dei conflitti civili dentro la Siria. In Iraq combatte i curdi indipendentisti della
regione di Mossul e Kirkuk. In entrambi i paesi ha tenuto in vita, e tuttora
usa, l’Is. Aprirà una base militare nel Qatar, secondo un accordo firmato a
dicembre, forte di tremila soldati – un accordo simbolico, per i cent’anni dal
1915, quando le truppe ottomane chiudevano a Doha, la capitale dell’emirato, la
loro presenza nel Golfo Persico. E si presenta esportatrice di armi nella
regione. L’associazione delle industrie belliche turche, Musiad, ha organizzato
una fiera a settembre nel Qatar e altre ha in programma nel Kuwait e in Arabia
Saudita. I paesi arabi del Golfo hanno una spesa militare in forte espansione,
anche negli ultimi due anni malgrado il calo del prezzo del petrolio: La spesa per
la difesa dei paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo è aumentata del 66
per cento nei cinque anni dal 2010, da 74,7 a 124,1 miliardi di dollari. In
particolare per gli armamenti, la spesa complessiva dal 2007 è stata secondo il
Consiglio di 135 miliardi.
In questa ottica va visto il deterioramento improvviso delle
relazioni con Israele, che erano state invece strette in tutto il dopoguerra. E l’offerta
di sostegno diplomatico e collaborazione militare all’Egitto – prima di Al-Sisi,
è vero, con la presidenza dei fratelli Mussulmani (Al-Sisi è nemico giurato
dell’Is).
La riottomanizzazione
della Turchia va di pari passo, curiosamente, con la sua europeizzazione. Se
andrà a effetto l’accordo per gli immigrati con l’Unione Europea di fine marzo. L’accordo
infatti affida alla Turchia la regolazione degli afflussi di immigrati ai vari
Paesi europei secondo il vecchio accordo delle quote, una responsabilità
enorme. Accoglie di fatto la Turchia nel sistema di Schengen, o della libera
circolazione, abolendo i visti. E riavvia il negoziato per l’adesione della Turchia alla Ue
quale paese membro. Tre esiti di enorme importanza. Si capisce il potere che il
presidente Erdogan ha accumulato all’interno del Paese, per effetto di
questa duplice proiezione internazionale, in termini di influenza e di orgoglio
nazionale. Fino a spingerlo alla semi guerra civile contro i curdi turchi, e
alla chiusura dei giornali di opposizione, con l’accusa di tradimento.
Il mancato
riconoscimento delle minoranze e la violenza contro la libertà d’opinione dovrebbero
precludere a questa Turchia l’accesso a Schengen, nonché l’ammissione alla Ue.
Ma non è detto.
astolfo@antiit.eu
Eco fantastico
Tre favolette
moderne di cinquant’anni fa, in riedizione celebrativa, con illustrazioni a piena
pagina di Carmi, che sono il vero Eco: semplice, brioso, e incisivo. Degli atomi
ribelli che fuggono via dalle bombe dove sono in carica. Degli astronauti concorrenti,
russo, cinese e americano, che un marziano generoso –
ha sei braccia – mette d’accordo. Degli esploratori “esplorati”, dai lontani gnomi del pianeta Gnu, che
giustamente rifiutano la civiltà dei veleni, dei fumi, delle droghe e dei
rifiuti.
Allora, nel 1966, Eco
praticava la decostruzione della narrazione, ma qui si diverte a raccontare. Le
brevi favole, quasi apologhi, conciliano anche le sue ambizioni contrapposte,
di filosofo e di narratore, che finiva per filosofare nei romanzi e – meno –
divagare nella riflessioni: l’aneddoto fantastico concilia i due Eco. .
Eugenio Carmi-Umberto
Eco, Tre racconti, Bompiani, pp. 113,
ill., € 12
mercoledì 6 aprile 2016
Un piano Turchia anche per la Libia
Si difende Renzi, in Vaticano e con i suoi, per
l’accettazione del piano tedesco in favore della Turchia, con tre miliardi di
euro di contributi per l’emergenza immigrazione. Non poteva sottrarsi, spiega,
ma il sì ha condizionato a analogo schema di aiuto alla Libia, quando a giorni
il governo designato Serraj sarà in piena carica.
La Libia è il fronte di pieno successo che Renzi
coltiva, in mezzo ai problemi di tenuta del governo per l’offensiva delle
opposizioni via Procura di Potenza. Dopo aver resistito alle estenuanti pressioni
milanesi, da oltre sei mesi, per un intervento militare, Renzi sta ora vedendo
maturare l’opzione politica che lui ha difeso.
Se Fayed el-Serraj si consolida, il prossimo passo
sarà avere la Libia al fianco del’Italia nella prevenzione di un afflusso massiccio
di immigrati attraverso la Sirte – il canale verrà prevedibilmente riaperto dai trafficanti dopo la chiusura di
quello turco. Mediante un aiuto europeo consistente, anche se non delle dimensioni
di quello voluto dalla Germania per Erdogan in Turchia.
Etichette:
Il mondo com'è,
Si dice in città
Il nostro agente turco per i respingimenti
Il papa va a Lesbo per ribadire con più risalto mediatico
la denuncia dei respingimenti. Vuole andarci presto, subito: mai visita papale
fu affrettata come questa. Rischiosa anche, benché sostenuta dagli ortodossi,
il patriarca di Costantinopoli e l’arcivescovo di Atene, che condividono la sua
posizione.
Sui respingimenti le opinioni sono divise. Ma sono
indubbiamente un fatto di polizia. E sono l’unica soluzione che la Ue sa
proporre, in alternativa all’accettazione senza filtro e senza difese di questa
nuova orda, per quanto bisognosa e disarmata.
L’accordo che Angela Merkel ha voluto con la Turchia
è in realtà per un fronte dei “respingimenti”. Delegando a Erdogan le
funzioni di polizia, alle frontiere turche col Medio Oriente, e dalla Grecia
indietro alla Turchia. O altrimenti si dovrebbe pensare a una delega
alla Turchia di scremare gli immigrati e imporne poi il ricollocamento nei paesi
europei secondo le quote del vecchio piano mai entrato in funzione – impensabile.I collaboratori del papa, specie mons. Galantino, hanno provato insistentemente a impedire l’accordo, che però alla fine si è fatto, e ora è in atto.
Etichette:
Il mondo com'è,
Si dice in città
Il racconto della fine del mondo arabo
La vita al Cairo non molti anni fa, a
fumare il narghilè con gli amici, con un tè alla menta, chiacchierare della
rivoluzione socialista che non poteva mancare, nonché di come tirarsi fuori
dalle batoste di Israele, e inseguire la bella Qurunfula. In un paese governato
monocraticamente, da un bonapartismo che perpetuava la tradizione dei khedivé e
dei faraoni, ma nel quale il socialista Nahfuz era onorato del premio di Stato,
e poteva scrivere liberamente su “Al-Ahram”, il quotidiano più diffuso e
autorevole. .
Il primo Nobel arabo per la letteratura
non fa i salti mortali, ma i suoi racconti un mondo delineano, vecchio di
secoli e forse di millenni che dopo di lui all’improvviso è svanito. Fece in
tempo lui stesso, a 83 anni, nel 1994, sei anni dopo il Nobel, a subire un
attentato fondamentalista. Testimone di un mondo che si è disintegrato sotto la
spinta dell’islam dei principati del Golfo.
La nostalgia si moltiplica, sopraffatta
dall’imbarbarimento. Raddoppiata dalla copertina, con un fastoso vassoio di
caffè turco, menta e lukum. Non si è fatto in tempo a smaltire quella per Alessandria,
ultima città franca del Mediterraneo, per egiziani, islamici e cristiani
ugualmente, italiani, greci, libanesi, ebrei e quant’altro, come anche il
Cairo, a Ghezira, a Gamaliyyah, svanita col nazionalismo arabo nel 1956, che si
rimpiange il nazionalismo arabo, progressista seppure monocratico, sotto l’islamismo
– ora è l’Arabia Saudita che guida il mondo, e pensare che quarant’ani fa vi
era proibita radio Nasser, troppo rivoluzionaria per il reame. Si leggono
questi racconti come si legge il “De Reditu” di Rutilio Namaziano, la
letteratura della fine del mondo antico.
Nagib Mahfuz, Karnak Café, Il Sole 24 Ore, pp. 95 € 0,50
Stupidario calcistico
“Bonucci non mi ha dato nessuna testata. Sono stato
io a spingerlo”, dice l’arbitro Rizzoli del calciatore della Juventus. Ma le tv
e i giornali fanno vedere il contrario. Chi ha detto che l’occhio della tv ha
ragione? Come se non ci fosse una letteratura sterminata sulla “verità” dell’immagine.
Anche una tecnica, di cui l’Italia è maestra, da Torino (dove nacque il cinema)
a Roma.
O si adotta la moviola in campo a ragion veduta, per
aumentare il casino? Le discussioni libere nella “settimana”, su Sky e Rai,
sulle tv e le radio “libere”. A Roma i chiacchieratori professionali sono molti
di più dei tesserati delle due squadre cittadine, Roma e Lazio, contando fino
ai pulcini. Il business del calcio sarà la chiacchiera.
Si squalifica Higuaìn per quattro
partite, che si sa verranno ridotte a tre, e i giornali romani, “Messaggero”,
“Corriere dello Sport”, tifano contro.
Cioè per la squalifica integrale, senza sconto. Perché la quarta partita è
Napoli-Roma.
Dimenticano per questo anche l’odio
contro la Juventus, per il testa a testa Bonucci-Rizzoli.
Higuaìn in tv supereccitato conferma
l’impressione che si usino sostanze eccitanti. Non proibite, oppure tali che
sfuggono all’antidoping se non assunte continuativamente. La stessa impressione
che si ha vedendo correre una squadra per novanta minuti ininterrotti, e poi la
partita dopo vederla abulica: deve smaltire?
Rai 2 propone in prima serata il Gran
Premio di Formula Uno di cui tutti già sanno tutto, anche se non hanno visto la
diretta su Sky. Per non fare la “Domenica Sportiva” che invece farebbe un
grande pubblico. Solo tafazzismo?
martedì 5 aprile 2016
Secondi pensieri - 257
zeulig
Decostruzione – È
certamente eccessiva (contraddittoria) nella decontestualizzazione. E nella “necessità
del travisamento” di Harold Bloom. Contraria in entrambi i casi ai suoi
presupposti, della ricerca di un di più di verità.
Esoterismo – Perché
un’assurdità incoerente e illogica invece di una coerente e logica, argomentava
Joyce.
Gelosia – È possesso, ma
anche timore. E come tutti i timori si lega alla speranza. Se non, appunto,
nella forma possessiva: è in effetti, in questo caso, il segno di un amore che
non c’è – immedesimarsi nell’altro.
Nella pratica è l’acquisizione di una immunodeficienza: “Il geloso è
come un ipocondriaco, che diventa malato per paura di esserlo” (Umbero Eco, “L’isola
del giorno prima”, 339).
Gnosi – Si può dire il
vangelo contemporaneo, dell’età del Sospetto, o del Complotto – del segreto
iniziatico, cospirativo. Che viene, si diffonde, si impone, come conoscenza:
con l’allargamento della conoscenza, cioè con la comunicazione democratica.
Della conoscenza come potere, e del potere-conoscenza en petit comité, riservato, per segmentazioni, tribali , di razza,
religione, carboneria. Dei pochi che si ergono a guru, leader e sacerdoti in
virtù di saperi riservati.
Va anche insieme, paradossalmente, con la decostruzione. Che invece è
intesa come suo opposto. È il paradosso che Umberto Eco ha preso a denunciare
con costanza dal “Nome della Rosa”, e più dalle glosse al romanzo, la “Postille”
del 1983. Con costanza e quasi con paranoia – il morbo è virale - soprattutto a
partire dal “Pendolo di Foucault,” e poi negli ultimi “romanzi” – dei corposi pamphlets in realtà: “Il cimitero di
Praga” e “Numero zero”.
Infelicità - Herta Müller
raconta in “La paura non può dormire” di un amico suicida che cercava la
felicità, perché cercava la felicità: “Buttandosi dalla finestra non cercava la morte, ma solo una via
d’uscita dalla perenne infelicità della vita”. La rinuncia come un bene, la rinuncia
alla vita? È un’ipotesi – ipotetica per la stessa scrittrice, che ama le
sottigliezze: “Forse il suicidio è una ricerca estrema della felicità. Quando
il restare non è più sopportabile, evadere è la felicità”.
Mistero – Insondabile è quello dell’inizio. Quello della
fine si può evitarlo, l’eternità post
mortem: quando la morte interviene, noi non ci siamo più. Quello dell’inizio
invece ci segue – si impone – per tutta la vita: su quale eternità ci
innestiamo, l’eternità della materia o l’eternità di Dio?
Opinione pubblica – Heidegger, il filosofo che
più l’ha aborrita – la “dittatura del si”, del falso, dell’adulterazione, di
tutto ciò che è contrario alla “autenticità”, di cui si fa l’anamnesi e la condanna
in “Essere e tempo” – sarà stato quello che meglio l’ha saputa adottare e programmare:
la pubblicazione dei “Quaderni neri” è un capolavoro di uso della Öffentlichkeit. Fino all’abuso, nello
scandalo dell’antisemitismo, per buona misura falso - inesistente, gonfiato.
Si
ricordi “Essere e tempo”. § 27: “Nell’utilizzazione dei mezzi pubblici di
trasporto, nell’impiego dei mezzi d’informazione (giornali) ognuno è altro fra
gli altri”. Non più sé, ma altro: “Questo essere ‘l’un con l’altro’omologa
completamente il proprio esserci al modo d’essere «degli altri», e fa in modo che gli altri
scompaiano ancor più nella loro diversità e nella loro distinzione”. Quella del
“si” è un’autentica dittatura: “Noi godiamo e ci divertiamo come si gode; noi leggiamo, vediamo e
giudichiamo di letteratura e d’arte come si
vede e si giudica; ma altresì ci
distinguiamo dalla «massa» come ci si distingue; ci «indigniamo» di ciò di cui ci si indigna. Il si, che di preciso non è nessuno e che, benché non come somma,
tutti sono, prescrive il modo d’essere della quotidianità”. Nell’indistinzione
evapora la personalità col giudizio: “Ciascuno è l’altro e nessuno se stesso”.
Straordinario
– non solo in Heidegger, naturalmente - l’uso della “sfera pubblica” come
dominante, non solo dell’opinione ma della stessa cultura, e della filosofia in
essa, oggi tutto essendo öffentlich, di
quel particolare esoterismo che è connesso alla divulgazione, all’informazione.
Grazie alla superficialità, della ricezione, dell’elaborazione.
Non è il
segreto vs. il pubblico, che si
presta ai paradossi dei rovesciamenti (tanto più segreto quanto più pubblico),
ma la riflessione contro la superficialità. La “pubblicità” (Öffentlichkeit), la sfera pubblica, l’opinione
pubblica sono il dominio dell’informazione superficiale: allarmata, allarmistica
sempre, scandalistica, o massiccia, in forma di campagna, imposta, sempre per
qualche verso sotto pressione.
Postumano - La nostra seconda vita – di Rosi
Braidotti e altri - negli universi digitali, nel cibo geneticamente modificato,
nelle protesi intelligenti, nelle tecnologie della riproduzione, non conducono
al postumano. Almeno, non nel senso di un modo in cui l’umanità si scioglie.
Sono invece lo sviluppo dell’umanesimo dell’homo faber. L’assunto, peraltro, di una vita “oltre l’individuo, oltre
la specie, oltre la morte”, è vecchissimo – se non per la mutazione transgenica,
che non fuoriesce però qualitativamente dal vecchio innesto. È
un nuovo materialismo – nuovo-vecchio, di un darwinismo sacralizzato,
riduzionistico - ma non più di tanto.
Lo stesso animalismo non
è una novità – il logos animale risale
a Sesto Empirico, e forse a Crisippo, e nella cristianità a Boezio.
Vuoto – “Questo gran vuoto
del vuoto”, o “l’unico grande nulla”, Umberto Eco, “L’isola del giorno prima”,
sintetizza alchemicamente come “la Sostanza del tutto”. Ma di suo, “questo gran
vuoto del vuoto” lo prospetta in realtà come numero periodico.
Uno dei concetti, anche, senza realtà. Di ciò che si può legittimamente
pensare che non esistono, non al riscontro.
zeulig@antiit.eu
Il romanzo che non c’è
La trama è più lunga, si può
dire, del romanzo. Il fatto dirimente è questo: la lotta fra gli Stati per la
ricerca del punto fijo ovvero dell’antimeridiano di Greenwich,
“il nostro centottantesimo meridiano”: l’antipodo di Greenwich, “la linea oltre
la quale il tempo va indietro” – cioè dove il tempo non c’è: non è ieri e non è
oggi. Un colpo d’ingegno che il lettore paga a caro prezzo. Al principio con
l’assedio di Casale Monferrato, “la fortezza più importante dell’Italia del
Nord”, 1629, nel quale si distingue il Roberto-Umberto, protagonista, testimone
e narratore della plurima vicenda. Giusto per immergere il romanzo in una
temperie nazionale, non perché sia necessario. L’assedio di Casale è un topos del
Seicento: è quello dei “Promessi sposi”, Giovanni Maria
Tamburini ne ha fatto una battaglia geometrica per la Sala dei Ricami Indiani
di palazzo Colonna a Roma sotto il Quirinale. Eco ne fa volutamente un
calco. Un altro, uno dei tanti, lo fa in un attraversamento dei Pirenei, da
Giovambattista Marino. Anche l’isola che non c’è è materia di racconti
d’appendice, da più secoli, e fino a Edoardo Bennato e Johnny Depp – una
trattazione è in Gozzano, “La più bella”: l’Infante di Spagna, ricevuta
l’Isola-non-Trovava in dono da suo cugino il re del Portogallo, su bolla del
papa “in gotico latino”, fa vela per cercarla, ma “l’isola non c’era”…. Per
finire con l’isola che non c’è, che Roberto deve raggiungere non sapendo
nuotare - senza averne peraltro il tempo poiché l’isola è nel tempo che non
c’è. E qui siamo finiti nel labirinto, altro topos che sembra
piacere, nei mari del Sud, in forma di nave cimitero. Nel mezzo con repertori
interminabili, di “imprese” (“Simboli, Cenni”, etc., per sei righe – e manca
l’Aforisma), colombe, l’Alexipharmaca, i segni alfabetici, i tanti “argomenti”
contro il moto terrestre. Digressioni di ogni tipo, dai repertori che Eco,
bibliofilo incontinente, predilige. Una per tutte, la storia del cane utilizzato
per determinare la longitudine in assenza di un riferimento. S’imbarca un cane
ferito alla partenza, dopo aver urticato il punteruolo con la “polvere di simpatia”,
la polvere avrebbe “urtato” il cane ogni giorno alla stessa ora, il cane avrebbe
reagito gemendo, e così si poteva sapere sulla nave in navigazione che ora era
in quel momento al punto di imbarco, e derivare la longitudine. Rimedio fantasioso, naturalmente, ma non è
finita. A esso Eco sardonico oppone analogo meccanismo fantasioso, ma
scientifico, proposto da Galileo (in una lettera a Lorenzo Realio, 1637), sempre
per calcolare l’introvabile longitudine.
In filigrana c’è il romanzo del fratello Ferrante, che Roberto a
tratti si propone di scrivere. Un fratello maggiore che forse non è esistito,
proiezione del padre non amato dal protagonista narratore, proprio perché
prediligeva il primogenito. Oppure semplicemente l’“oggetto di fantasie
fanciullesche”, quelle cui indulgono i bambini soli – questa storia nella storia
si dissolve man mano che si dispiega, è solo un pretesto per massime sul
romanzo. C’è anche Galileo con lo Instrumentum Arcetricum. La
vicenda principale è il problema delle longitudini. Nel mezzo uno
scemenzario. Anzi, lo Scemenzario di uno scemenzario, che è la Conoscenza. La
“Vertigine della lista” sarà poi una delle ultime compilazioni di Eco, che non
riusciva a liberarsene: cominciando
dal “catalogo delle navi” dell’“Iliade” e finendo con Calvino e Borges, vi
repertorierà una lunga serie di elenchi di cose, più o meno ipotetiche - un
tentativo, dirà, di fissare e padroneggiare il mondo, compresa la stessa
libreria. Ma l’Autore non sembra divertito, e il lettore non vede
perché. Un polpettone. Illeggibile ai più, incommestibile ai pochi – e
tuttavia, riedito alla vigilia di Pasqua, subito esaurito.
Una parodia, sempre, del romanzo. Eco è venuto alla letteratura,
nel Gruppo 63, con la “fine del romanzo”, anzi la Fine del Romanzo, come usava
nel Seicento. Qui mette in scena un romanzo a più piani. Ma da disappetente:
alla fine pure l’autore sembra arrendersi. Anche il piano storico, il più
semplice, risolve in una tela di fondo forse veridica, ma piuttosto
imbrogliata. Il materialismo e l’incredulità si scontrano col gesuitismo senza
soluzione: Roberto-Umberto è all’inizio con Saint-Savin, un pirroniano
libertino che pone il dissidio insolubile tra creazione e eternità (“la prima
qualità di ogni uomo è il disprezzo della religione”), e alla fine con un
vecchio scienziato gesuita – nel mezzo con numerosi religiosi: il viaggio della
vita Roberto de la Brive fa in compagnia di religiosi, un padre Emanuele, un
cappuuccino, un carmelitano e da ultimo il gesuita scienziato Caspar
Wanderdrossel (“tordo vagante”), che sacramenta (“Un Saggio? Certamente
sì, o almeno un erudito, e un curioso sia di scienze naturali che divine. Un
esaltato? Sicuramente…”). Richelieu c’è, e anche Mazzarino (“un tal Giulio
Mazzarini, un siciliano, un plebeo romano…”), che è quelo che pone il problema
del punto fijo, ma è come non ci fossero, comparse. Galileo serve a
presentare e discutere la teoria copernicana e quella tolemaica, entrambe
“vere”. Per non dire dell’antimeridiano di Greenwich. Il
protagonista deve imparare a nuotare per cavalcare il meridiano inesistente fluttuando
“a fior d’acqua, gli occhi al cielo… su quel ciglio che separava l’oggi dal
giorno prima, al di fuori del tempo, in un eterno mezzogiorno” – questo è
“L’Itinerario Estatico Celeste”. Sempre naufrago, o sul punto di naufragare,
sempre discetta incurante, anche di Dio e della Redenzione. Ma dicendosi: “In
verità Roberto non era convinto dei suoi argomenti”.
Eco risolve il romanzo nel pastiche, nella elaborazione filologica. Nel discorso del romanzo. Dei generi e non degli autori. Senza misura, e quindi sempre irrisolto: l’ironia dissolve e non coagula – la misura giusta del pastiche sarà quella di Proust, “Pastiche et mélanges”, di prose brevi, scherzose più che affannate, di satira amichevole (fare il verso a qualcuno). Qui il pastiche è filosofico. Nel senso dell’impossibilità della filosofia, dell’inconcludenza – il protagonista che passa lunghi capitoli a imparare a nuotare è la metafora di questa conoscenza: il tempo e lo spazio, il vuoto, il Dio di Spinoza, la pluralità dei mondi. Lo è all’inizio e poi alla fine: “Il Serraglio degli stupori”, “Il Labirinto del Mondo”, “Il Cannocchiale Aristotelico”, “Le Passioni dell’Anima” sono tra i primi capitoli, “La Pluralità de Mondi”, “L’uomo al Punto”, “Itinerario Estatico Celeste” tra gli ultimi. Ma finiscono per non dire nulla poiché non risolvono nulla, non giungono mai a una conclusione.
Eco risolve il romanzo nel pastiche, nella elaborazione filologica. Nel discorso del romanzo. Dei generi e non degli autori. Senza misura, e quindi sempre irrisolto: l’ironia dissolve e non coagula – la misura giusta del pastiche sarà quella di Proust, “Pastiche et mélanges”, di prose brevi, scherzose più che affannate, di satira amichevole (fare il verso a qualcuno). Qui il pastiche è filosofico. Nel senso dell’impossibilità della filosofia, dell’inconcludenza – il protagonista che passa lunghi capitoli a imparare a nuotare è la metafora di questa conoscenza: il tempo e lo spazio, il vuoto, il Dio di Spinoza, la pluralità dei mondi. Lo è all’inizio e poi alla fine: “Il Serraglio degli stupori”, “Il Labirinto del Mondo”, “Il Cannocchiale Aristotelico”, “Le Passioni dell’Anima” sono tra i primi capitoli, “La Pluralità de Mondi”, “L’uomo al Punto”, “Itinerario Estatico Celeste” tra gli ultimi. Ma finiscono per non dire nulla poiché non risolvono nulla, non giungono mai a una conclusione.
Un sogno e una tentazione impossibili del lettore smisurato, per
di più curioso di tutto. Uno sberleffo, se Eco si è divertito. Un Calvino
diluito, e riportato indietro al Seicento, tra Barocco e Scienza, invece che
nel futuro. Un romanzo d’autore anche nel senso che è pieno di frasi famose.
Lievi: sulla gelosia, la bellezza (“la bellezza del giorno è come una bellezza
bionda, mentre la bellezza della notte è una bellezza bruna”), l’amore
(“l’assenza è all’amore come il vento al fuoco: spegne il piccolo, fa avvampare
il grande”), o piuttosto il disamore, etc. E pesanti, che però non sono un
punto fermo, da ogni ipotesi zampillando un’altra ipotesi. “Non c’è pensiero
più tremendo, specie per un filosofo, di quello del libero arbitrio”. “Nella
vita le cose accadono perché accadono, ed è solo nel Paese dei Romanzi che
sembrano accadere per qualche scopo o provvidenza”. Il bruniano (non
attribuito) “unico grande Nulla, che è la Sostanza del tutto. Regolata da una
maestosa Necessità”. Accettando e rifluendo nella quale l’uomo confluisce nello
spinoziano (non attribuito) “Amore Intellettuale di Dio”. Mentre Giuda, come
già in Caillois, è condannato a vivere “sempre nel venerdì santo”, incatenato
ai piani divini dei quali dev’essere la vittima sacrificale – “Era dunque
scritto fin dall’inizio che io fossi dannato a essere dannato”? Che sembra
irridente, e anzi blasfemo. Ma “ciò che assilla il filosofo” è “il mistero
dell’inizio” e non “la naturalezza della fine”, “la “angosciosa domanda su
quale eternità ci abbia preceduti: l’eternità della materia o l’eternità di
Dio?”
Umberto Eco, L’isola del giorno prima, Corriere della sera, pp. 476 € 9,90
Umberto Eco, L’isola del giorno prima, Corriere della sera, pp. 476 € 9,90
lunedì 4 aprile 2016
A Sud del Sud - Il Sud visto da sotto (281)
Giuseppe Leuzzi
Nel
“Convivio“ di Dante Federico II di Svevia, lo stupor mundi di Palermo e dintorni, è “vento di Soave”. Herta Müller, “La
paura che non può morire”, ricorda i suoi “cosiddetti conterranei del Banato”
svevo, in Romania, nazisti ancora “nel 1969 e nel 1970, e pure negli anni
successivi”. Il Nord trasposto a Sud sarebbe stato migliore?
Che
possiamo farci noi?, sembra dire il presidente (ex) del Parco dell’Arcipelago
Toscano, Mario Tozzi, sentito sull’erosione delle coste toscane, la più profonda
e più ampia in Italia: “La mia Toscana è in buona compagnia”, si difende, “si
pensi a cosa accade in Calabria o sul litorale romano”. Dove però l’erosione è molto
più contenuta: Tozzi vuole solo dire che la Toscana è e resta migliore – vuoi mettere
la Toscana con la Calabria?.
Amare la
bellezza
Simone
Weil, “Forme dell’amore implicito di Dio”: “La tendenza naturale dell’anima di
amare la bellezza è la trappola più frequente di cui si serve Dio per aprirla
al soffio che viene dall’alto. È la trappola in cui cadde Core. Al profumo dei
narcisi sorridevano tutta la terra, la volta del cielo e il turgido mare.
Appena la povera ragazza tese la mano, fu presa al laccio. Era caduta nelle
mani del Dio vivente. Quando ne uscì, aveva mangiato il chicco della melagrana
che la legava per sempre. Non era più vergine; era la sposa di Dio”.
“Amare la bellezza”? Bova ancora
festeggia Core, la ragazza, di nome Persefone. La domenica delle Palme, con le
“Persefoni”: una processione di grandi figure femminili di rami d’ulivo
intrecciati, su telai di canne, punteggiate di fiori, e dei gialli e rossi
degli agrumi – Bova, ricca di ulivi come tutta la Calabria, nutre agrumi
portentosi. Core-Persefone è peraltro presente tutto l’anno: un comitato
cittadino a Locri prepara la petizione, che una delegazione porterà
biennalmente a Berlino, dove non viene ricevuta, per chiedere la restituzione
della grande statua che è l’attrazione dell’Altes Museum, il museo antiquario
della capitale tedesca, e ripristinare l’antico luogo di culto. Una statua
gigante, di grande interesse anche per la simbologia, la mitologia, la
linguistica. Fu tagliata a pezzi e trafugata dalla località La Moschetta (mesquita) nel 1911 da trafficanti
tedeschi. Che poi la vendettero allo Stato Prussiano a caro prezzo. Legalmente,
si dice, allora si potevano “esportare” i beni culturali, seppure non a pezzi e
di nascosto. Ma in contanti: il museo berlinese non ha alcuna pezza
giustificativa dell’acquisto.
Corrado Alvaro racconta il
trafugamento in “Mastrangelina”.
L’anima del Sud
è femminile
Nel
“Quaderno X”, Simone Weil si interroga: “Se Core (Persefone) rappresenta
veramente il chicco di grano, è una figura del Cristo”. Core e Demetra, sua madre, sono le divinità
della colonia greca di Locri, e delle sue tante sottocolonie, in Calabria sui
due mari e fino al golfo di Taranto – Bova, sulla punta della Calabria, ancora
celebre le “Persefoni” a Pasqua.
Core
poi la filosofa accosta, nello stesso “Quaderno”, alle altre prefigurazioni del
Cristo, Prometeo e Dioniso: “Le Oceanine sono compagne di Core come di
Prometeo. Core è rapita nella pianura di Nisa, dove fu rapito Dioniso”. Nonché
a Osiride, per l’equivalenza-discendenza che stabilisce fra i misteri egiziani
e quelli greci e cristiani, uniti nella Passione, la Passione di Dio: “La
Passione di Dio era l’oggetto stesso dei misteri egizi, e così pure dei misteri
greci, in cui Dioniso e Persefone sono il corrispettivo di Osiride”. E ancora:
“Tutte le divinità morte e resuscitate impersonate dal greco, Persefone, Atti,
ecc., sono immagini del Cristo, e il Cristo ha riconosciuto questa somiglianza
attraverso l’espressione: «Se il grano non muore… ». Ha fatto la stessa cosa
rispetto a Dioniso dicendo: «Io sono la vera vite», e ponendo l’intera propria
vita pubblica sotto il segno di due trasformazioni miracolose, una dell’acqua
in vino, e l’altra del vino in sangue”.
Da
Core viene generato Zagreo – “zangrei” sono tuttora in grecanico i pastori:
“Zeus è diventato drago per generare Zagreo da Core mediante un bacio”.
Il
battesimo del sangue, di toro
Si allarga la simbologia e al
toponomastica del toro nella Piana del Medma, oggi Piana di Gioia Tauro – vedi
Fino a Tropea, all’attuale Capo
Vaticano, in antico Taurinum Promontorium.
Luigi M. Lombardi Satriani ne accosta in
“De sanguine” il culto alla dea Cibele, “la Grande Madre frigia”. Che non è attestato nella Magna Grecia, ma sì forse
in quello dei Demetra, che invece vi fu diffusissimo, sebbene in forme non più
cruente, cerealicolo e non sanguinario. “Il rituale di iniziazione ai suoi
misteri”, di Cibele, scrive il decano degli antropologi italiani, consisteva
nel taurobolium o battesimo del
sangue di toro”. Un rito tramandato da Prudenzio, il prolisso poeta della tarda
latinità, quindi ancora attivo nel IV e V secolo d.C.. “Secondo Prudenzio, che
disprezzava il culto”, sintetizza Lombardi Satriani, “l’adepto doveva essere
rigenerato dal sangue del toro sacrificato, e in tal modo sentirsi ai sacri
misteri renatus”. Ciò si faceva “per
“la purificazione dell’iniziato e la sua rinascita a nuova vita”. Il rito
poteva venire rinnovato, ogni venti anni. Ma di alcuni si voleva che fossero “in aeternum renati”, una volta per
sempre. Un variante era il criobolium,
un battesimo col sangue di montone.
L’iniziato rinato, cioè dopo l’effusione del sangue, veniva nutrito col latte.
La commistione dunque era già in atto
tra riti cruenti e riti naturali, stagionali.
Tra i tanti sviluppi del taurobolium l’antropologo mette anche la
pratica cristiana del battesimo, il lavacro attraverso un liquido.
Sudismi\sadismi
Arrestano
un algerino dell’Is a Bellizzi, in provincia di Salerno, dove “si è rifugiato”,
ricercato dalla polizia belga, e Marco Demarco del “Corriere della sera-Napoli
(“Corriere del Mezzogiorno”) ci scopre oggi una serie di ignominie. Non che
Bellizzi sia Molenbeek, no, anzi è un esempio di convivenza, gli immigrati
convivono con i locali, negli stessi palazzi, sullo stesso pianerottolo. Il
cognato dell’arrestato è anzi un imam facente funzioni, cioè uno che sa leggere
– e non difende il cognato, anzi. Non che al Sud ci siano ghetti, no. E nemmeno
sfruttamento, a ben guardare. Anche se gli immigrati nel salernitano, che quarant’anni
fa erano un centinaio, ora sono 45 mila. E tuttavia Demarco ci scopre “tante
piccole Molenbeek sulla Salerno-Reggio Calabria”. Non tante, due. In due remote
località vicino Eboli, una a Campolongo e una a Tavernanova. A Tavernaona
stanno “ammassati” – cosa inaudita - in una fabbrica conserviera abbandonata,
la Mellone. A Campolongo in affitto in villette.
“Un
tempo”, scrive Demarco, “queste erano villette per i turisti, con il mare che
si nasconde dietro la pineta che Mussolini fece piantare al tempo delle grandi
bonifiche”. La colpa è di Mussolini, non doveva piantare le pinete? Non doveva
fare le grandi bonifiche? O le villette non andavano affittate?
“Le
ex villette per turisti divenute dormitorio per braccianti: costano 400 euro al
mese”, denuncia il “Corriere della
sera”. È troppo o è poco?
Per
la verità, Demarco precisa, la Salerno-Reggio Calabria di cui si parla non è
l’autostrada ma la Statale 18 - altrimenti gloriosa. Ma senza autostrada non
c’è fumo.
E
poi la Salerno-Reggio non c’entra, nemmeno sotto forma di Statale: Tavernanova
è una strada alla periferia di Eboli, che non sta sulla Statale, e Campolongo è
Marina di Eboli, sul mare. Ma, certo, il diavolo è unitario.
Marco
Demarco è giornalista di solito attento. Ma che ha fatto di male il Sud per meritarsi
Napoli?
leuzzi@antiit.eu
Stupidario panamense
La scoperta qual è?
Che Panama è un posto dove non si pagano le tasse? Anche negli altri paradisi
fiscali, certo.
Perché altrove le
fanno pagare tanto più care?
Puti, certo, e i cinesi, non si sa mai. Ma nemmeno un americano
nella lista di Panama, nemmeno Trump? Ne va dell’onestà degli onesti reporter.
Quattrocento reporter
per un’inchiesta. Che è il furto dei documenti di uno studio legale. Non sono
troppi? Anche perché il furto - non perseguito, non perseguibile - non può averlo fatto che un servizio segreto.
E poi, Panama, non è
un colonia americana? O l’aveva liberata Bush padre, occupandola?
E chi è wikileaks? È
una tragedia o una commedia?
Pietà, risparmiateci
un po’ di segreti.
Rapida e sapida Colette
La guerra in città, anche in
campagna. Come le donne la vivono, la Grande Guerra era ancora per uomini soli,
le bambine, i soldati che dal fronte scrivono alle donne, le donne che la
guerra condanna al nubilato. In città tra gli allarmi e il carovita, e nelle
case abbandonate delle retrovie.
Colette ha pubblicato varie raccolte
dei suoi elzeviri sulla guerra al tempo della guerra. Sulla divisione netta tra
uomini e donne, sulle gelosie femminili, e sulle paure, i prezzi, la scarsità, le
mutilazioni – il soldato ritorna alla vita civile mutilato. Con l’occhio sempre
sensibile alle “cose” invisibili - comuni, quotidiane: la fantasia e il
linguaggio libero dei bambini, i colori,
i sapori, gli odori, i tepori, i freddi.
Questa raccolta si ripubblica con
una nota che è un capolavoro di sintesi critica, di Francine Dugast: “La
metafora della luce, in questa «camera illuminata», evoca anche i poteri della
scrittura”. Di una scrittrice di cui si comincia ad apprezzare la tenuta, al di
là del personaggio che finora l’ha oscurata: i critici le rimproverano una
“mancanza di tenuta”, ma “noi oggi apprezziamo questa virtuosità del
discontinuo” – “questo trattamento della cronologia in istanti di pienezza, in
rivelazioni folgoranti che trascinano l’adesione del lettore nella ricezione rapida
e sapida del tempo e dello spazio”. In poche righe tratteggia spietata la guerra
nella guerra, tra le giovani in attesa, le signore in cerca di un eroe, e le
vedove. O il mondo favoloso delle modelle che fissa in sei righe: “Nella mesta eleganza del salone bianco, le mannequins danzano,
l’una dopo l’altra, il passo della «sirena che avanza sulla sua natatoia
caudale», e quello del «serpente eretto». Avanzano con pena, le ginocchia unite
e legate, fendono l’aria come un’acqua pesante…”. Ma più conta lo sguardo acuto – inedito – sul
“territorio”, la lallazione infantile, le erbe, gli insetti, le anime in pena,
la vita al chiuso e nel campo. In un momento di crisi coniugale, ma non lontana
dalla verità: “La vita coniugale è più segreta e la solitudine a due più terribile
e più incognita della giungla”.
C’è la guerra, ma la vita scorre
come sempre lontano dal fronte. Questa è una sorpresa continua.
Colette, La chambre éclairée, Mille et une nuits, pp. 77 € 2,50
Iscriviti a:
Post (Atom)