Decostruzione – S’innesta come è noto sull’insistenza con cui de Saussure
torna sull’arbitrarietà del significante
– nonché sulle mille facce del senso, quale che sia quello che si
individua o rileva. Ma quella di Saussure è una induzione logica, che non
connota il senso, i diversi sensi – non struttura, quindi non destruttura.
Guerra –
È celebrata nel Novecento, quando perde ogni suo valore – onore, coraggio, giustizia,
libertà – nella propaganda di guerra: E nella guerra di posizione (le trincee)
e della potenza di fuoco (mitragliatrici, obici, cannoni, carri armati, aerei,
missili): la “guerra di materiale”, di cui lo stesso Jünger, che la ha vissuta eroicamente, è lo scrittore. Che ogni valore individuale annulla, e perfino ogni valore umano, che
non sia quello dell’invenzione (tecnica) di nuova potenza di fuoco. Si
celebra qualcosa che non c’è è più, ma con non neutrale slittamento semantico:
dal valore alla carneficina.
Interpretazione – Rorty, dopo averla a lungo ricercata – l’interpretazione
vera, il codice risolutivo – la riduce a una “ambizione” che lo aveva “indotto, tra ventisette e i ventotto anni, a sprecare
tutto il tempo alla ricerca del segreto della dottrina esoterica di Charles
Sanders Peirce circa la «realtà della Terzità» e dunque del suo «Sistema»
semiotico-metafisico così fantasticamente elaborato”. La semiologia dicendo
dunque un esoterismo. Rorty è scettico, ma il suo “mulino del processo
ermeneutico che crea gli oggetti parlandone” è reale.
Così in
“Il progresso del pragmatista” (in “Interpretazioni e sovrainterpretazioni”).
Sull’interminatezza
dell’interpretazione Rorty ritorna in questo saggio a proposito del romanzo di
Eco, “Il pendolo di Foucault”. La lettura gli evoca, dice, “una visione del grande
mago di Bologna che rinuncia allo strutturalismo e abiura alla tassonomia,… finalmente
disposto ad abbandonare la sua lunga ricerca del Piano, del codice dei codici”.
Una lettura, dice Rorty, in linea con “tutti quei tassonomi settari e monomaniaci
che turbinano intorno al pendolo”, che “riescono, con grande zelo, ad accordare
qualsiasi cosa con la storia segreta dei templari, con la scala
dell’illuminismo massonico, con il piano della Grande Piramide, o ancora con
una qualunque delle loro ossessioni”.
Per una
circolarità di grande appropriatezza logica: “Queste persone traggono un
piacere squisito nello scoprire che la loro chiave ha aperto ancora un’altra
serratura, che un altro messaggio cifrato ha ceduto alle loro insinuazioni e
rinunciato ai suoi segreti”. Anche se, semplicemente, “condividono le delizie
di cui sapevano Paracelso e Fludd mentre scoprono il vero significato della
peluria delle pesche, vedendo in questo fatto microcosmico una corrispondenza
con qualche principio macrocosmico”.
Sangre
limpia-
È molto italiana Laura Marino, star francese dei tuffi a Rio, ma non è un caso,
è una delle tante figlie e nipoti di italiani che hanno conservato i nomi
familiari, non volendo rinunciare del tutto al pedigree, se non alle radici. Jérôme Fenoglio, chiara origine di
Alba, come lo scrittore, è direttore del “Monde”. Fenoglio è d’altra
parte l’italianizzazione del francese fenouil,
finocchio. Dove sono le distinzioni nette, marchianti? Il razzismo biologico
no, razza e cultura sì, ma dove sono le carte d’identità, le delimitazioni? Il
razzismo biologico semmai ha un senso, se se ne esclude la connotazione di
superiore e inferiore: la procreazione è una fatto, l’ereditarietà ha una base.
Anche quello culturale ne ha uno – le pagine di Senghor sull’uomo africano e
l’uomo europeo si rileggono con interesse. Sull’intuizione come dominante
oppure il raziocinio, eccetera. Ma sapendo che è una costruzione storica.
Stabile in relazione alla stabilità dei caratteri, ma non predestinata.
Nel romanzo di Cicerone, “Imperium”, un
“uomo nuovo” che sarà sempre disprezzato dagli aristocratici, benché miglior
avvocato e loro collega al Senato,
Harris addita Catilina, e il suo giovane compare in dissolutezze Clodio,
come il concentrato della razza pire, per una selezione di decine di
generazioni: “Credo che si intenda proprio questo per «purezza della razza»”,
Harris fa dire al suo narratore, lo schiavo Tirone, stenografo e segretario di
Cicerone: “Erano stati necessari quattrocento anni di matrimoni incrociati tra
le migliori famiglie romane per dare vita a quelle due canaglie, creature d’allevamento
simili a due cavalli di gran razza e come loro veloci, caparbi e pericolosi”.
La selezione acuisce le qualità anche negative: dalla malvagità non ci si salva
chiudendosi in casa, non resta fuori della porta. Restando se stessi nella
propria tribù si finisce come gli Ik di Turnbull, vendicatori cupi
affaccendati.
Ciò che non va del razzismo biologico è,
oltre alla gerarchizzazione, la purezza. La purezza del sangue, cui si
collegherebbe quella delle culture, e anzi delle coscienze. Il contrario non tanto di impuro quanto di misto.
Storicamente si può sostenere che il razzismo nasce quando si conculca
il tribalismo. Nasce nel 1492
in Spagna, dopo la conversione imposta agli ebrei: non
contando più la professione religiosa, per distinguere gli ebrei si compilano
Libri Verdi sulla limpieza de sangre.
Il mito
del sangue puro va con quello della razza eletta, che s’inaugura storicamente
con la tratta dei negri per il mercato americano, del cui avvio il mito è
contemporaneo. Ignazio di Loyola sarà oppositore lucido, tanto più per
essere isolato, della limpieza de sangre. Ma contemporaneamente Teresa d’Avila, fu subito santa per la chiesa senza
problemi, benché di nonno ebreo, senza quindi i quattro quarti prescritti dalla limpieza de sangre, e con cognizione del
fatto. Il mito verrà presto abbandonato, gli stessi spagnoli
dirazzavano volentieri nelle Americhe, ma resta serpeggiante, come fondamento della superiorità, il cui mito invece si
espanderà,
Voto –
Si reputa la matrice e la materia della democrazia, e lo è, ma entro limiti.
L’eccesso di votazioni dissolve il corpo politico. Specie sotto l’aspetto
referendario, ora anche per le questioni locali e settoriali. E per effetto
oggi dei sondaggi, peraltro labili e incontrollabili. Inoltre, paralizza e
dissolve la funzione di governo, riducendo la democrazia a simulacro: il
potere, non tollerando vuoti, si esercita con altre modalità e per altri
interessi, non necessariamente collimanti con quelli dell’elettorato.
L’eccesso
di votazioni, nei pochi giorni non festivi,
è una delle cause della fine della Repubblica nell’antica Roma:
l’indigestione di voti popolari, senza la necessaria selezioni di uomini,
metodi, obiettivi.
Contro le
votazioni, e a fini “democratici”, si esercitò a Roma il “tirannicidio”, brevi manu, senza giudizio, a opera dell’establishment contro i tribuni, da
Tiberio Gracco a Cesare.
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