I servizi finanziari non ci mollano, il Brexit
per loro non vale. Banche commerciali, banche d’affari, assicurazioni, fondi
inglesi sono da tempo al lavoro, soprattutto in Germania, per mantenere lo
status di libera attività. In Germania soprattutto perché le decisioni tedesche
saranno poi quelle europee.
Il beneplacito di Angela Merkel è peraltro scontato,
la finanza inglese non è molto preoccupata. La decisione tedesca potrebbe
comportare un allentamento di tutti i vincoli che il governo Merkel e la
Bundesbank hanno posto sui coefficienti di capitalizzazione e di esposizione delle
banche, dovendo liberalizzare del tutto le attività finanziarie.sabato 25 giugno 2016
Quanta anglofilia
Non si sa se apprezzarla o disprezzarla. Se
ritenerla manifestazione di cosmopolitismo o debolezza, da piccoli snob. L’anglofilia
che dilaga dopo il Brexit, l’angoscia, quasi, all’abbandono di Londra: che ne
sarà di noi? O è un’ubbia di giornali?
È più probabile un caso di soggezione
culturale: è la forza dello snobismo. Gli inglesi, pur aggrappati ai fondi
europei, hanno snobbato l’Europa e quindi sono l’asse del mondo. Mentre contano
per lo zero virgola, e tra qualche mese per lo zero virgola zero zero.
Scrocconi terribili, ma con la puzza al naso.
Buffoni anche, tipo Boris Johnson e Farage, che si vogliono i veri europei. Ma
vorranno mantenere i benefici di Bruxelles. Nell’agropecuario soprattutto. E nella
ricerca scientifica, in attivo per 600 milioni di fondi comunitari – mentre l’Italia
è in passivo di altrettanto.Brexit sarà una brutta storia
Un atto di guerra. Senza risposta possibile.
Molto inglese – molto furbo. E non è finita, la guerra sarà lunga.
Dopo aver bloccato l’Europa dall’interno – qui
non si fa politica – l’Inghilterra la bloccherà ora dall’esterno. Con pratiche
interminabili per andarsene – questo già si sa. Perché non vorrà rinunciare ai
benefici europei su cui ha emesso tratta – per l’agricoltura, per la ricerca
scientifica per esempio (le università inglesi sono monopoliste dei fondi Ue per la ricerca: sarà effetto dell’inglese parlato e scritto?). E non mollerà sullo statuto privilegiato per le sue “banche”, che sono il suo maggior settore economico: le attività finanziarie e le filiali europee delle multinazionali, cinesi, indiane, Usa, etc. .
Privilegi
che dirà obbligati, perché l’Inghilterra è ben europea, è l’Europa che non è
europea. Sarà un braccio di ferro interminabile, ammesso che a Bruxelles
qualcuno ci sia che voglia difendersi. Il Brexit è solo l’inizio di una brutta
storia.
Renzi come Cameron
Tutti lo pensano nessuno lo dice. Per scaramanzia?
Per non disturbare il manovratore? Pensano che Renzi abbia fatto col referendum
sulle riforme l’errore analogo a quello di Cameron.
Cameron ha voluto il referendum sull’Europa
per mettere a tacere la sua opposizione interna, all’interno del partito
Conservatore. Renzi prova l’analogo col suo referendum: liberarsi dei vari
Bersani. Ha voluto provare quando l’ha chiamato, ora ne sarà quasi certamente
vittima.
L’esito più probabile del referendum sulle
riforme è analogo al Brexit. Il no coalizzerà, oltre all’opposizione interna,
tutte le opposizioni politiche, anche quelle che ne hanno votato una parte.
Mentre il voto di opinione, ammesso che sia per il sì, avrà difficoltà mobilitarsi, il tempo è al disimpegno.Il diritto del giudice
La giudice Melitta Cavallo e la Corte di Cassazione
hanno adottato la stepchild adoption
che il Parlamento aveva bocciato. Non
molti anni dopo la decisione del Parlamento, poche settimane dopo.
Quindi non per adattare il diritto alle mutate condizioni
socio-conomiche-politiche ma per “libero convincimento” di giudice. Sempre più
i giudici usurpano l’attività normativa: bene o male che abbia fato il
Parlamento, è ad esso che compete la formulazione delle leggi, almeno in base
alla Costituzione.
La giudice Cavallo e i giudici della
Cassazione sono di Napoli e questo è un altro strano capitolo del diritto
italiano. Tutti i giudici, nei ranghi dirigenti, sono di Napoli o dintorni: la Corte
Costituzionale, il Csm, la Cassazione, i Tribunali, le Procure. Napoli dunque
si arroga, pur non avendone nessun
titolo specifico, quello di patria del diritto. Ma in senso deteriore.
Viene da Napoli, da Mario Pagano, fine
Settecento, il giudizio come “convinzione morale” del giudice. Non basato su
prove e verità dei fatti. Il diritto del “libero convincimento del giudice” si
vorrebbe filosofico e quasi teologico (Sciascia ci ha scritto sopra pensose
pagine, dal “Giorno della civetta” in poi, salvo ripensarci da ultimo in “Porte
aperte”), ma è nei fatti l’arbitrio del giudice, e la liberazione dall’obbligo
di studiare le carte e entrare nel caso.
A lungo la giustizia a Napoli è stata fatta
dagli avvocati, dai “paglietti”. Per questo sono state divisate e adottate procedure
non formalistiche, per disinnescare il pagliettismo. Ma la “convinzione del
giudice” e la “creazione del diritto” sono della stessa natura: roba avvocatizia.
Il legislatore romano, e quello napoleonico, avrebbero da ridire. La giustizia
del giudice non è “più” morale, è arbitrio
e neghittosità. Alla faccia del romanzo
Cento romanzi di una pagina – cento quelli
originari, poi ci sono state aggiunte. Aneddoti per lo più alla Campanile. Dell’epoca
dei romanzi di romanzi, esercizi di stile.
Una curiosità. Un distillato tardivo dell’epica della morte del romanzo, da
celebrare quindi antifrasticamente, con una moltiplicazione-irrisione: cento, mille romanzi alla faccia del romanzo. Di poco
senso in quanto ricerca linguistica, letteraria. Di poco gusto per il lettore: molti i bianchi e le righe inerti, nessun aneddoto memorabile.
Giorgio Manganelli,
Centuria, Adelphi, pp. 316 € 13
venerdì 24 giugno 2016
Che brutte facce
Chi se ne frega è la prima reazione al Brexit.
La seconda è: Grecia dentro, Gran Bretagna fuori, dove andremo a finire – ma
questa è solo da ridere.
I vecchi inglesi di campagna ci sono riusciti,
ridono, perché si ritengono migliori, pace all’anima loro. Senonché, nel
cordoglio continuo e generale di questa e le prossime giornate, tutte le tv e i
giornali,impegnati 24 ore su questo non-evento, c’è da pensare: l’Europa non ha
di meglio da pensare. Un attentato dell’Is, anche limitato, sarebbe peggiore,
ma l’Europa trema solo al pensiero che i vecchi inglesi di campagna
l’abbandonano perché si ritengono migliori.
E questo è solo l’inizio dei problemi, quelli
veri. Si parta dal mattino, con Renzi che fa sapere di essere in vertice con Visco
e Padoan, e con Calenda, Minniti e Gentiloni, nella Situation Room, sic. A fare che? E la memoria corre alla loro
inadeguatezza. Sulle banche in primo luogo, contro le quali si sono fatti fare
dei regolamenti di cui non hanno capito nula finché non sono entrati in
funzione. Nulla al confronto con le banche tedesche, che erano e sono un
colabrodo, ma al riapro dai regolamenti. E nulla fanno per il debito, che è il
costo del debito stesso: basterebbe dimezzarlo, dimezzarne il costo, come può
fare la Germania a spese nostre, per sgonfiare il problema.
La Borsa di Milano che perde il 12 per ceto?
Una speculazione. Cosa c’entra Mps con le banche londinesi, che perde il 16 per
cento O l’Enel, che perde il 10? Queste è l’Europa fuori del Brexit. Del resto
Milano si è venduta a Londra da tempo proprio per servire da piazza di facili
speculazioni, incontrollate. Quando la Borsa era a Milano si potevano
ricostruire i movimenti, chi comprava e chi vendeva, ora si può farlo al buio.
Era, avrebbe dovuto essere, il luogo dove raccogliere il risparmio, è invece il
luogo dove si dissipa, per favorire la speculazione. Semplice, chiara, quasi
dichiarata.
Mediocrità ovunque. Si trema al pensiero di
cosa faceva Hollande a mezzogiorno in seduta d’emergenza all’Eliseo – da De
Gaulle e Mitterrand a Hollande, è cambiata più la Francia o sono cambiati i suo
presidenti? O i capò “in riunione” che Merkel ha messo alla guida dell’Europa,
Juncker, Schultz, il polacco, Djisselbloem: gente incapace non solo di pensare
qualcosa di giusto e di attuale, ma anche di dire le solite formule. Aspettavano
che parlasse Merkel, e hanno ragione, in questo sì.
E che avranno da dire domani Renzi e Hollande al vertice? Per tacere di Cameron,
un genio, che il terremoto non voluto ha provocato per liberarsi dei Bersani
del suo partito. E ora passerà la mano allo
svolazzante ex sindaco di Londra. Una Gran Bretagna che i flussi di migranti
dalla Francia già regolava, in territorio francese, dal 2003, dagli accordi di
Le Touquet. Un partito conservatore che si era perfino liberato della Thatcher
per essere più europeo.
Ma questa è l’Europa che la Germania ha voluto.
Merkel ha ridotto al silenzio la Francia, irridendo Sarkozy, trattando da incapace Hollande. Che forse lo è, ma ci sono opportunità in politica cui converrebbe
non derogare. Merkel non ne è capace. Ha impoverito l’Italia, di cui ha fatto e
disfatto i governi. Ha distrutto la Grecia. Capitana un codazzo di Est-europei
che era meglio aver lasciato fuori (ahi, Prodi!): polacchi, baltici, rumeni,
bulgari, slovacchi, gli slavi del Sud, gli stessi ungheresi. Ha ereditato una
Germania che vuole fare da sé e fa a meno dell’Europa, che lamenta come un peso:
col suo personale seggio stabile al Consiglio di Sicurezza, parte di ogni decisione
bellica senza metterci un soldato, monopolista in Europa, dato che ci si trova
in mezzo. E l’ha gonfiata più della famosa rana. Con un codazzo di sicofanti
che ne celebrano l’egemonia riluttante, mentre è solo distruttiva: gelosa e
egoista.Secondi pensieri - 267
zeulig
Dio – È creatore in senso proprio, artifex, nell’iconografia cristiana - altrimenti
è l’Essere, senza identità personalizzata. È un Dio umano, l’uomo divinizzato.
Nella figura del Cristo-Dio.
È su
questo fondo che si è persa la concezione della religione come relazione
reciproca tra l’uomo e Dio, e si arriva al “Dio è morto”. Originariamente,
nelle religioni primitive, la divinità è opera dell’uomo. Mentre la religione è
più complessa, la fede riponendosi piuttosto nella riposta della divinità. Per
un processo di archetipizzazione e immedesimazione.
Droga –Isola. Non tanto dal punto di
vista sociale, in epoca non permissiva, ma nella esperienza-conoscenza
personale. Per la stessa sua proprietà dominante psichicamente. Quando si
assume droga in gruppo è come avere tutti lo stesso corpo e quindi le stesse
sensazioni, la droga unica essendo passata al comando. Invece ognuno la vive in
modo proprio, fisicamente e mentalmente: l’effetto è divisivo sul gruppo.
L’azione sociale non è chimica, presuppone la volontà.
Heidegger – La traduzione
dei “Quaderni neri” si è fermata ai due volumi fino al 1939. Mentre i
successivi sarebbero i più pregni, a quel che se ne sa da chi li ha letti in
originale, anche se a loro modo anch’essi asistematici. È una decisione
editoriale che probabilmente nasce da una strategia di comunicazione. Di vendita
anche – non accumulare i “Quaderni neri”. E di moltiplicazione dei pareri,
degli interpreti, più o meno leali, un business editoriale secondario.
Di
che inverare ampiamente il disprezzo del filosofo per l’opinione pubblica, o le
verità cucite al filo grosso.
“Sorge”, “care” sono più che “cura”, “soin”. Sono la cura che si prende di
qualcuno, e insieme la preoccupazione, il sentimento di partecipazione, che si ha
per questa persona (comunità, evento).
Inquinamento – È scienza
“inquinata”. Grigia, in qualche modo putrescente e non immacolata come
dovrebbe, della stesa materia che tratta, i rifiuti e le polluzioni. Ogni
scienza si materializza col suo oggetto. Inquinata e inquinante quella
anti-inquinamento.
Nuovo – Si legava al
rinnovamento, come nelle età della vita, e alla speranza. S’immedesima ora nel
rifiuto: violenza verbale, esibizione dell’ignoranza.
È
una speculazione: s’investe nel nuovo senza più. Senza un sigillo di qualità,
una garanzia di lavorazione, che sarebbe tradizione: il campo non arato e non
coltivato sarebbe il più produttivo. In politica e nell’arte. In economia e in
letteratura invece si rinuncia: si sfruttano le posizioni di rendita
residue.
Opinione pubblica – Non raccordata
alla volontà generale, è giornalismo – più o meno. Ne segue quindi le
oscillazioni del gusto, e del business – il giornalismo è anzitutto un
commercio: un veicolo per la vendita di pubblicità. Da qui probabilmente la povertà
della riflessione in materia, che si può dire limitata a Lippman e Habermas. Mentre
è il fatto che condiziona, via voto, le nostre scelte maggiori di vita, quelle
sociali e politiche.
La
volontà generale di Rousseau si può sintetizzare come la verità in sé, di ogni
evento o atto, che si approssima con esercizio costante e comunitario, e di
adotta nelle sue varie approssimazioni con decisione comune, il più possibile
condivisa. Oggi, invece, per esempio, compito della politica è dividere, col proposito
di meglio rappresentare. Che non è consequente ma non imoporta. È consequente
al bisogno del giornalismo dominante di scandalo e complotto, per la “copia in
più”, e questo basta.
L’assassinio
di Jo Cox ha rovesciato per qualche giorno le intenzioni di voto in Gran
Bretagna al referendum sull’Europa: dai favorevoli all’uscita ai favorevoli alla
permanenza. L’effetto è durato poco, ma il ribaltamento è stato immediato,
senza altri fatti nuovi, né ripensamenti o ragionamenti politici: d’istinto.
Poi hanno prevalso gli stamina
britannisti, delle generazioni del “buon tempo antico”, che sono anche le più
refrattarie all’emotività.
L’opinione
pubblica è più che mai instabile, e anzi volatile.
Nei
“Quaderni neri” dell’immediato dopoguerra, dagli estratti che si possono
leggere, specie nel “Quaderno” 1942-1948, Heidegger medita intensamente sulla
pubblicità. Quasi un corpo a corpo. Contro la “dittatura della pubblicità”.Del
“si pensa” e “si dice”. Cit. qui, dopo il volume 1942-1948 dei Quaderni neri,
p. 82 di Di Cesare.
A
partire dal 1940 la globalizzazione viene considerata attraverso il prisma dei
media. Il “planetarismo” (globalizzazione)
è un idiotismo”, dal greco idion, cioè proprio. Un proprio che è
l’uguale, in cui chiunque si ritrova e a
cui consente e acconsente. La radio (la tv?) dice Heidegger di “essenza
idiota”, emblema della coappartenenza di planetarsimo e idiotismo.
Razzismo
–
C’è, in parallelo col razzismo, la sua forma che Sartre ha chiamato in “Orfeo
Nero” del razzismo antirazzista. Dell’orgoglio – di pelle, di tribù, di nazionalità,
perfino di continentalità, africano contro europeo – di appartenenza come sfida
all’altro. È alla radice del disagio corrente sul fenomeno dell’immigrazione di
massa in Europa. Risentita come un’aggressione perché è sentita coma tale, come
una rivalsa. Specie in Italia, un paese che non ha – o non oppone – una forte
identità nazionale: comportamenti irrituali e anche illegali si esercitano come
una sfida, nei centri di accoglienza e anche fuori – matrimoni forzati, velo
forzato, poligamia. Forme che spesso sono desuete (la poligamia) e comunque non
rispondono più al senso comune, nonché religioso, delle stesse comunità
immigrate ma vengono esercitate come opposizione, a una forma culturale. È remoto
il tempo dell’immigrato in cerca di assimilazione, il cui scopo principale era
di impadronirsi degli stessi strumenti giuridici, sociali, culturali, del paese
di accoglienza: ora si emigra con una riserva mentale, che più che identitaria
è di ostilità.
La riprova è nel rifiuto dei tanti
giovani, tra Francia, Gran Bretagna, Belgio e Olanda almeno diecimila, di seconda
e anche di terza generazione europeizzati, che si sono fatti volontari del’Is.,
pur non possedendo i più nessuna nozione di islam, né alcun senso di fede.
Volontà generale - I referendum, supposti doverla affermare, sono in realtà
antidemocratici. Incanalano la volontà generale entro le tracce di minoranze di
minoranze, le élites.
Modernamente intellettuali invece che di censo o di potere, ma sempre ristrette
e maneggione.
L’opinione
è al limite un effetto immagine, o di slogan. Comunque di gestione dei mezzi di
comunicazione: la volontà generale è più che mai espressione dei media. Che
hanno un padrone, hanno a cuore solo l’affare, e come obiettivo di escludere la
politica.
La
politica ha peraltro perso la funzione di mediare. Non nel senso democratico,
di spuntare le punte estreme, le minoranze assolutiste. Non ci sono più corpi
intermedi né istanze sociali o culturali a mediare i vari interessi nell’ambito
di una collettività più ampia. Nazionale o, nel caso, continentale.
zeulig@antiit.eu
A Calais non ci sono i migranti
Letto il giorno del
volgarissimo Brexit, l’opuscolo di Carrère, che dovrebbe essere un reportage sulla “Giungla”, il campo per
migranti a Calais verso la Gran Bretagna, ma l’autore poi ci rinuncia, misura l’indigenza
dell’Europa più che l’invasione temuta dai nostalgici inglesi. Rinunciare è un
gesto di debolezza. Ma anche iniziare dicendo: “Vi sembrerà strano ma l’hotel
Meurice di Calais è nato prima del celebre albergo parigino”. Hotel? Meurice? E
non la Giungla dei settemila in attesa, preda dei facinorosi e farabutti, che nella
massa dei migranti non mancano: manodopera criminale, avanzi o evasi di galera.
Con un po’ di autoironia, sugli “inviati speciali” che rimestano nei soliti
caffè e ristoranti dove tutti vanno.
Ma anche qui senza infierire. Anche del Beau Marais, i quartieri di “urbanizzazione
prioritaria”, Carrère accenna a dire che sono violenti senza paragone con la
Giungla. E subito smette. Come dei calesiani: i pro e i contro i migranti sono
malintesi, non le insufficienze di un’informarzione e un’azione politica.
L’indigenza dell’Europa
è culturale. Malgrado tutto, il continente è ancora il più ricco del mondo –
piange miseria, che è diverso. La Giungla di Calais è d’altra parte ciò che ha
fatto vincere il Brexit: quale che sia il giudizio sul Brexit – ma è povera cosa,
da alzheimer incombente – i “siriani” della Giungla di Calais saranno stati il
detonatore. Settemila persone, non un esercito. Perlopiù in attesa di ricongiungimento
familiare, per le storture delle leggi europee.
Il problema dell’immigrazione
di massa è il degrado dell’opinione. Dei mediatori dell’opinione, dei
giornalisti. Oziosi e svogliati, troppo spesso ignoranti. E quando sono ispirati
accrescitivi: mostruosizzare, demonizzare, pro o contro. Uno storico futuro che
volesse documentarsi sui giornali su questo fenomeno degli anni 2010 troverebbe
poco o niente, nemmeno i numeri. Nulla sui trafficanti, in Africa, in Asia e in
Europa, sulle motivazioni, sulla stessa organizzazione del traffico, che è
organizzato, sui costi, economici (contanti, cessione di passaporti e altri
documenti, indebitamento – quanto e a favore di chi deve lavorare un migrante
per pagarsi il viaggio) oltre che umani.
Carrère indulge anche
alla solfa degli afroasiatici che preferiscono la Gran Bretagna alla Francia. Che
non si sa se è più stupidità o lazzo insolente (“che ce ne fotte a me degli
immigrati!”). Sottosezioni del tema: preferiscono la Francia all’Italia, e la
Germania alla Gran Bretagna.
Emmanuel
Carrère, A Calais, Adelphi, pp. 49 €
7
giovedì 23 giugno 2016
Ombre - 321
Emanuela
Audisio dice giustamente che non bisogna credere a Schwazer, quando dice che
lui è pulito. Ma poi, tra una cosa e l’altra, dice che Schwazer ha ragione: che
l’atletica non è pulita, e la Iaaf neppure. È così: c’è di peggio di Schwazer?
Sì, l’antidoping. Succede come con le mafie e le antimafie.
Ora
bisognerà processare di nuovo Conte, che fa andare avanti l’Irlanda, a scapito
magari dell’Albania - Di Biase e Tramezzani avrebbero da ridire? Non subito,
quando l’Italia sarà stata eliminata. Avrà di che occuparsi la Procura di Cremona.
Una
pista: quanti irlandesi giocano nel Chelsea?
Una
cinquantina di indagati del Pd a Bologna, compreso il presidente della Regione
Errani, e – finora, dopo cinque anni – solo quattro condanne, non definitive.
Contagio Grillo, i giudici si sfilano?
Dopo
un quarto di secolo di giustizia come anti-potere, sarebbe ora di considerarla
per quello che è: un potere assoluto.
Un
dottore tedesco al Quirinale, il giorno della festa per gli atleti olimpici,
pretendeva di far fare la pipì a Elisa Rigaudo. Un cretino – ci sono dottori
cretini, anche tedeschi?
Accolto
dai corazzieri, il dottore tedesco ha insistito. E quando Rigaudo è scesa ha bofonchiato
indispettito che quello non era un
palazzo presidenziale. Nella guerra tedesca all’Italia dobbiamo mettere in
conto pure l’antidoping?
È il
laboratorio tedesco della Wada-Iaaf che ha trovato il testosterone dopo alcuni
mesi nelle urine di Schwazer. E si sa che i tedeschi non sbagliano mai i
referti, né i reagenti. Come l’invidia per l’Italia, anche quella è costante.
Strano
senso del decoro al Quirinale, di Mattarella dopo Napolitano. Un dottore italiano
che si fosse presentato a tempestare a palazzo Bellevue l’avrebbero messo
dentro, come minimo, invece di panicare e starnazzare.
Il
dottore tedesco è una spia? Fa controlli antidoping per la Wada, l’agenzia
svizzero-canadese di cui sono soci ambienti non immacolati. Per conto della
Iaaf, la federazione delle federazioni dell’atletica, presieduta dall’ultramassone
Lord Coe. E naturalmente nessuno gli ha chiesto come mai fosse al Quirinale –
si sa che tutti andiamo al Quirinale a chiedere che si faccia fare la pipì a
questo o a quello.
Dappertutto
ci chiedono “documenti!”, nessuno li ha chiesti al tedesco.
I
fondi elettorali di Hillary Cinton sono quaranta volte quelli del miliardario
Trump. Potenza della democrazia contro la timocrazia?
Vettel
insiste e ci crede: “La Ferrari sta cambiando”. Dopo aver conquistato un secondo
posto da solo, finalmente trasgredendo alle strategie e agli ordini della
scuderia. Il potere ai piloti, abbasso le macchine!
Il
pentito chiave contro Carminati a Mafia Capitale ritratta in aula. Lamentando “cose
orchestrate col mio avvocato dell’epoca”. E spiegando: “Ho inserito quel nome (Carminati,
n.d.r.) per ottenere ciò che mi era stato promesso e non ho visto”. Che cosa
gli era stato promesso e da chi, e non ha ottenuto, il giudice non lo chiede.
Alla
ritrattazione del teste anti-Carminati l’accusa oppone la registrazione di un colloquio
dello stesso con un carabiniere che lo vigilava, in cui paventa ripetutamente,
che il milite intenda, che Carminati lo farà fuori. Cioè, in cui accresce il
prezzo della sua “collaborazione”.
Non
un harakiri della Procura romana? Forse. Sicuramente la conferma che non si
indaga sul solido ma sulle chiacchiere.
Luca
Vullo è uno della fuga dei cervelli, “emigrato” da tre anni in Inghilterra,
Dove è “gettonatissimo insegnante di gestualità italiana nelle università”,
assicurano i giornali. Però, se l’Inghilterra può permetterselo, significa che
tanto male non sta, che c’entra prendersela con l’emigrazione dall’Italia?
Trump
ha detto “good luck!” a Salvini in uno dei suoi innumerevoli selfie, e Salvini ha tradotto: “Ti auguro di diventare primo
ministro in Italia”. L’inglese di Salvini sarà come quello di Renzi. Non
potrebbero far finta di non saperlo?
Ma
si conferma, certo, l’ignoranza di Trump: non sa che in Italia non c’è un primo
ministro ma un presidente del consiglio. Salvini lo sa?
“C’è
odio e violenza in politica”, scoprono a Londra dopo l’assassinio della
parlamentare laburista. C’è altro?
C’era,
ma non più con le reti, il mare degli sprovveduti – incapaci, invidiosi, folli.
Una
foto di un russo con Putin rivela il complotto: gli hooligan russi a Marsiglia
sono agenti segreti russi. Lo spiega Fabrizio Dragosei sul “Corriere della
sera”, esibendo anche la foto, che dice del 2011. Dragosei si è fatto surgelare
trent’anni fa?
Molto
più interessante sarebbe sapere come la foto di un giovane, in secondo piano,
con Putin nel 2011 riemerge. Di un giovane che ora sarebbe, ingrassato, uno degli
hooligan russi a Marsiglia. Non l’avrà postata lui stesso, il giovanotto,
fingendosi agente di scorta? Gli hooligan si divertono. O gliel’hanno postata?
E perché non ci sarebbero fotomontaggi su Fb, o sulla rete in genere?
Ma
i giornali non ci danno soddisfazione: loro sono per la guerra.
Volevamo
le città più illuminate per la sicurezza, ora le dobbiamo spegnere per vedere
le stelle dell’Orsa e la Via Lattea. Siamo irrequieti.
La
storia dell’inquinamento luminoso è di una rivista un po’ sconosciuta, “Science
Adventures”. Ma nella versione italiana non manca il confronto con la Germania:
là l’illuminazione notturna è minore. Morale: i tedeschi sono più
intelligenti e previdenti e non sprecano l’elettricità. Ma come vedono le
galassie, se hanno tante nuvole in cielo?
Il femminicidio come vuoto attorno all'amata
Superpremiato
e superelogiato, da sempre, dal debutto cinque anni fa, Bussi si vuole
all’altezza. “Niente è stato lasciato al caso in questo affare, al contrario”,
fa assicurare a p.100 alla vecchissima regista del noir: “Ogni
elemento è al suo posto esattamente al giusto momento. Ogni pezzo di questo
ingranaggio criminale è stato sapientemente disposto”. Purtroppo no, il puzzle
si ricompone solo a ritroso, il lettore è tenuto costantemente fuori dal plot,
con deviazioni improvvise e aggiuntine. In una architettura barocchissima, di tempi e nomi (persone). E non tutto quadra. Ma è grazioso, e il tema è acuto.
La Normandia c’è tutta, paesana e turistica, con i fiori. Grazie anche all’occhio dell’inquirente, un occitano in punizione al Nord. Aragon ricorre con i suoi versi più celebri sugli amori, “Non c’è amore felice” etc. E il femminicidio che oggi ci angoscia è visto nel suo aspetto forse più sinistro: il vuoto che il geloso dispone attorno all’amata - qui letteralmente, alla fine è come un macello.
La Normandia c’è tutta, paesana e turistica, con i fiori. Grazie anche all’occhio dell’inquirente, un occitano in punizione al Nord. Aragon ricorre con i suoi versi più celebri sugli amori, “Non c’è amore felice” etc. E il femminicidio che oggi ci angoscia è visto nel suo aspetto forse più sinistro: il vuoto che il geloso dispone attorno all’amata - qui letteralmente, alla fine è come un macello.
Bussi fa aggio anche sulle ninfee di Monet, oggetto di un docufilm
in proiezione in questi giorni molto apprezzato, “Le ninfee di Monet”, della
serie “Da Monet a Matisse, il giardino nell’arte moderna”.
Se non che ne dettaglia molte. Monet non ha dipinto altro per ventisette anni,
gli ultimi della sua vita, alcuni “ettari” di ninfee, giudica un suo esperto, e
Bussi ne risparmia poche al lettore. Il problema con questi gialli, Bussi come Vitali, è se non
conviene limitarsi a duecento pagine, invece di raddoppiare, al lettore,
all’autore e anche all’editore: più
che leggere si “salta”, molto.
mercoledì 22 giugno 2016
Il gioco dei 4 cantoni
Abbiamo votato, la verità non sta nel voto?, e
nulla: il giorno dopo è come prima. De Magistris fa Podemos, e anche Varoufakis
- non Syriza, troppo moderata, anzi reazionaria. Berlusconi si prende le
sindache di Grillo, uno spettacolo: “Volti strepitosi e discorsi responsabili”.
Le grilline sindache per prima cosa si litigano le aziende. Tutti aspettavano lunedì
un commento da Appendino, sindaca a Torino, ed è stato: “Profumo deve
dimettersi”, il presidente della Fondazione di San Paolo. Che è un organismo privato.
Questa più di tutte sembra inventata, ma è vera. Il primo commento dopo, è
vero, dopo i suoi teneri sentimenti per il marito. A Roma il non ancora
assessore architetto Berdini ha stabilito: “Stadio (della Roma) e Olimpiadi,
progetti da rifare”. Non da cancellare, da rinegoziare con lui, all’uso antico.
La sindaca Raggi, invece, bisogna dargliene atto, non si è effusa sulle nobili
esternazioni del suo coniuge.
Abbiamo
votato per il rinnovamento, ma è il solito gioco dei Quattro Cantoni, che
evidentemente la playstation non ha sostituito: tutti vogliono il posto dell’altro,
e se ne appropriano.L’assalto a Roma
Non c’è dubbio, vivendo tra Milano e Roma, che
Roma non è amministrata bene, ma è meglio amministrata di Milano. Pur essendo
una città tropo complessa rispetto a Milano, anzi di complessità unica al
mondo: religiosa e politica, amministrativa, industriale, d’arte, turistica. È più
pulita, più decorosa, ha un buon sistema scolastico, ottimo per le materne, una
buona sanità, e ha parcheggi, se non un trasporto pubblico adeguato.
Non c’è però dubbio che ha fama di volgarità.
Di corruzione. Che è diffusa, ed è anche tradizionale. Fino a non molti anni fa si
pagava una mancia pure per avere l’allacciamento della luce o del telefono, all’uomo
della Stet, dell’Acea o della Romana Gas. Ma non c’è corruttela. E anzi c’è abbastanza
sdegno per portare a galla le situazioni di degrado morale. Nulla al confronto,
facendo le somme, con la grande corruzione di altre città, Milano soprattutto,
Venezia, Torino, Genova, sugli appalti pubblici. È una corruzione focalizzata
sul cosiddetto terzo settore, o del “volontariato”, cioè sull’appalto privato
dei servizi pubblici. Che riguarda Roma come tutta Italia: il terzo settore va
rigovernato, non da ora, da quando si è messo a crescere gigante, nato una
ventina d’anni fa.
Da che deriva la pessima fama di Roma? Dal suo
giornalismo. Effettivamente corrotto – di un interesse contro l’altro. Oppure
no, solo scadente: sa solo fare la predica - se non denuncia qualcuno, sia pure
un sacrestano che ruba le elemosine, o un ambulante senza licenza, non sa fare
altro. Si vedano al confronto le cronache degli stessi giornali di Palermo, per
esempio, rispetto a quelle romane, o di Firenze. Una stampa scandalistica, che
altrove è separata da quella d’informazione e in Italia invece la domina.La giustizia del truglio
Una vecchia storia,
quella dei delatori in quanto pentiti o collaboratori di giustizia. Della procedura
giudiziaria a Napoli, dei Borboni come pure della Repubblica, nella sua breve
vita. Una storia al punto, questa di Perrone, semplice e significativa, del rito abbreviato
(“truglio”) o sommario in presenza di testimoni accusatori, meglio se correi.
Con il caso speciale del processo politico, “per “reità di Stato”, contro
Emanuele De Deo e la Società Patriottica Napoletana nel 1794, e col diritto e
la pratica della Repubblica cinque anni dopo. Filo conduttore il grande giurista
Mario (Francesco Mario o Francesco Maria) Pagano, avvocato e “regio
cattedratico”. Le cui opere, tradotte anche in francese, influenzarono la rivoluzione
del 1789. In dottrina avverso al “correismo”, in pratica poi favorevole, in
quanto presidente della commissione legislativa della Repubblica – della cui
caduta resterà vittima.
Un abbozzo
foucaultiano di storia della giustizia oltremodo attuale, avviato da Perrone a
fine Novecento e rimasto purtroppo senza seguito. Utile, oltre che attendibile,
ma caduto nell’epoca dei denunciatori di massa, pentiti e cronisti giudiziari,
e dei giudici d’assalto. Utile in quanto problematico.
Il sottotitolo è
“Infami, delatori e pentiti nel Regno di Napoli”. Ma anche nella breve
Repubblica Napoletana di fine Settecento. Filo della storia è Mario Pagano “Platone
della Campania” (Dumas), da Cuoco e Croce equiparato a Vico, che “l’indiziaria
pruova” dice “contraria alla ragione”, allora anche “opposta alle leggi”. Ma
poi la fa adottare dalla Repubblica. Con l’aggiunta della censura preventiva.
Pagano è anche
l’autore della teoria del giudizio come “moral certezza” del giudice. In un
“aringo” del 1785 in un processo d’appello aveva ironizzato sul criterio legale
romano-canonico, dell’“aritmetica legale”, appellandosi a “la moral certezza”.
“Sia persuaso il Giudice, e sulle formalità si cali un denso velo”. La
procedura romana escludeva espressamente l’arbitrio del giudice, obbligandolo a
mirare all’accertamento della verità dei fatti, vincolandolo alle prove e a criteri
di giudizio predeterminati.
In questo senso la
legislazione borbonica aveva confermato la procedura penale dieci anni prima
dell’“Aringo”. Salvo, subito dopo, e più tardi nei processi politici, rimangiarsela
col “truglio”. Che non escludeva la prova dei fatti, ma la sovrastava con le
testimonianze e gli accordi, “secondo la convinzione intima della conscienza
de’ giudici”.
Il libero
convincimento del giudice è stato introdotto nella procedura penale dalla
rivoluzione francese, nel 1791. Ma deriva dalla dottrina del Pagano, di cui
l’Assemblea Costituente già al suo esordio a metà 1789 aveva fatto onorevole
menzione. Robespierre e altri giacobini era molto contrari:, “la moral
certezza” bollavano come “arbitrio” e “dispotismo”. Ma il decreto passò e ebbe
fortuna in diritto. Era stato anticipato dalla normativa del “truglio”. E sarà
applicato dal Pagano nella Repubblica Napoletana.
Nico Perrone, Il truglio, Sellerio, remainders, pp.
147 € 4
martedì 21 giugno 2016
Problemi di base - delle indipendenze (281)
spock
Avevamo il sole delle indipendenze africane, avremo
quello delle indipendenze europee?
Torneranno gli inglesi a una sterlina di 20
scellini?
E raddoppieranno o dimezzeranno la ricchezza?
Ma ora che il Galles è arrivato primo, non dovrà
chiedere l’indipendenza?
Con la Catalogna indipendente, il Barcellona vincerà
sempre?
È per questo che il Belgio non vince? Ma vuole essere
fiammingo o vuole essere vallone?
E quando gli africani chiederanno l’indipendenza
dalla Nazionale francese? E da quella belga?
La Gran Bretagna fuori dalla Ue, la Scozia fuori
dalla Gran Bretagna, il Galles forse pure, la Catalogna fuori dalla Spagna, e
la Galizia, e i Paesi Baschi, la Wallonia fuori dal Belgio, dove andremo a
finire?
Niente più secessione padana, invece, con Inter e Milan in bassa fortuna?
Niente più secessione padana, invece, con Inter e Milan in bassa fortuna?
spock@antiit.eu
Nessuno all'infuori di me - Berlusconi perfido 24
Raggi eletta a
Roma con 750 mila voti, due terzi dei voti espressi. Appendino vincente a sorpresa
contro uno che aveva già vinto. Sono l’effetto delle strategie elettorali di
Berlusconi: evitare che il proprio candidato vada al ballottaggio, e al secondo
turno incitare al voto in massa contro un incolpevole Pd. Pronto il suo
elettorato ha obbedito, e ha plebiscitato le due 5 Stelle. Che nella logica di
Berlusconi sono effimere, e gli restituiranno presto i voti, se e quando lui
tornerà eleggibile.
Non c’è dubbio
che Appendino e Raggi sono state elette da Berlusconi, i numeri lo dicono. Dopo
le strategie elettorali apparentemente contorte, ma chiarissime nell’obiettivo:
perdere. Il come è anche palese: frantumare il voto per tre a Roma, ed evitare
che il centro-destra, che a Roma è maggioritario, vada al ballottaggio. A Torino
boicottare il candidato leghista del centro-destra. E al secondo turono, a Roma e a Torino, votare massicciamente “contro
il Pd”, cioè per le 5 Stelle – è un fatto che a Torino al secondo turno c’è
stato più voto del centro-destra per Appendino di quanto ce n’è stato al primo
turno per il proprio candidato. Sono i regali perfidi di Berlusconi. Del suo “nessuno
all’infuori di me”, ora che è ineleggibile. Per dare lustro alla sua gloria
passata.
Una strategia
coronata a Milano, altra città a maggioranza di centro-destra, con la tardiva candidatura
di Parisi, poi sostenuto solo a mezza bocca – con l’altra mezza boicottato.
L’amore è cieco all’analisi
“Il gallo cedrone durante la stagione degli
amori non s’accorge neppure del cacciatore”. L’amore è cieco. L’amore è la via
più breve alla felicità – l’amore romantico. Quasi un massimario: “L’amore è il
sostituto di un altro desiderio, della lotta verso l’autocompletamento”.
“L’amore non trae origine dall’impulso sessuale, ma appartiene al dominio degli
impulsi dell’ego”. L’amore è una reazione agli “ambigui fantasmi come
l’insoddisfazione verso se stessi, l’invidia, la cupidigia, l’ostilità”. Anche
l’amore materno, che non è amore per l’altro, è un transfert – come l’amore
paterno. Quando si farà un processo di Norimberga alla psicoanalisi?
E la lussuria?
Ancora di più, è migliore scorciatoia alla felicità: “Più che l’amore, il
desiderio sessuale si rivela più forte della paura della morte”. Col supporto
del dottor Freud, naturalmente, “secondo il quale il sesso include l’amore, la
tenerezza, la carità e la simpatia”.
Un libro del ’68.
Non d’occasione né instant, il dottor Reik vi condensa la sua esperienza di
psicoanalista. A nessun fine pratico, se non l’imbuto nel quale il sesso libero
ci ha infilati.
Theodor Reik, Amore e lussuria
lunedì 20 giugno 2016
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (290)
Giuseppe Leuzzi
Le tabelle Istat sui reati per 100 mila
abitanti vedono in testa Milano - seguita da Bologna e Torino. Ultime in
classifica Palermo e Napoli. Si tratta del complesso di reati denunciati alle
autorità giudiziarie dalle forze di polizia, non pesate per gravità. Molte
denunce devono anche ritenersi indotte dalla copertura assicurativa. Ma il
divario resta enorme, quasi il doppio fra Milano e Napoli: 8.088 denunce per
100 mila abitanti a Milano e provincia contro 4.365 per Napoli e la sua
terribile provincia – idem per Palermo e famigerati dintorni, dove i reati sono
stati 4.519 per 100 mila abitanti.
Malgrado
la Prammatica Sanzione di Carlo III di Borbone del 1759 – nessun Borbone deve
unificare le due corone, di Madrid e di Napoli – il re di Spagna Filippo VI è
anche Re delle due Siclie. Ha una cinquantina di titoli regali, ma quasi tutti
di entità geografiche non più esistenti.
Si studiava la Storia Diplomatica, la
Storia dei Trattati, la Storia dei Paesi Afroasiatici, la Storia d’Europa, ora
le cattedre diffuse tra i contemporaneisti sono la Storia delle Mafie, la
Storia della Mafia siciliana, la Storia del Crimine Organizzato. Non si può
dire che non abbiamo nessun primato culturale.
L’antimafia
delle banche
Monti ha costretto – ci ha tentato –
tutti in banca, anche i pensionati sociali. Dopodiché c’è stata una corsa, di
anziani e congiunti, a pagarle di meno. Ma come minimo la banca costa 200 euro
l’anno. Che sembra un pizzo piccolo ma è grande, se si moltiplica per milioni
di conti - la banca retail è furba. Nel nome dell’antiriciclaggio.
Anche l’uso limitato del contante serve
all’antiriciclaggio Di chi? Non si capisce, ma bisogna crederci. Serve però
anche a passare sempre dalla banca, carta di debito e di credito comprese.
Monti e chi per lui vogliono farci credere che hanno un occhio per tutte le
operazioni di spesa – miliardi ogni giorno? Magari ce l’ha per davvero, ma
nessuno lo usa – la tracciabilità può darsi che ci sia, ma non si ritraccia
niente. E dunque, quando si viene al dunque, l’antimafia è spuntata. Se ne
parla molto ma per altri scopi, l’antimafia è utile a molti.
I
pentiti alla guerra fredda
Alex Schwazer va all’Olimpiade a Rio
dopo la squalifica per doping - con disonore: troppi tentativi d’imbrogliare le
carte. Yuliya Rusanova pure, dopo una squalifica di due anni per doping. In una
“squadra di rifugiati”, sotto il patrocinio Cio.
È giusto, chi è condannato può
riabilitarsi. Non fosse che c’è il perdono per Schwazer, spergiuro e recidivo, e
si è inflessibili con Carolina Kostner, che non è colpevole di nulla ma era
innamorata di Alex. Kostner vene punita più di Schwazer erché non lo ha
denunciato: non si è “pentita”.
Rusanova, invece, è premiata perché è
una “pentita”. Una pentita russa, gestita dall’Fbi, in un sito segreto. Per
fare meglio la guerra alla Russia, allargandola allo sport.
Rusanova è moglie di Vitali Stepanov, tecnico
russo dell’antidoping. Dopo che la moglie è stata squalificata per due anni nel
2013 per doping, Stepanov ha preso contatto con la Wada, l’agenzia mondiale
antidoping, e si è detto disposto ad accusare la Russia di doping sistematico
nell’atletica, e forse in tutte le discipline, in cambio di protezione. Detto
e fatto. Interviste clamorose sono state preparate per Stepanov. Dopodiché l’autoesilio dei coniugi Stepanov è
avvenuto senza problemi, con visto turistico, e i coniugi, sotto la protezione
dell’Fbi, sono i testimoni d’accusa che hanno portato all’allontanamento
dell’atletica russa dalla gare internazionali e dall’Olimpiade brasiliana.
Lo sport non è stato immune alla guerra
fredda. Nemmeno l’Olimpiade. Nel 1980 l’Occidente boicottò l’Olimpiade di Mosca
per l’invasione dell’Afghanistan. Nel 1984 la Russia boicottò l’Olimpiade di
Los Angeles per rappresaglia. I pentiti dello sport nella guerra fredda sono
invece una novità totale, e nobilitano enormemente la professione.
Si può dire che ormai non c’è storia che
non sia fatta dai pentiti.
La
mafia degli incendi
Disattenzione, scoordinamento,
incapacità, scirocco? No, è il complotto perfetto, la Sicilia si assolve così.
Di chi è chiaro: dei mafiosi. Che
coalizzati e coordinati hanno appiccato il fuoco alla Sicilia. Sessanta bande
mafiose hanno appiccato sessanta incendi in tutta la Sicilia, con l’esclusione
del catanese – bisognerà rifletterci? Tutti insieme contemporaneamente, come
nelle migliori operazioni di guerra.
Come se i mafiosi si occupassero di
appiccare incendi. Oppure credessero ai giornali, secondo i quali dopo gli
incendi si costruisce. Fessi non sono.
La stupidità invece no, di chi brucia
stoppie e butta cicche accese, voluttuosamente, al vento caldo. Il piccolo
grande business no, degli spegnimenti e dei rimboschimenti.
Però, è vero quello che la Sicilia pensa
di se stessa, di avere intelligenza superiore. Quello mafioso sarà stato il più
grande business mai inventato: basta dire “mafia!”, e si guadagna. Magari poco,
ma è gratis.
Basta un po’ di vento caldo, che la
Sicilia non si fa mancare di questa stagione, e sessanta incendi scoppiano
indomati. Come farli fruttare? La mafia è d’ausilio.
Napoli
si piace lazzarona
“Tra
terzomondismo e tratti filoborbonici, l’ex Pm narciso ora corre da favorito”, è
il ritratto di De Magistris sul “Corriere della sera”. Di Marco Demarco, che
non sarà un simpatizzante ma conosce l’uomo e la città - del resto, avendolo avuto
giudice territoriale, non se ne può coltivare immagine diversa. De Magistris le
elezioni poi non le ha vinte, le ha stravinte. Uno che dovrebbe stare ar gabbio,
per le tante indagini false che s’è inventate a Catanzaro, quando l’hanno
costretto a lavorare – perché lo riportassero a casa.
È troppo facile partire da qui per
individuare il malessere di Napoli inguaribile. Ma non è possibile non tenerne
conto: la città non rinuncia al suo lazzaronismo.
Questo è quello che più colpisce, più
dei macelli quasi quotidiani al mercatino della droga: la voglia satanica
non di migliorarsi ma di peggiorarsi. Quando il presidente Ciampi vent’anni fa
ne tentò la rinobilitazione, sindaco Bassolino, si fece presto a parlare di
Rinascimento, le qualità c’erano. Ma anche gli istinti brutali: la città
peggiore reagì con immediatezza e violenza, inabissando il Rinascimento e
Bassolino, sprofondandosi nei rifiuti – nel ridicolo più ancora che nelle puzze
e i veleni. Il successore di Ciampi, il napoletano Napolitano, più che altro la
eviterà.
Città inurbana
Era lazzarona
Napoli un tempo con un filo di vergogna. Se non altro, era critica. Lo è ora
compiaciuta. Troppo facile anche l’accostamento di de Magistris a Masaniello,
ma che altro se ne può dire. Il de minuscolo, si raccomanda.
La città italiana di maggiore e più
antica conformazione urbana non ha nulla dell’urbanismo. Della capacità
dell’habitat urbano di amalgamare e socializzare. Si prenda al confronto Roma,
con le sue baraccopoli ancora al tempo di Pasolini e di Paolo VI, che ne impose
il risanamento, quindi non più di cinquant’anni fa. Che ora sono periferie
urbanizzate, alcune anche trendy,
con ritrovi, parchi, chiese, scuole, edifici pubblici e privati curati, piazze,
eventi - hanno locali perfino gourmet,
segno che il reddito medio non è inferiore. Con “la periferia riannodata al
centro cittadino”, come chiede Renzo Piano.
Napoli no. Non aveva borgate. Aveva un
centro storico intasato, Quartieri Spagnoli, Forcella, etc., è stata provveduta
di ampi quartieri nuovi, trenta, venti anni fa, dopo il terremoto, e li ha
degradati, subito, tutti. Fatto unico in tutta Europa, a livello del peggior
Terzo mondo, ha in questi quartieri un abbandono scolastico del 30 per cento. Napoli,
tutta la città, un milione di anime, ha secondo Save the Children un abbandono
scolastico del 20 per cento – se anche in realtà è la metà è sempre enorme.
La
povertà affluente
Si dice la povertà. I “disoccupati
organizzati”, gli ambulanti, etc. Ma Napoli è pur sempre la capitale delle
lavorazioni à façon nel tessile, e
dell’industria della copia. L’applicazione non manca: il “napoletano” è
ingegnoso e sa essere costante. In evasione fiscale e anche legale, ma sempre
indice di capacità, industriosità - e tanto più per dover operare
nell’illegalità. E di reddito, seppure nero. Nel carcere di Poggioreale entrano
ogni anno otto milioni di euro di aiuti ai detenuti.
Questa Napoli infangata nella popolosità
peraltro non emigra. Molto meno, e con più resistenze, che non i calabresi, o i
siciliani, o i pugliesi. Anche il napoletano che lavora a Roma: si sobbarca al pendolarismo,
non lascia. Ma è inetto in casa. A meno di non teorizzare un vizio del male
congenito, una tabe ereditaria.
Emigra l’“altra Napoli”. Che qui non è
da intendere come marginale e subordinata, ma d’eccellenza e di comando.
Prefetti, questori, giudici di ogni tipo e grado in tutta Italia sono
o sono stati napoletani. Specie ai gradi di comando: capi della Polizia, capi
dei ministeri, Corte Costituzionale, Cassazione, Tribunali, Procure, giornali. E
anche questo non si capisce.
C’è un pulviscolo mafioso, che si
riproduce come gli acari? Può essere, la partenogenesi è operosa in natura. Ma
molto è pauperismo sterile: sono ladro perché sono povero, vecchia solfa,
vecchissima. Mentre è solo violenza. E sempre di sottoproletari: i cadaveri di
oggi come quelli degli altri giorni parlano chiaro. Perché si vuole negarlo?
Napoli è una città probabilmente ricca, se emergesse tutto il grigio e il nero.
Che però si vuole in mano a poche decine di sottoproletari rozzi e brutali –
tanto più perché si vergognano di se stessi.
Gomorra
La serie tv “Gomorra” nobilita la
malavita. La porta al livello dei Supereroi, seppure del male. Fredda ma
inflessibile, consequenziale. Fa
sempre quello che si propone, non c’è caso o forza avversa che non glielo
consenta. Mentre quella reale è incapacità, stupidità, brutalità: distruttiva
per essere autodistruttiva. Più ancora la nobilitano le critiche, tv e di
costume: si parla di fascino della malavita, di un’attrazione satanica alla
moda dell’Is, come se le reclute fossero migliaia, o anche centinaia. Mentre
sono poveracci, le camorre sono solo sottoproletariato, e dei più sguarniti. I
lazzaroni di un tempo. Che però vengono proposti come genia inestinguibile.
Guardando Napoli da fuori sembra di scansionare un libro di fantascienza.
Da tempo ormai immemorabile si mostra Scampia
come simbolo del degrado. Ma questo è un altro discorso, dell’indigenza del
giornalismo, ripetitivo, disinformato. Scampia è un’ottima periferia, ben
connessa (tangenziale, autostrada, mezzi pubblici, compresa la metro), non un
mondo a parte. Dopo la “Gomorra” del libro, una dozzina d’anni fa, che ne fece
il centro della malavita, si è voluta animata da un civismo locale forsennato, con
un centinaio, forse duecento, associazioni o iniziative sociali locali. Non c’è
molto civismo locale nelle città italiane, non nella tradizione inglese o
americana, a Scampia c’è. È stata una delle prime periferie di Napoli, città
che era tutta centro: cresciuta negli anni Sessanta post-boom, e più dopo il
terremoto, a elevata intensità costruttiva, a iniziativa pubblica. Con un
intento buono: urbanizzare il sottoproletariato in simbiosi con la piccola
borghesia. Con qualche pecca: l’amianto incorporato nelle Vele, le piramidi
abitative – ma era un peccato comune. E con distrazioni assurde: ben collegata,
la “città” non aveva – e non ha: non ha una banca – praticamente servizi
privati. Non c’era nemmeno il tabaccaio, le sigarette si compravano perciò di
contrabbando, che a Scampia ha ripreso a fiorire.
A Scampia ci sono le mafie – c’erano.
Sì, i Licciardi, i Di Lauro. Ma nessuno purtroppo se ne occupava, prima delle
faide. È sempre così al Sud, quindi anche a Scampia. Di Lauro era personaggio
noto a Napoli, lo chiamavano “’o milionario”. E fino alla faida, assicura lo
storico Isaia Sales, “non ha mai avuto imputazioni legali di nessun tipo”.
Deindustrializzazione
La città ha avuto e ha problemi grossi.
Per primo la deindustrializzazione. A Napoli è stata radicale. Pomigliano
d’Arco occupava 40 mila metalmeccanici, ora arriva, i giorni giusti, a cinquemila,
tra Fiat-Chrysler e Alenia, indotto compreso. Bagnoli è stata chiusa. L’industria
conserviera è emigrata.
L’economista Mariano D’Antonio lasciava
la città trent’anni fa indignato che si pensasse di farne “un polo di camerieri”.
Ma anche questo disegno, se c’è stato, latita. Oltre che le bellezze naturali e
la cucina, la città ha un patrimonio culturale – quello che assicura il turismo
più ricco – incredibilmente vasto e attraente. Che però è solo testimone dell’incapacità
dei sindaci di gestire la deindustrializzazione: la città e dintorni, così
adatta ai servizi, è una enorme miniera a cielo aperto non sfruttata, di bellezze naturali, archeologiche,
artistiche, culinarie, musicali, per il tempo libero, etc.. Che però avrebbe bisogno
di un po’ di coraggio.
leuzzi@antiit.eu
L’amore non è cavalleresco
Un giovane russo in
fin di vita prova a rimemorarsela. Fissandosi su un amore che non è stato: egoista,
e non corrisposto. La colpa aggiungendo al dolore – anche se: chi non è
superfluo? In una società russa di metà Ottocento che, benché a Turgenev risultasse
insopportabilmente arretrata, pure non lo è nei racconti. Sempre oblomoviana,
delle cose che avrebbero potuto ma non sono. Ma articolata, spedita.
Da lontano, il
flaubertiano Turgenev restò sempre un autore russo, della Russia. Il suo “uomo
superfluo” ne è una categoria dello spirito..
Ivan Turgenev, Diario di un uomo superfluo, Il sole 24
Ore, 79 € 0,50
domenica 19 giugno 2016
L’Occidente sunnita - saudita
Fate la guerra, per amore dei sunniti.
Sembrerebbe una richiesta dell’Arabia Saudita, o di un altro dei potentati della
penisola arabica, ma è la richiesta di Robert Ford, ex ambasciatore americano a
Damasco. Dimessosi due anni fa per protesta contro Obama, e da allora
consulente di non si sa bene quali interessi, Ford difende la posizione saudita
sulla Siria, senza mai dirlo, in un’intervista al “New Yorker”.
L’intervista si collega all’“ammutinamento” di
una cinquantina di diplomatici americani, con una lettera di critica al governo
pubblicata dal “New York Times”: gli Stati Uniti devono fare la guerra in
Siria. Non una posizione diplomatica, dopo le troppe guerre avventurose in cui gli
Usa hanno impaludato l’Occidente da quindici anni, specie in Afganistan e in
Irak, il terremotaggio dei bonapartismi arabi laici o poco rispondenti alla
crociata islamica reazionaria, e la “creazione” del radicalismo islamico con distinta funzione anti-occidentale.
E dunque?
Ford ripete che Obama “sbaglia” in Siria, solo
trascurando di dire che sostiene la posizione saudita: “Il messaggio dice
chiaro che concentrarsi sull’Is non vincerà cuori e menti di abbastanza arabi
sunniti siriani per fornire una soluzione sostenibile, a lungo termine, alla
sfida dell’Is in Siria”. In chiaro: o Obama fa la guerra in appoggio ai sunniti
siriani, ai sunniti arabi, oppure l’Is continuerà a fare sfracelli. Continua
l’ex ambasciatore: “La comunità araba sunnita siriana vede il governo Assad
come un problema più grave che l’Is”.
Senza vergogna Ford argomenta con la
propaganda di guerra: “Il governo siriano ha ucciso sette volte più civili
dell’Is”, etc.. E con una minaccia: “Il rischio è che, proprio come il Centro
palestinese è crollato, così collasserà il Centro moderato in Siria. Dobbiamo
avere la fiducia della comunità sunnita siriana araba per sconfiggere l’Is”.
Cioè: o la guerra coi sunniti, a favore dei sunniti, oppure l’Is.
Ford ripete “araba” per dire che non vuole di
mezzo i curdi.
Niente strategia e tattica, solo ufficio
stampa saudita.
Con qualche errore – se non è, levantinamente, una messa in guardia e un ricatto. L’ex ambasciatore si rifà costantemente a
Hillary Clinton: lei sì, quando era segretario di Stato – fino al 2012 - “aveva
capito” la situazione. Cioè alla destinataria di fondi colossali dell’Arabia
Saudita e del Qatar, via la Fondazione di famiglia, alla sua campagna
elettorale.Letture - 262
letterautore
Acido (Lsd) – L’industria farmaceutica ne tenta il rilancio a usi creativi, dopo
la liberalizzazione della marijuana negli Usa. Ma non ha lasciato segni
estetici di creatività di qualche rilievo, né letterari (poesia, narrazioni),
né artistici. Malgrado abbia avuto un decennio buono di culto a partire dal 1961 e fino al 1969, al massacro di Manson a Cielo Drive, alla elezione di Nixon, e alla carcerazione di Leary. In contemporanea con le sperimentazioni Sandoz, e numerosi testimonial
entusiasti, da Timothy Leary, già professore di psicologia a Harvard, a Cary Grant e John Lennon. Eccetto qualche composizione di Lennon. E alcuni romanzi
di Philip K.Dick. Che però non ne fece buona esperienza, una volta sola, e lo
usa come negatività - una sorta di principio del male, schizoide o manicheo.
Si attribuisce all’Lsd la creatività, oltre che di Lennon, che
però probabilmente imbrigliò, di un elenco fantasioso di addict: Warhol, Fellini, Burroughs, Pynchon, Foster Wallace. Nonché
dei Rolling Stones, che invece Jagger ha tenuto al riparo dalle droghe, sopratutto
dopo la fine di Brian Jones, anche se con difficoltà, volendosi il gruppo opporre
ai Beatles come il western di Leone a quello originale, il gruppo dei brutti,
sporchi e cattivi, disarmonici, catastrofici. Non si contano invece le morti
indotte dall’acido, volontarie o accidentali.
Anni – Balzac è morto di 51 anni, avendo scrtto forse più di Dumas. È
morto di 53 anni Pasolini, operoso (romanzi, racconti, poesie, tragedie, film,
articoli) forse più di Balzac.
Blade Runner – Il film, “thriller fantascientifico”, l’Emmanuel Carrère delle
origini, studioso di Philip K. Dick, e quindi dell’originale del film, “Ma gli
androidi sognano pecore elettriche?”, dice “un trattato di teologia
cibernetica”, e uno “a parlare con proprietà vertiginoso”. È il presupposto di
Ridley Scott, che lo ha rimontato più volte, in varie versioni. Forse perché è
difficile la teologia in immagini.
Candidati - “Il piccolo Principe” per Raggi, nella scelta di letture che
Amazon ha chiesto ai candidati sindaco di Roma e Milano, il diario di Pavese,
il primo Malaussène di Pennac, con Terzani, Canetti e Pessoa per Giachetti.
Letture vere – plausibili – contro un titolo di maniera. La vecchia politica e
la nuova, illetterata. Raggi ama pure tre libri giornalistici di malvivenza a
Roma. Il genere tutto è mafia, tutto è corruzione, tutto è merda - mood più confacente?
Letture attendibili invece dei due candidati a Milano. Solo scarta
il grillismo, il “nuovo”.
Dialogo delle fedi – In piccolo vi ha contribuito anche Lewis Carroll – senza
effetto. Nel 1867 fece un viaggio in Russia, insieme con Henry Liddon. E ne
trasse anche ricordi scritti. Era una missione della Chiesa Anglicana per
stabilire rapporti con la chiesa Ortodossa russa. Ma Liddon sarà il Coniglio
Bianco, e anzi tutta l’idea di “Alice” sarebbe germogliata, secondo i surssi
orgogliosi, a Pietroburgo, la “città dei giganti”..
Futurismo – S’incornicia ora come passatismo? eSmbra un’ingiuria, ma è il
destino delle avanguardie. Succede in cucina, che questo sito segnalava il 10
giugno come la causa del “ristagno” socio-economico-culturale dell’Italia
secondo Marinetti: troppa pasta. Ora lo chef modenese Bottura è incoronato
miglior chef del mondo 2016 come “futurista”, assicura il “Corriere della
sera”. Cioè per aver “restituito la cucina italiana alla cucina italiana
ricostituendo un passato glorioso”. Un futurista passatista.
Proust – Fece principalmente selfie,
con tutti i parigini noti – e per questo sopravvive, benché verboso?
Come Céline, del resto. A differenza degli inventivi del secolo,
Stein, Joyce, Pound, Beckett.
“Solo un amore che non
trova soddisfazione può durare”, dice Flannery O’Connor (“D iario di
preghiera”9. “Insieme a Proust”, aggiunge la sua prefatrice Mariapia Veladiano.
Che invece non lo pensava – non che l’abbia scritto: non c’è consistenza né
durata negli amori di Proust, non in quello di Swann, né in quello per
“Albertine”, che si dice ambiguo ma è inconsistente, malgrado la lunghezza (non
durata). Menrre del personaggio Proust le uniche tracce sono di masochismo.
È la “gioia
del sesso” denudata, con un secolo d’anticipo. Si sa dalla biografia, Edmund
White nel “Ritratto di Proust” ne traccia la scoperta nell’opera: “La coercizione
del desiderio di Proust non poteva non consistere nel considerarlo il punto più
alto dell’esistenza – cosa che è – ma senza alcun approdo soprannaturale. Esso
sprofonda sempre più nell’inconscio, nel fondo più fondo, che è l’inferno”.
Robot –
Si pensa, se ne scrive, lo si rappresenta come l’amico furbo o il furbo
imitatore del suo creatore uomo: un cattivo, come se questa natura l’avesse
sviluppata da solo e non mediata dal creatore a cui deve tutto. Come una forma
di estraniazione schizoide del male. Per la fantascienza da sempre, per il pubblico generico da Kubris, “2001.
L’odissea dello spazio”, 1968. Spielberg, che invece l’ha fatto buono, con
“E.T.” ha avuto però un successo forse maggiore. Anche ovvio: non si crea a fini di male. Ma
è rimasto solo, anzi un caso unico.
Se ne è
sviluppata l’alterità, più che nell’intelligenza artificiale, scienza a
tecnica, negli anni 1960 della ribellione generazionale: Il robot impersona,
nella narrativa sci-fi, il figlio
ribelle. Non lusinghiero, ma il concetto di ribellione ha fatto premio su
tutto, bene e male. .
Spia – Ha connotazione positiva nella letteratura
e l’opinione inglese, da Conrad a Graham Greene, Fleming, Le Carré, etc. – mentre ne ha una negativa, negativissima, la
spia degli altri, un tempo i tedeschi ora i russi. Anche le spie vendute allo
straniero, nella guerra fredda al comunismo sovietico, purché inglesi (Blunt e
soci), sono in qualche modo eroicizzate, benché spesso più ricattabili che
comuniste.
Non ne ha
di nessun genere in Germania o Francia, né in Italia: le spie ci sono, sono
anche “collaboratori di giustizia”, numerose, ma non fanno scena. Negli Usa ha
connotazione piuttosto negativa, derivata dai fallimenti, più che dalle “azioni
speciali”, della Cia. Con qualche spiraglio, ma senza eulogie, per l’Fbi, in
funzione antispionistica.
letterautore@antiit.eu
L’America di corsa
A 26 anni Oscar
Wilde era in America, per una serie di conferenze, celebrato autore e già
personaggio. Invitato dappertutto, ci passò un anno. Chiacchierato, dice
l’editore, ma non per quello che s’immagina: perché brillante e modaiolo, poco
puritano – era già un iperdandy.
Di suo, semplice
come al solito, trova gli americani puliti, nel senso dell’igiene e
dell’abbigliamento, vestiti per la comodità, e sempre di corsa, troppo.
Interviste rapide, naturalmente di corsa.
Oscar Wilde, Interviste americane, Lindau, pp. 240 €
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