Adorno – È bizzarro
che, nella disillusione e la rilettura di Heideger alla luce dei “Quadern Neri”
, il suo nome non venga nemmeno menzionato. Che pure aveva anticipato queste riletture,
già negli anni 1930, cioè subito, poi
nella “Dialettica dell’illuminismo”, in “Minima moralia” e nel “Gergo
dell’autenticità”.
Un
capitale di anticonformismo – di verità a sorpresa. Di verità “minime”. Non
solo nei “Minima moralia”. Lo marchia soprattutto l’avversione di Hannah
Arendt, che non tollerava critiche a Heidegger, il suo amore intemerato – e neppure
a Jaspers, il suo maestro, che Adorno accomuna a Heidegger nel “Gergo dell’autenticità”.
Nel 1963, difendendosi di avere scritto un articolo (in “Die Musik”) nel 1934 con
citazione di Goebbels e apprezzamenti per Schirach, il capo della Hitler-Jügend,
la gioventù nazista, Adorno riconobbe
“stupidamente tattiche” le sue parole, nella certezza che il nazismo non
potesse durare, e rincarava che il vero nazista era Heidegger, “la cui filosofia
è fascista fin nei suoi più intimi elementi”. Hannah Arendt la prese malissimo
scrivendo a Jaspers: lo accusò di acculare Heidegger all’antisemitismo per pura
cattiveria, lo dice”uno degli uomini più ripugnanti che conosca” e afferma che,
“mezzo ebreo”, aveva “sperato” a nazismo inoltrato “di farla franca grazie alla
sua discendenza italiana per parte di madre”.
In
realtà Adorno usava i due cognomi, del padre, Wiesegrund, e della madre. E non
accusava Heidegger di antisemitismo: riprovava, con lui, tutti quelli che
“Auschwitz non esiste”. Ma faceva di peggio (meglio?): lo acculava alla cerchia
dell’“autenticità”, tutta ebraica, Rosenzweig, Buber, etc.
La
polemica anti-Heidegger di molti heideggeriani lo riporta a galla – dovrebbe,
non lo fa. Heidegger è oggetto della critica radicale di Adorno dagli inizi, per
una ontologia metafisicizzata. E più nel
tardo dopoguerra, a metà anni 1960, nel “Gergo dell’autenticità”, elevata
criticamente a “Ideologia tedesca”, la consolazione della superiorità nella
sconfitta, la chiusura risentita in sé.
Coscienza – Si
può mentire in buona coscienza? “Su un preteso diritto di mentire per umanità”
è il noto quesito di Kant. Il quesito si ripropone col ritorno del martirio per
ragione di fede, in Cina, nel mondo islamico: si può mentire per la religione, sulla religione?
Non si può costringere una persona a un’azione contraria alla sua coscienza. Caillois ha, in “Ponzio Pilato,”, un Cicerone-Xenodoto che lo argomenta – in un libro che Cicerone non scrisse, “De finibus potetiae deorum”, sui limiti della potenza degli dei, nel quale avrebbe ripreso le argomentazioni di uno Xenodoto, che era in realtà un filologo, organizzatore della biblioteca di Alessandria ma reputato dai successori per la sua “ignoranza” - come editore di Omero, Esiodo e altri. Da Xenodoto-Cicerone Ponzio Pilato si fa dire che “le divinità, gli astri, le leggi cosmiche, lo stesso inesorabile Destino”, messi insieme, “non potevano costringere il Giusto a un’azione che la sua coscienza gli proibiva”.
Non si può costringere una persona a un’azione contraria alla sua coscienza. Caillois ha, in “Ponzio Pilato,”, un Cicerone-Xenodoto che lo argomenta – in un libro che Cicerone non scrisse, “De finibus potetiae deorum”, sui limiti della potenza degli dei, nel quale avrebbe ripreso le argomentazioni di uno Xenodoto, che era in realtà un filologo, organizzatore della biblioteca di Alessandria ma reputato dai successori per la sua “ignoranza” - come editore di Omero, Esiodo e altri. Da Xenodoto-Cicerone Ponzio Pilato si fa dire che “le divinità, gli astri, le leggi cosmiche, lo stesso inesorabile Destino”, messi insieme, “non potevano costringere il Giusto a un’azione che la sua coscienza gli proibiva”.
Ma
la coscienza di Caillois-Cicerone-Xenodoto non può sottrarsi alla legge, o alla
conformazione di male e di bene. Umberto Eco argomenta il contrario, “L’isola
del giorno prima”: “La prima
qualità di un onest’uomo è il disprezzo della religione”. Ma lo fa argomentare
a un libero pensatore, che poi cancella.
Heidegger – Bourdieu, “L’ontologia
politica di Martin Heidegger” (tradotto “Führer della filosofia? L’ontologia…”),
ne fa un campione della “dissimulazione”, volendo argomentare il contrario.
Bordieu critica chi trascura l’autonomia dello “spazio filosofico” rispetto
all’impegno politico. Ma poi mostra come questi spazi Heidegger articoli
nell’“ambiguità”, e non a caso o per errore, ma per una precisa strategia di
comunicazione. Ha dovuto, ma di più voluto, atteggiarsi, per una sua propria
idea del suo pensiero e del suo spazio pubblico. Da qui allusioni, sottintesi, qui
lo dico e qui lo nego, affermazioni-distinzioni. Ciò non gli ha impedito di
“produrre” un “discorso filosofico”, indenne anche da condizionamenti politici
o partitici, ma senza spiegare le strategie linguistiche, le ragioni del dire e
non dire –non potevo, non era possibile, non ho avuto il coraggio, una
qualsiasi ragione. In realtà fino all’ultimo,
all’intervista che ha voluto postuma con lo “Spiegel”, non ha disgiunto
il “discorso filosofico” dall’impegno politico.
Incontro – Si dirada come
esperienza personale e si moltiplica nelle comparsate televisive, in politica,
nelle scelte culturali, e perfino come esperienza personale, in forma di transfert,
nel divismo e nel “riconoscimento”, come modelli di vita e di attrazione,
estetica, spirituale, comportamentale. L’esperienza è sempre più “mediata”, ma
l’incontro è più di tutti artificiale. sempre più artificiale. Sotto il parafulmine
traditore dell’immediatezza, quando tutto nei media invece è controllato: studiato,
calcolato.
Metafora – Boncompagno da
Signa, sintetizzando l’opinione del temppo, XII-XIIImo secolo, argomenta nel
“De Transumptionibus”, nonché nella “Rota Veneris” - in una delle digressioni del trattatello,
quella sulla transumptio - che non
può essere stata inventata che da Dio, quello che ha creato l’uomo a sua
immagine e somiglianza. L’uso della metafora è necessario agli amanti perché l’amore
è inconoscibile perfino a chi lo prova.
La
transumptio è il sistema espressivo
che permette di dire una cosa con un altra. Di dissimulare, se si vuole, ma non
a fini perversi. È un sistema che Boncompagno ritiene necessario soprattutto per
esprimere l’amore – Paolo Garbini vede nel “De transumptionibus”, “un Boncompagno
illuminato (che) anticipa Lacan e a proposito delle immagini oniriche”. La dove
scrive che “l’anima fa spesso uso di metafore”.
Nietzsche – La “Nascita
della tragedia” è in fondo la sua tesi di laure. Nemmeno di dottorato, dice il
professore di Houellebecq protagonista di “Sottomissione”: troppo affastellata.
Rileggendola, questa impressione è fastidiosa.
Opinione pubblica – Un disegno
diabolico secondo Heidegger, “La questione della tecnica”: giornali e “riviste
illustrate” hanno la funzione di “spingere il pubblico” a leggerli, consumarli,
al solo scopo di farlo “diventare «impiegabile» per la costruzione di una
«pubblica opionione» su commissione”. La dittatura del “si” e della
“chiacchiera” stigmatizza ampiamente in “Essere e tempo”. Del resto, “le cose
stanno così perché così si dice” era esito già di Karl Kraus, pubblicista
impenitente.
Molto
Heidegger ne parla (male) anche nell’“Abbandono”, 1959. E negli ultimi “Quaderni
neri”, dei secondi anni 1940 e anni 1950, al dire di Donatella Di Cesare che li
ha consultati.
Il
“rifiuto della comunicazione” è peraltro in Heidegger strumentale, a una sua propria
strategia della comunicazione, evidentemente. Più che partecipare a eventi
pubblici, li indirizzava, li commentava.
Razzismo-Razza – È una “selezione
negativa”, argomentava Jaspers nel 1932,
“La situazione spirituale del tempo”. La teoria della razza causa una concezione
della storia che è senza speranza; attraverso “una selezione negativa di quella
migliore si rovinerebbe ben presto l’esser-uomo autentico” - “una selezione
negativa di quella migliore”, al termine della quale nulla rimane.
zeulig@antiit.eu