sabato 27 agosto 2016

Tutti contro l’euro, ci sarà un motivo

Non è la burocrazia né l’affarismo della Ue ad allontanare i consensi, ma l’euro: tutti i movimenti di protesta anti-Bruxelles, in Italia Grillo e la Lega, crescono sull’avversione all’euro. Non alla moneta unica, come denominazione, che è comoda, lo vedono tutti, ma ai danni procurati dall’euro. Che a pensarci sono devastanti: hanno sfiancato il cosiddetto ceto medio, la metà dei cittadini dell’Europa, indebolendo di conseguenza anche il quarto più povero: il 75 per cento degli europei. Si dice la crisi, che va per il decimo anno, conseguenza del crac bancario Usa nel 2007, ma da quello sono risanati tutti, l’Europa si dissangua con l’euro.
Come col Brexit in Gran Bretagna - effetto dell’euro anche se Londra non ne faceva parte - dappertutto sono consolidati e crescono i movimenti anti-euro. In Francia e in Austria, dove sono maggioranza, in Germania, forti di molti intellettuali, anche economisti, e ora di un partito euroscettico, Alternative für Deutschland, in Spagna, in Grecia ovviamente, in Olanda. La stessa libera circolazione, altro imputato europeo nelle opinioni pubbliche nazionali, si lega all’euro: Schengen è figlio-a di Maastricht.
Il peccato d’origine, rimosso di forza, è capitale: il raddoppio dei prezzi quindici anni fa. Che metodologie appositamente elaborate non hanno fatto rilevare agli istituti di statistica, ma i consumatori hanno avvertito su tutti i capitoli di spesa, giornalieri e per beni intermedi – anche in Germania, dove l’euro si è voluto a due volte il vecchio marco. E i risparmiatori nel “dimezzamento” , non solo psicologico, del capitale, e nel crollo successivo della remunerazione del risparmio, fino agli interessi negativi: si paga per risparmiare….
La stabilità, che la Germania dichiara bene assoluto in un’Europa divisa e anarcoide, è di fatto una camicia di Nesso. Due tratti molto negativi sono legati in positivo con un trucco: bassi interessi in assenza d’inflazione, che di più virtuoso? Ma il trentenne che ha preso il mutuo in banca s’accorge subito che non è così. L’effetto reddito è azzerato. Lui non migliora e non può migliorare la sua situazione reddituale, e quindi l’interesse da pagare pesa sempre, ancorché contenuto.
Ancora prima di arrivare alla deflazione dichiarata (statisticamente rilevata), essa c’era di fatto. Il reddito da lavoro ristagna o s’indebolisce in termini di potere d’acquisto – in Italia già per effetto della crisi del 1992. Il capitale non si riproduce e anzi si strizza. La creazione di capitale è da un quindicennio limitata, tendenzialmente coartata. Quando si produce – quantitative easing – è a beneficio delle banche. I redditi cosiddetti medi - in realtà il reddito della nazione, delle famiglie, dei lavoratori, dei pensionati -  è imploso, chiuso in gabbia, e non ha vie d’uscita (impieghi alternativi) possibili.
Pagare per risparmiare ha dell’incredibile: una novità totale, e molto sciocca. Anche una cosa che tutti sanno. Ma non si dice. E questo muove l’avversione: cos’è questo euro, un complotto, che nessun giornalista se ne accorge? Il senso di abbandono, o di sfiducia, è totale.

Ma quanti sono i grillini, benché trini

Sarà una sorta di “fata morgana” della triarchia al vertice, Grillo, Di Maio e Di Battista, che si riflette in terra. Ma sembra che siamo tutti grillini, uni e trini. All’improvviso. Dopo il successo a Roma e a Torino: uno legge il giornale o apre la tv e si trova sommerso dai grillini, cosa (non) pensano e cosa (non) fanno.
Si fa come se Grillo avesse vinto il referendum istituzionale, mentre lo perderà (a meno che Berlusconi... v. sotto), e anzi sia già presidente del consiglio, sempre uno e trino. Mentre non fa che perdere voti.
A Roma ha vinto Raggi e a Torino Appendino perché le due “ragazze” hanno avuto i voti del centro-destra - a Roma anche quelli dei Pd “dalemiani”, nonché della vedova Petroselli, ultimo sindaco Pci. Dopo che Berlusconi aveva provveduto, perfido sapiente, a disinnescare i suoi candidati al primo turno. Raggi ha avuto al primo turno 461 mila voti, al ballottaggio 771 mila – mentre Giachetti, candidato di “un partito che non c’era” (non lo candidava e non si impegnava organizzativamente) ha raccolto nel suo orto, passando da 326 a 377 mila. Idem per Appendino a Torino: 118 mila voti al primo turno, 203 mila al ballottaggio, mentre Fassino raccoglieva i suoi, 160 mila al primo turno e 168 al ballottaggio.
Il centro-destra è in dissoluzione, e volentieri salterebbe nel carro di Grillo. Ma  non succederà. Grillo non li vuole – scomparirebbe. E gli elettori non li seguirebbero – votare contro Renzi una volta sì, ma per Grillo no.
Grillo, di suo, è in fase discendente: ha fatto il botto alle Politiche del 2013, con il 25,5 per cento del voto, 8,8 milioni. Una protesta di massa, che si sorprese da sé – i sondaggi davano il partito dei “vaffa” alla metà del risultato elettorale…. Alle Europee l’anno dopo era sceso di 4 punti e mezzo, con soli 5,8 milioni di voti. Effetto, si è detto, della minore attrazione delle Europee, con un’affluenza limitata al 57 per cento degli aventi diritto contro il 75 per cento delle Politiche. Ma il grillino va a votare, non se ne priva.
Grillo non raccoglie più degli 8-10 punti percentuali del voto, l’area della protesta di ogni elezione della Seconda Repubblica. Maggiore del 5 per cento, sui 2,5 milioni di elettori, della protesta fino al golpe di Milano, ma ugualmente instabile.
Il calo del resto è confermato dalle successive Regionali del 2004, 2005 e 2006, in tutte le regioni, dimezzando quasi ovunque i voti – anche se non in percentuale, per effetto della contrazione dei votanti, rispetto alle Politiche e alle stesse Europee (nel Veneto li ha ridotti a un terzo). Effetto dell’astensionismo? No, il voto di protesta è militante e non si perde un’elezione.

La Sicilia rivoltata, in continente

La vita di Camilleri raccontata dal sé medesimo, indigesta. Per il resto la vulgata volgare: la Sicilia liberata dai mafiosi italoamericani, cento pagine di Berlusconi, e cento di mafia. A diciott’anni Camilleri è arruolato in Marina e mandato a “spalare i morti nella base navale di Augusta”, ma non ne sappiamo di più.
Esumato con fatica – forse per questo a suo tempo accantonato. Un mattone sopra la Sicilia, e anche Camilleri si fa male: la sindrome dell’io, io, io schiaccia l’incontenibile humour.
Il copyright è di Sciascia, che vedeva la Sicilia come un’infezione, anzi una metastasi - e un mondo, naturalmente, il mondo. Qui è Camilleri che traborda.
Saverio Lodato-Andrea Camilleri, La linea della palma, Bur, pp. 413, ill., € 10,90

venerdì 26 agosto 2016

Problemi di base - 290

spock

Chi legge i best-seller di quindicenni in fuga, donne, nel califfato: i padri o le madri?

E chi li scrive, perché?

Li scrivono in genere le madri: per invidia?

Se, come sembra, li leggono le donne, metteranno il velo anche da noi?

E scapperanno anche loro nel califfato, in uso ai combattenti?

Sarà peggio o sarà meglio?

Si creerà un problema demografico – dopo il multigender sterile, la poligamia confinata al mondo islamico?

Non sarà un altro trucco dell’islam, per conquistarci senza combattere, alla Houellebecq – senza donne sì, ma senza figli?

Col dubbio: questi burkini, povere martiri, non saranno un rimedio disperato dell’industria tessile, per rilanciare i consumi e i prezzi, per uscire dalla deflazione? Le indossatrici entrano in acqua sorridenti, ben tornite.

O la donna è meglio sottomessa, anche per lei? Perché tante donne adepte del califfo, entusiaste, fanatiche?

spock@antiit.eu

Stupidario ecologico

Un cubetto di robiola viene al supermercato avvoltolato in tre involucri. Di natura differente, ma indefinita – carta? plastica? indifferenzaiata? Oltre a quello con cui viene confezionato. Un etto di prosciutto pure.

Ogni acquisto, anche di pochi grammi, al banco alimentare del supermercato richiede tre involucri, più un nuovo paio di guanti del banconista. Idem in rosticceria.
Involucri che bisogna affrettarsi a casa a disfare, altrimenti fanno imputridire gli alimenti nel frigorifero, con la condensa.

Gli involucri vengono spesso pesati col prodotto – ma quello è un altro problema.

Milioni di bustine di zucchero si sacrificano ogni giorno all’Unione Europea, all’ideologia  all’industria del packaging sotto le specie dell’igiene. Tonnellate di prodotto ogni giorno si buttano nella pattumiera. Oltre agli involucri – carta? plastica? indifferenziata?
Lo stesso per l’olio nell’insalata in caffetteria o in trattoria. E per l’aceto, e il sale. Con spreco quotidiano, enorme, di sostanza: ettolitri, quintali - di bassa qualità, ma questa non è attenuante.

Si raccoglie e si conferisce il rifiuto organico in buste a tenuta del liquido: di plastica? biodegradabile, idrosolubile?

I detersivi “naturali” da qualche anno consigliati e in uso intasano gli scarichi. E quando arrivano alle fogne?

“Bisogna ancora capire se, e in quale misura, gli inquinanti arrivano all’uomo, attraverso la catena alimentare e il cibo contaminato”, Maria Cristina Rossi, laboratorio Biomarker università di Siena. Ancora?

Cecchi scrittore cattolico

L’apertura è travolgente, il pezzo d’autore del titolo – farà da titolo a un’elegante rivista letteraria Bompian del dopoguerra: dal quadro omonimo di Matisse all’Oriente, i pesci rossi visti in Giappone di profilo e di fronte, sullo sfondo della poesia e della grafica orientali, a Nikko, sulle montagne a Nord di Tokyo. Una lettura vertiginosa, non sintetizzabile, che introduce a un “Oriente” non più di maniera. Il resto un com’eravamo non lusinghiero, di prosa ornata: di pezzi de “La Ronda”, molto rotondi (compiaciuti e non più affilati), e de “La Tribuna”, di cui Cecchi fu corrispondente da Londra all’armistizio nel 1919. Perplesso anche Trevi nella breve presentazione. Come lo era De Robertis nel lungo saggio alla riedizone del 1940, vent’anni dopo la prima.
De Robertis lo dice autore di “ritratti d’uomini e danimali”, di “ricordi d’uomini e di paesi”. Ma l’unica presa viene da qui, dalla vena filosofica del Cecchi trentenne – spensieratamente ironico: “Io non avevo letto questo romanzo. Non ci avevo nemmeno scritto sopra una recensione”. Sparsa, dopo “Pesci rossi”, per incisi accidentali. Di Dio: “Il fondo dell’azione facilmente sembra ateo, quasi che agire significhi escludere dio, prendere il suo posto, interromere la sua partecipazione.  Ma il fondo dell’azione è soprattutto mistico; e agire significa estendere la solvibilità, allargare il credito di dio, farsene tacitamente garanti, diventargli in certo senso soci”. Dell’epoca, vista mille anni dopo: “L’Epoca dei Grand Affari”- la nostra, un secolo dopo! - è “un’epoca grigia, livellatrice”, che lascia pochi reperti, “per la ignobile qualità della carta da stampa in uso”, e usa vestirsi di nero, per tetraggine e sendo di crisi: “Vollero il ritorno alla materia, al deforme. E il Tempo li prese in parola, e li trattò come bestie, inghiottendoli confusamente”. Della città, vista dal di dentro e vista, meglio, dal di fuori. Dell’evoluzione, “una gerarchia scientifica degradante”, reazionaria: “Un antico andava in chiesa, a ritrovare il suo posto sull’infinita, gloriosa distanza che ancora lo separava da Dio, un moderno va al Giardino Zoologico a ritrovare il suo posto sull’infinita, gloriosa distanza che ormai lo separa dal cercopiteco. Un antico, per riconoscersi più uomo si confrontava, umiliandosi e annullandosi, agli dei. Un moderno, per riconoscesi più uomo, si confronta, applaudendosi e congratulandosi, alle bestie. Uno guardava avanti. Quest’altro è voltato indietro. Uno sentiva di avere ancora da attuarsi….”.  
Con la scoperta di un Cecchi “scrittore cattolico”. Non di parrocchia ma sì alla maniera di Flannery O’Connor, o dello stesso Chesterston che si reca a visitare e lo ingombra.
Il resto, uomini e animali, è molto fiorentino, bozzettista.
Emilio Cecchi, Pesci rossi, Elliot, pp. 124 € 12,50

giovedì 25 agosto 2016

Ombre - 330

Non conta i morti e non consola i sopravissuti il sindaco di Accumoli Stefano Petrucci. Sta subito lì a dire che i soccorsi sono arrivati in ritardo, e accusa il governo, la spending review, i tagli della finanziaria. Già si vede in tv ai talk-show sul terremoto?
Sono i sindaci i terremoti d’Italia, le frane.

Anche il sindaco dell’Aquila Cialente fa il polemista da Vespa, in una trasmissione che si sgrana contando i morti: 117, 120, 127…Questo Cialente, che è sindaco da dieci anni, che altro fa?
L’Istituto nazionale d geofisica e vulcanologia e la Commissione Grandi Rischi sono in mano agli che al processo farsa dell’Aquila testimoniarono contro la precedente gestione per non aver “previsto” il terremoto. Ora tacciono – gli avvoltoi questa volta sono in quiete.
Ma, allora, non si potrebbe risparmiare abolendoli?

Il terremoto continua, i morti aumentano – duecento? trecento? cinquecento? Ma già fioccano i “piani di ricostruzione”, di ingegneri, geologi, urbanisti, geometri. Il terremoto è una manna, come diceva la notte stessa dell’Aquila il gentiluomo De Vito Piscicelli, il fidanzato costruttore della principessa Borghese. in Neuburg und Hohenstein.

Val Nerina e Alta Sabina erano state colpite dal terremoto già 37 anni fa, a settembre. Con poche vittime, cinque, ma almeno duemila case distrutte. Cittareale, Leonesa, Accumoli, Amatrice elencava Guido Vigna sul “Corriere d’informazione” i luoghi colpiti. E in Umbria: “A Norcia 700 famiglie hanno chiesto una tenda. A Cascia almeno 500”. Il terremoto è imprevedibile, ma non del tutto.

Perché si cancella Eugenio Colorni da Venttene – si legge su eminenti giornali che il “Manifesto” fu redatto da Ross, Spinelli e…. Ursula Hirschmann.  Perché non era comunista? Neanche  Rossi lo era. Perché era ebreo? Anche Ursula Hirschmann lo era. Per ignoranza e superficialità?

“Apocalisse in Puglia. Guerre tra clan. Violenze islamiste. Croci bruciate. Schiavismo, agguati, incendi. Un pezzo dell’Italia oltre ogni umanità”. E nello stesso giorno: “È italiano e si trova in Puglia il miglior resort del mondo”, premiato alla Travel Week di Las Vegas, “la fiera del turismo”. È vero che le due notizie vengono da giornali diversi, “L’Espresso” e “Il Sole 24 Ore”. Ma senza criterio.

Oppure è anche qui un questione di Nord e Sud: l’apocalisse è nel Gargano, il premio nel Salento. Ma a ruoli rovesciati è il Sud (della Puglia) che fa premo sul Nord (della stessa Puglia).

Sessanta ragazzi italiani, ebrei, sono volontari e volontarie nell’esercito israeliano, scrive “Il Messaggero”. Un tempo andavano nei kibbutz, Israele bellicoso li spaventava. Non c’è più socialismo? Meglio l’avventura?

Il mangiapreti Hollande va dal papa per farsi benedire la proibizione del burkini. E il papa lo accoglie benedicente. Non si sa per chi parteggiare. È una partita di furbi?

È strano voler liberare le donne dai vincoli dell’abbigliamento della loro religione imponendo le regole dell’abbigliamento della nostra non-religione”, dice Michael Walzer a Viviana Mazza sul “Corriere della sera”. Una non religione imposta (in Francia) da sindaci laici.

Ma il filosofo sbaglia a dire l’abbigliamento della donna nell’islam un fatto religioso. È un fatto politico, patriarcale – oggi si direbbe maschilista.

L’imam di Firenze Elzir posta beffardo le monache al mare col soggolo e le tuniche.  Persona posata e in carriera - è presidente delle comunità islamiche – non si evita lo sberleffo: questa Italia, dove pure ha vissuto la maggior parte della sua vita, non merita niente. Non è lontano dalla verità, poiché questa Italia lo ha fato rispettabile e lo rispetta.

Il predecessore di Elzir alla presidenza delle comunità islamiche, Hamza Piccardo, si è divertito anche lui, proponendo la poligamia per risolvere la crisi demografica… Di “Hamza”, un italiano convertito, si poteva pensare che fosse un grillino, di quelli del “vaffa”, e invece no, la sua è una sfida, irridente.

Trump è Trump e Clinton non è simpatica, ma che differenza! Di Trump si cerca ogni giorno di dimostrare che è un servo di Putin, che lo finanzia. Mentre di Clinton, che è finanziata da regnanti arabi e affaristi non raccomandabili, ne è socia d’affari, niente. La guerra fredda è finita da trent’anni, ma non per i valorosi corrispondenti italiani. Sperduti nella giungla. A New York?

Malgrado l’abitudine, colpisce sempre nelle campagne presidenziali americane il ricorso ai “colpi bassi”: Trump è legato alla mafia russa, fa spiare Clinton da Putin, impiegava lavoratori in nero, ha una moglie che faceva la escort, Hillary Clinton è pagata da governi stranieri, non paga fatto uccidere l’ambasciatore americano in Libia… Poi si vota, e gli elettori scelgono secondo opinione. Opinione politica. Sono irrilevanti i giornali?

I giornali e i siti americani non possono però fare a meno di chiacchiere tremende sui candidati. Dunque, i lettori di giornali in America sono irrilevanti per le elezioni. Irrilevanti politicamente.

L’Africa scopre la storia

L’Africa, che Beethoven trovava “un po’ troppo larga, ingomabrante”, fu a lungo terra di filosofi, santi, eroi, maghi e condottieri, con madonne e veneri nere. Nonché di rondini, falchi, farfalle e cicogne. O si può prenderne la storia dall’altro capo: l’animismo fu filosofia di vita cristiana, prima che gli antropologi ne incollassero l’etichetta agli africani. Ma da tempo lo Spirito Santo l’ha abbandonata. Alle razzie prima, al colonialismo poi, e da mezzo secolo buono alla sua propria fame, che non disdegna il cannibalismo sotto forma di corruzione, molto spessa. Una storia dell’Africa è una vera novità.
Non è vero. L’Africa, che è stata scoperta prima di Gesù Cristo, non ha cessato di produrre storie. Ma ignote ai più, da tempo. E per primo all’Africa. Esaurita quella di Davisdson, vecchia ormai di trent’anni. Questa di Ki-Zerbo, burkinabé (“uomini liberi”), alto commissario dell’Unesco, è vecchia anch’essa, del 1994. Ma è una novità per l’Africa. Ed è tuttora ampia e esaustiva, con un respiro continentale. Un quadro d’insieme, non di eventi disgiunti e alla fine poco significativi. Non più il solito breviario che gli editori tengono in catalogo per completezza – di cui giusto uno è italiano, quello di Anna Maria Gentili, datato, e limitato al colonialismo post-tratta e alle indipendenze. C’è peraltro poco che non fosse stato scoperto da tempo, c’è solo da sapere. In Italia specialmente, che si distigue per l’ignoranza dei suoi vicini, e l’Africa tiene in cima al disinteresse. Quasi a specchio del continente nero.
Ki-Zerbo ha messo a frutto la massa di dati raccolta sotto la sua direzione, tra il 1972 e il 1978, dall’Unesco, per una storia generale dell’Africa poi pubblicata in otto spessi volumi. Selezionata con acume crtico, da teorico delle indipendenz già da studente, negli anni 1930, e poi da critico delle stesse, costante democratico nelle avventure del suo infelice paese, l’Alto Volta-Burkhina Faso, preda dei soliti general-caporali - naturalmente rivoluzionari (sotto il controllo semrpe della Francia, che però può poco).
Joseph Ki-Zerbo, Storia dell’Africa, Ghibli, pp. XXXI-936 € 35

mercoledì 24 agosto 2016

Ricomincio da nove

“91 anni, solo, senza figli, autonomia fisica ed economica, patentato, media cultura, gradirebbe incontrare una donna sola, senza figli, coetanea, indipendente”. È un annuncio su “50 e più. Il valore dell’esperienza”, rivista del centro di assistenza “per adulti” della Confcommercio.
Coetanea è ancora meglio che di media cultura: la lucidità c’è. O non c’è?

Letture - 271

letterautore

Classico - È l’“opera aperta”: più vive – rivive – nel tempo, più è pregna.

Codice da Vinci - Le radici del best-seller in “The Holy Blood and the Holy Grail”, 1982? Tradotto nel 2005 come “Il Santo Graal Una catena di misteri lunga duemila anni”, a ridosso del successo del “Codice da Vinci” e tuttora in edizione Tutto il romanzone di Dan Brown vi è contenuto, il primo dei best-seller, con 80 o 90 milioni di copie vendute: il significato del Santo Graal, il san real della discendenza d Gesù, il priorato di Sion, Maria Maddalena rifugiata in Francia, la madre dei re francesi, i Merovingi… Ma il libro originario ha la pretesa di rivelare la vera storia dell’Occidente cristiano. A opera di tre giornalisti inglesi, Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln, che mescolano vecchi studi a racconti d’invenzione e testimonianze apocrife o menzognere. .

Dante - È “islamico” anche in questo senso – non per colpa, o segrete inclinazioni: il “Corano”, che ha poca teologia, essendo essenzialmente una raccolta di precetti, la concentra in materia escatologica. “Contiene verità accettabili solo per fede su questioni escatologiche”, spiega Alessandro Bausani, “Islam”. E quelle che l’islamista elenca – “le più importanti, che il mussulmano ortodosso è tenuto ad ammettere” – sono: la resurrezione della carne; il tormento della tomba, a opera degli angeli; l’interrogatorio, da parte degli stessi angeli: il colloquio costante dunque con gli spiriti celesti in attesa del giudizio; la Bilancia, delle azioni degli uomini in vita; il Ponte – “si tratta di un’altra concezione escatologica di chiare origini iraniche, quella cioè del ponte teso sopra l’inferno, più sottile di un capello e di un filo di spada, che dovrà essere attraversato dai risuscitati, fra i quali i malvagi cadranno giù nella gehenna”.
Se ne potrebbe fare un Dante iranico.

Fénelon – È vescovo famoso di Combrai, dove si penserebbe ingombrante, che Proust non nomina nella “Ricerca”. Se non una volta per farlo dire “dolce anarchico” da Brichot nel salotto Verdurin, che ha “una definizione molto curiosa dell’intelligenza” , di cui però siamo lasciati digiuni. O allora a Combray, incidentalmente, per parlar bene di Bertrand. Il vescovo paga la colpa di essere stato prozio di Bertrand Fénelon? Eppure aveva un concetto simile a quelo di Proust per quanto concerne l’amore, ed era stato vittima due secoli prima di un processo analogo al Dreyfus.
Il problema di Fénelon è quello che Proust pone nella “Ricerca”, IV, 34: “Noi esistiamo soli. L’uomo è l’essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri che in sé, e se dice il contrario mente”. Salvo ricredersi subito dopo a proposito dell’immaginario e dell’arte, amore puro disinteressato. Lo stesso che il vescovo sostenne alla corte di Luigi XIV, suscitando l’ira e forse l’invidia di Bossuet, il patrono morale del re. C’è un amore disinteressato? Sì, l’amore puro è quello di Dio purificato di ogni amor proprio.
Quando “Le avventure di Telemaco” gli furono rubate e pubblicate, contro la sua volontà, Luigi XIV cedette a Bossuet: vide nel “romanzo” una satira del suo regno e bandì Fénelon dalla corte e da Parigi, obbligandolo, dopo una sosta in Belgio, a ritirarsi nel futuro luoogo peoustiano. Alcuni mesi prima Bossuet aveva denunciato Fénelon al Sant’Uffizio a Roma. Che non lo aveva condannato, ma processato sì. Il processo, di eco vastissima in tutta Europa, fu ambiguo e scandaloso come quello Dreyfus due secoli più tardi, di una colpevolezza che c’era e non c’era, e di un’innocenza che non si poteva proclamare per non dispiacere al potere al potere - Bossuet, Luigi XIV.
Bertrand Fénelon, visconte, morto in guerra nel 194 a 36 anni, è il modello dichiarato di Saint Loup. Discendente di un fratello del vescovo, fu uno dei nobili amici di Proust. Fino a un certo punto. Morand lo dirà “incantevole giovanotto dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, il beniamino delle signore del 1900, che servì da modello a Saint-Loup”. Dreyfusardo e anticlericale, ricorre nella biografia di Proust per alcuni tratti importanti: un’infatuazione importante dello stesso Proust, un viaggio mancato in coppia in Olanda, un litigio quando Fénelon brigò e ottenne un posto di addetto all’ambasciata di Istanbul. Dopo questo litigio, Proust lo cancella, ma se lo ritrova dappertutto. In “Sodoma e Gomorra” per nome e cognome: “Io stesso, avendo come amico diletto l’essere più intelligente, buono e giusto, indimenticabile a chiunque l’abbia conosciuto, Bertarnd de Fénelon”. Un epitaffio, essendo Bertrand intanto morto in guerra - non perfido? A lui è anche dedicata una delle rare poesie di Proust - che Bertrand redivivo potrebbe assumere a sua rivincita, tanto è insipida.

Foto – È una ferita aperta, un’incisione? Uno squarcio, direbbe Walter Benjamin, al di sotto delle apparenze: “L’operatore è come il chirurgo, che taglia nel corpo del paziente”.

Germania –Evoca l’ordine e il conformismo – con l’unico rimedio dell’anarchia. Da “sempre”, e compresa stranamente pure la Riforma, che fu invece una ribellione, e fu seguita da guerre di religione. Mentre in letteratura si segnala e si ricorda per l’anticonformismo e anche la scherzosità.

Hitler – Ha oltre mille pagine il “Mein Kampf” di Hitler infine riedito in Germania. In due volumi.  Appesantito da un’introduzione di 80 pagine, una bibliografia di 122, e 3.500 note. È quasi un’edizione critica – oltre che critica politicamente. Ma per questo non è un monumento?

Poliziesco – Eco lo vuole “una ricerca del sacro Graal”. Per questo inappagante ma consolatorio?
Fino a un certo punto, però: che sia alla Dan Brown – vediamo quanto è bravo, vediamo fin dove riesce a stiracchiarla. Altrimenti si cade in Evola.

Stendhal – Debuttò con la paura, a lungo, di essere preso per sciocco – provinciale, poco provvisto, di denaro, titoli, professionalità. E fu come ne scriverà Sainte-Beuve: “La paura di essere ingannato lo tiene in scacco e lo domina in ogni cosa”.
Guardingo malgrado la socievolezza. Ebbe del resto successo istantaneo, ma dopo morto: prima veniva snobbato, a parte Stendhal, come un “giovanotto” frivolo e snob, con pretese letterarie.  

Viaggio – È mentale – Walter Benjamin: “Il viaggio verrà propriamente a essere col diario che ne scrivo”? In effetti, lo spaesamento si può avvertire nel corso di una passeggiata, non c’è bisogno di una trasvolata oceanica.

letterautore@antiit.eu

Stupidario corruzione

L’Italia è la più corrotta in Europa, se la batte con Grecia e Turchia, secondo la Fondazione David Hume, di Piero Ostellino e Luca Ricolfi. Anche nel mondo non è male, afferma la Fondazione: è peggio del Messico – dove pure il visto di entrata è libero, pagando.

La corruzione in Italia “fattura” 60 miliardi, dicono la Fondazione e i media. Che è la metà della corruzione stimata in Europa.

I direttori generali del Tesoro dell’ultimo quarto di secolo, o della Seconda Repubblica, o delle privatizzazioni, grande business delle banche d’affari, sono diventati tutti vice-presidenti e consulenti delle banche d’affari: Mario Draghi, 1991-2001 (Goldman Sachs), Domenico Siniscalco, 2001-2005 (Morgan Stanley), Vittorio Grilli, 2005-2011 (JP Morgan).

La burocrazia è asfissiante in Italia a fini di prevenzione della corruzione. Che invece alimenta, proprio con le sue procedure asfissianti: dodici o quindi nulla osta preventivi per un investimento.

Il primo fattore della corruzione in Italia è, alla pari con la burocrazia e i dieci, cento, mille permessi, la giustizia civile. Ma l’Autorità anti-corruzione, che un giudice presiede , non se ne occupa – di che si occupa l’Autorità anti-corruzione?

Perché non si semplificano l’iter fiscale e quello autorizzativo? Per alimentare le tangenti.

I beati mafiosi

Una delle prime “Sicilie senza giustizia” – un topos (luogo comune giornalistico, ma anche storico e letterario) post-unitario: “Vacilla la fede nella giustizia legale; anzi non vacilla, manca addirittura”, Che spopolò sul “Giornale di Sicilia” per 239 puntate, un recod, tra il 1909 e il 1910. Uno storione ben siciliano, benché l’autore venisse da Patti e Messina, ambienti marginali all’isola. E si celasse sotto un pseudonimo inglese, Wiliam Galt, un nome d’arte che rinvia a Walter Scott - bizzaramente trascurato nel revival (rinviava Manzoni, e duque Natoli). Che coinvolge tutta l’isola, tra Palermo. Catania e Messina. Ma l’intrigo prevale qui sulla vicenda storica, l’intrigo e il complotto più che il destino eroico: uno stotione più gotico che storico. Stiracchiato, troppo.  
L’edizione princeps di Flaccovio nel 1977, che ridiede il giusto nome all’autore, è ancora più avvolgente. Le quasi 1.400 pagine proponendo a due colonne, come usava nei vecchi fogli di colportage,  con la “revisione letteraria” di Giovanni Mormile - la nuova introduzione di Maurizio Barbato ne segue la vicenda editoriale. Corredate da molte illustrazioni tratte dalla collezione di stampe di Rosario Lo Duca. Con una prefazione di Eco, “«I Beati Paoli» e l’ideologia del romanzo «popolare»”. Un saggio stotico e bio-bibliografico dello stesso Lo Duca. Una nota di Mormile. E un sottotitolo forse deviante, “Grande romanzo storico siciliano”.
Lo Duca, un ingegnere e deputato comunista che fu storivo dell’arte e collezionista, inscrive Natoli in una tradizione orale dei Beati Paoli che dice viva ancora all’epoca, negli anni 1970: una società popolarmente intesa di giustizieri e non di sicari. Che sono invece i protagonisti degli intrighi di Natoli, il quale si sarebbe puuttosto ispirato a uno degli “Opuscoli palermitani” del marchese di Villabianca, secondo Settecento. Ma inscrive Natoli nel romanzo d’appendice come lo configura Gramsci, del fantasticare popolare – una sorta di “romanzo familiare” popolare si sarebbe detto con terminologia psicoanalitica: il “complesso d’inferiorità sociale”, argomenta Gramsci, alimenta sogni di vendette e punizione. Uno stimoante e insieme un narcotico, che esime dalla rivolta.
È la chiave di Eco: non un romanzo storico ma un romanzo “popolare”: “I suoi ascendenti non sono Guerrazzi, Cantù, o D’Azeglio, ma Dumas, Süe o per restare in Italia Luigi Gramegna” (Luigi Gramegna…). E il “romanzo popolare francese” in particolare, malgrado lo pseudonimo scottiano. Il filone che comincia in Francia, stabilisce Eco, nel 1823 col “Museo delle famiglie” di Émile de Girardin, e subito s’illustra con “I misteri di Parigi”, molto Dumas e molto Victor Hugo.
Ma non c’è solo Gramegna, Eco dà sfogo in anteprima alla “passione per la falsificazione”, per il teatro di teatro: “Dalla Compagnia di Gesù come viene presentata nell’«Ebreo errante» di Süe, agli Abiti Neri di Ponson du Terrail, ai figli di Kali, sempre im Ponson du Terrail, al patto di sangue dei Tre Moschettieri, dai Tredici balzacchiani ai nostri Beati Paoli, la società segreta è la maschera dell’eroe e ne è al contempo il braccio secolare”.
Il marchese di Vilabianca è il meno colpevole. Funzionario pubblico, dilettante di storia locale, onoato anche da Sciascia, storicizza i Beati Paoli, in uno degli “Opuscoli palermitani”, il XVImo: li dice una setta creata per reazione alla dominazione normanna. Che invece in Sicilia non ci fu, anzi, non fu una dominazione prolungata, tale da suscitare un’opposizione popolare, né una reazione. Il marchese racconta, su questo e altri inciampi storici, personaggi e vicende senza spessore, ridicoli semmai e niente affatto terificanti, ma la voglia di incattivirsi faceva aggio già ai suoi anni.
In francese un classico
Un romanzo d’intrecci vari e avventure, agnizioni, disconoscimenti, equivoci, fughe, duelli, soperchierie, tradimenti, vendette, tra il 1698 e il 1719. Quando la Sicilia, col trattato di Utrecht (1713), viene passata dalla Spagna ai Savoia, e poi sarà contesa tra Spagna e Austria, con grande messe di baroni locali e gente di mano. Roba di un secolo fa, ma è quasi una prima, dopo l’edizione Flaccovio del 1977, passata incognita agli atti.
Natoli, relegato in Italia, prima di questa edizione, alle familiari patriottiche “I Buoni Cugini”, è autore di culto in Francia. Proposto dopo l’edizione in volume del 1977 da Jean-Noel Schifano, vi ha conosciuto una fortuna durevole, a differenza che in Italia, “I Beati Paoli” insieme con i sequel “La caduta di Messina” e “Coriolano della Foresta”. Ripubblicato in edizione tascabile, in tre volumi, a ogni decennio dal 1991. Con traduttori nuovi d’eccezione, che figurano coautori dei tre volumi: Maruzza Loria, Serge Quadruppani e Jacqueline Huet. Preceduto da un’eulogia fuori posto di Schifano, che lo presentò all’edizione del 1991 apparentandolo ai “classici” italiani contemporanei, dopo “I promessi sposi” e “I viceré”: al “Nome della rosa” e alla “Storia” della Morante. Ma il successo c’è stato, ed è durevole.
In Italia è finito invece nel calderone della mafia. Auspice lo stesso Sciascia. L’edizione Flaccovio fu accolta male, cioè bene. Relegata nel “culto” pervasivo della mafia che in quegli anni si affermava, per le mattanze di Cosa Nostra e dei Corleonesi e la saga di Coppola, e per il filone aperto da Sciascia con ”Il giorno della civetta”, il cui splendore finì per riversarsi su quelli che poi abbiamo visto essere i Riina e i Provenzano. Sciascia recensì il reperto, cominciando col dire che non si può non leggere Natoli se si vuole capire cosa è “essere siciliani”, per poi affossare il romanzone e l’autore nell’orrenda sintesi – elogiativa - del “tutto è mafia”: “Coi romanzi di Natoli si può dire che arriviamo a scoprire la mafia come vera profonda inalterata costituzione”.
La vecchia edizione Flaccovio è riedita da Sellerio, la nuova di Flaccovio è preceduta da una mappa ragionata di Palermo all’epoca della storia, di Adriana Chirco.

L’edizione Newton Compton riproduce Natoli tal quale, come un libro di avventure.
Luigi Natoli (“William Galt”), I Beati Paoli, Sellerio, 2 voll., pp. 1255 € 25
Newton Compton, pp. 960 € 9,90

Flaccovio, pp. XXIX- 702, ill. € 26

martedì 23 agosto 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (298)

Giuseppe Leuzzi

Colonialismo
Uno scrittore che ha molto viaggiato nel Terzo mondo, negli anni 1960-1970, Hans Magnus Enzensberger, riflette nel suo ultimo libro, “Tumulto”, 159: “È più facile trasformare il sottoviluppo in arte che eliminarlo”. In chiacchiera è ancora più facile.
“Tutto questo”, dice Enzensberger, cioè tutto ciò che risulta incomprensibile del Terzo mondo, un  mondo alieno, “viene spiegato con il sottosviluppo. Che nessuno sembra sapere con precisione che cos’è. Io credo che con ciò s’intenda più un modo di esistere che un concetto esatto. Il meccanismo economico è ancora quello più chiaramente comprensibile; è evidente, infatti, che risale alla colonizzazione. Più difficile decifrare le forme mentali miste che ne sono derivate: quanto c’è di variegato nella coscienza di sé delle persone, la loro concezione del potere, del compromesso e della corruzione”. Di variegato nel senso di proprio o locale.
Il Sud non è stato colonizzato. Non politicamente. Ma sì culturalmente, e in questo ultimo quarto di secolo senza respiro. Si può dirlo anche dagli effetti, che sono quelli della vasta esperienza dello scrittore tedesco.

Sudismi\sadismi
Non dà scampo il professor Ernesto Galli della Loggia al Sud, aprendo il “Corriere della sera” il giorno di san Rocco:

Il “mondo a parte” è nostra vecchia categoria. Ma non così apodittica – autorevole? “Il Mezzogiorno appare sempre di più un mondo a parte”, spiega lo storico, per almeno dieci motivi:
1) Per “i voti degli esami di maturità delle sue scuole”.
2) Per “un’altra idea di che cosa siano la scuola e lo studio e il loro rapporto con la società”, e  “un’altra idea — si deve supporre — di che cosa sia la vita stessa”.
3) “Per l’assenza consolidata di ogni prospettiva di sviluppo”.
4) “Per gli elevatissimi tassi di disoccupazione”.
5) “Per il crollo demografico”.
6) Per l’insediamento ormai egemone in molti ambiti delle organizzazioni malavitose”.
7) Per l’indice carente di tutti i servizi (dalla sanità alle comunicazioni).
8) Per le dimensioni e l’inefficienza e delle sue burocrazie”.
9) Per la qualità disastrosa di quasi tutte le sue classi politiche”.
10) Per un’atmosfera sociale ancora dominata in pieno dal familismo, dai rapporti clientelari, dalla raccomandazione”.
Mentre al Nord tutto ciò non c’è.
Il professore è buono: “Tutto ciò, sia chiaro, non già a causa di qualche malformazione genetica dei nostri concittadini di quelle regioni”. No, la causa è “una storia infelice”. Che però, ecco il punto, “qualche decennio fa molti segni indicavano essersi finalmente interrotta”. E invece ora niente.
Ma qualche decennio fa, due e mezzo per l’esattezza, lo stesso storico decretava sulla “Stampa” un altro decalogo, “Dieci comandamenti contro la mafia”, che terminavano così: “Lo Stato deve rendere la vita impossibile (al Sud) come e più della mafia”. Tagliando l’acqua, l’elettricità e il telefono, togliendo la patente.
Non c’è progresso.  

Sicilia
Si beve vino bianco a bordo mare, grecanico, inzolia, vini siciliani, non speciali ma bevibili, con etichette tipo Terre Siciliane, un nome di fattoria molto locale e il simbolo della Trinacria, che poi si scopre essere ditta di Lumezzate o Cermenate.
Si condisce l’insalata a bordo mare con l’impossibile bustina europea dell’olio d’oliva nella plastica, che risulta prodotto di Crescenzago o Parabiago.

S’intrattiene lungamente Camilleri col conterraneo Saverio Lodato in “La linea della palma”, sugli aneddoti suoi innumerevoli, che altrove ha raccontato o racconterà molto godibili, stancamente. Per il lettore quasi un tormento. A conferma che un siciliano è una meraviglia, due una rottura?
La “linea della palma” è copyright di Sciascia. Che s’immortala anche in una più godibile raccolta del 1982, “La palma va al Nord”. La differenza è che Sciascia aveva a interlocutore-collazionatore  Valter Vecellio, un italiano di Libia?  

Sciascia, “grande amico” di ogni memoria, nella “Linea della palma” Camilleri dice “grande questore fallito”. Mai privarsi di una perfidia.

“Chi sapeva del barocco? Poi è arrivato Montalbano… “  Un narratore di Scicli persuasivamente argomenta al Tg 2 che il suo paese, 30 mila abitanti, prima che il sito di mare fosse scelto da Degli Esposti e Sironi per il caffè in terrazza e la nuotata del commissario, era in letargo. “Ora abbiamo tutto: abbiamo ristoranti, alberghi, la gente arriva a frotte curiosa, noi stessi ci sentiamo molto a nostro agio”. Basta poco. 

Pirandello ha fatto il ginnasio-liceo ad Agrigento di nascosto dal padre. Il padre l’aveva iscritto al tecnico, perché lo voleva ragioniere, ma lui, nella stessa piazza, ogni mattina entrava al ginnasio. Per cinque anni. Si può? In Sicilia evidentemente sì.

Si fatica, ovunque nell’isola, anche nei paesoni dell’interno, a ritracciare la “donna del Sud” della pubblicistica padana. Donne imprenditrici per lo più, anche di piccoli o minuti commerci, ma mai remissive o con le mani in mano, dopo aver sbrigato le faccende di casa e di famiglia – figli, nipoti, mariti. Si direbbe piuttosto un matriarcato.

Nelle biografie di Matteo Messina Denaro c’è la sua frequentazione a vent’anni di un gruppo di gigolò, col quale si divertivano “signore di una certa età dell’alta borghesia”, o “donnine di mezza età”, dicono testimoni e pentiti, “che si definivano tardone piacenti”. Fu convitato come uomo di rispetto, già killer emerito. Ma di queste “donnine”, capitolo succulento, chi erano, e quando, come, cosa si faceva, non si parla. O di straforo, per dire del superlatitante. Solo accostando la vicenda a una di mafia: se non è mafia la Sicilia non esiste.

Cazzullo fa su “Sette” – da Rio, dove si trova da un mesetto – le pulci allisola, “Sicilia desaparecida”.  Cioè no, “mai tanto rappresentata nella politica e nella letteratura”, eppure in declino. C’è poca mafia?

“Isole non altrettanto belle, come le Baleari o le Canarie, attirano un numero di turisti undici volte superiore” alla Sicilia, spiega Cazzullo. Le Canarie è da dubitare. Le Baleari: Cazzullo vorrebbe che si costruisse in Sicilia ogni cm. quadrato, per i mini appartamenti dei tedeschi?
Non tutto in Sicilia è colpa dei siciliani.

Però, è autocannibalica. Che forse non si può fare, ma in Sicilia sanno come. Generosa con tutti, specie coi turisti, sempre premiati, feroce con se stessa: i siciliani amano soprattutto sbranarsi. Per e contro il ponte, le ferrovie, le autostrade, i porti, le stesse mafie, tutti danno volentieri del mafioso all’altro.

Antimafia e mafia
La mafia va combattuta, col carcere, subito, e non magnificata, in discorsi, libri, film. Lo dice
Camilleri a Maurizio Assalto, “La Stampa”, dieci anni fa: “Resto dell’idea che i migliori scrittori di mafia debbano essere i poliziotti, i carabinieri, i giudici…. Un narratore sia pure pessimo finisce col nobilitare il fenomeno mafioso. Lo abbellisce, lo rende attraente”.
Sciascia veramente non è scrittore mediocre, che la mafia ci ha imposto. Ma Camilleri, pur professandosene devoto, tiene duro, sempre dieci anni fa: “Sciascia ha scritto un’opera fondamentale sulla mafia, «Il giorno della civetta». Però: com’è simpatico il suo don Mariano Arena, quello che ci ha lasciato l’indimenticabile partizione dell’umanità in uomini, mezz’uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà...”. 
Salvo successivamente dedicare tre libri, a partire da “La linea della palma”, alle imprese di mafia. Con Saverio Lodato, è vero. A metà con Berlusconi, è vero, con le imprese di Berlusconi. Quattro libri anzi, col commento ai “pizzini” di Provenzano. È business nel mercato delle idee, di Camilleri e dell’antimafia.

Ricorre poco nelle storie di mafia il racconto di testimoni e pentiti delle frequentazioni eterodosse di Matteo Messina Denaro ventenne a Palermo. Quando fu aggregato a un gruppo di gigolò, studenti universitari, a uso di un certo numero di signore della capitale. E quando se ne parla è con rispetto. Delle amanti o fidanzate di Denaro, Maria Mesi, Andrea Hasslner, viennese, Francesca Alagna, madre di sua figlia Lorenza, si dice di tutto. Della signora Sonia M. di Mazara del Vallo, che Denaro visitava a letto, e alla quale inviava anche lettere che sono state trovate sui suoi impegni criminali, si dà un nome falso, con iniziale. L’antimafia è selettiva, o a senso unico, ripetitiva.

Denaro fu aggregato ai gigolò da Lillo Santangelo. Un amico d’infanzia, studente a Palermo, di cui suo padre Francesco era padrino di battesimo, se non ne era lo zio o lontano parente - Santangelo era sua moglie, la madre di Matteo. Francesco farà poi uccidente Lillo, perché spendeva troppo.
Francesco Messina Denaro era mafioso noto. Riceveva l’assegno di disoccupazione dell’Inps, e poi  la pensione.

leuzzi@antiit.eu 

Recessione – 52

“L’economia dell’eurozona di agosto ha continuato ad aumentare ad un ritmo costante” – IHS Markit. Ma per effetto di un rapido esaurimento delle scorte, la produzione e l’occupazione sono rallentati: “Lo slancio di creazione occupazionale cui abbiamo assistito nell’eurozona negli ultimi cinque anni si sta attenuando. Sebbene la creazione di posti di lavoro di agosto risulti aumentata, il tasso di crescita è sceso ai minimi su tre mesi, a causa dell’indebolita tendenza ad assumere sia nel manifatturiero che nel terziario”.

“Le banche alzano i prezzi: il costo dei tassi zero ora lo pagano i correntisti”. Il cane si morde la coda. O la rendita non basta più, bisogna intaccare il capitale: siccome l’economia non si muove (tassi zero), bisogna mangiarsi i risparmi.

Gli interessi sono negativi anche sui Bot, oltre che sugli analoghi titoli pubblici tedeschi e francesi: l’economia “non beve”, non si cerca credito, non si fanno investimenti.

Il rapporto debito pubblico\pil aumenta a ogni rilevazione, benché l’Italia dal 1992 abbia i bilanci più virtuosi, ogni anno con un attivo primario (lo Stato spende meno di quanto incassa, al netto degli interessi sul debito), perché il pil non cresce, o cresce in misura insufficiente.
La crisi viene da lontano ed è per questo più profonda in Italia.

Quattro anni di politica del denaro facile non hanno risvegliato l’economia. Non in Italia: non si investe e non si produce non per effetto della crisi finanziaria del 2007 ma perché i costi sono eccessivi. Del lavoro soprattutto, e non per la busta paga ma per il fisco e gli oneri sociali. E delle infrastrutture: non di quelle fisiche, che invece ci sono, compresa l’elettronica, ma di quelle immateriali, la burocrazia e la giustizia.

L’Europa in Siberia

Si comincia con la Russia – maliziosamente, in questa epoca di saracinesche abbassate? Nella Siberia più remota Enzensberger trova che “la sensazione che la Russia culturalmente faccia parte dell’Europa non è venuta meno”. Il poeta era allora, anni 1960, uno dei tanti invitati nella Russia di Breznev per facilitarne l’accettazione mediante l’esibizione delle realizzazioni tecniche, anche spettacolari – per l’Italia fu invitato Giorgio Bocca, che invece ne scrisse male. A Irkutsk un ingegnere, semiconfinato con la moglie, “parla inglese, conosce Hamsun, Faulkner, Salinger e Böll”. A Novosibirsk due ragazze operaie, incontrate alla cassa del cinema, sanno tutto della poesia russa, testi e critica. Anche il Kazakistan, oltre gli Urali, che ospiterà la prossima Expo dopo Milano, ha molta voglia di Europa: nella capitale Alma Ata: una libreria è specializzata in letteratura tedesca.
È un lungo omaggio. Mi chiedi”, l’autore si chiede, “se l’impero sovietico, dal punto di vista economico, sia stato davvero redditizio. Fra campi di cotone e cammelli, da qualche parte è stata costruita un’università. Che cosa ne hanno ricavato i russi in fondo?” Questo era vero cinquant’anni fa, al tempo del secondo viaggio di Enzensberger in Russia – ma “già durante l’impero zarista” – ed è vero oggi. Già il Caucaso era inavvicinabile, benché sotto il rigido controllo sovietico. Cinquant’anni fa un imprenditore edile di Bakù con moglie osseta spiega a Enzensbeger che ci sono “solo mulattiere, niente stade asfaltate, niente tabacco, niente giornali, niente alcol, niente telefono”, e “le donne, secondo l’uso islamico, sono animali da lavoro”, e oggi non è molto diverso. Ci sono già milionari nella Russia nella Russia post-kruscioviana, che la “normalizzazione” brezneviana anzi favorisce. Erenburg è uno – gli scrittori in genere sono molto privilegiati – e c’è un affarista che va a pesca il week-end con l’aereo privato. Mentre i cinesi criticano la politica krusciovana della prosperità: “Più ricchi diventate, più pensate da borghesi”
Un amarcord del poeta ottantacinquenne, posato, contrariamente al titolo. I due libri qui assomma che avrebbe voluto e non ha scritto. Di vecchi appunti quindi, e vecchie situazioni. Il libro su Cuba dopo quello sulla Russia. Ma ancora abbastanza anticonformista, o anarchico, come rivendica – “non uno da libro illustrato, con miccia corta e la bomba in mano”. Specie nel ritratto di Castro, in contrappunto alle beatificazioni che vanno di rito. Irresistbile è l’ordine di Castro – che il maestro Abbado replicherà a Milano per l’Expo, anche se non per il caffè – di piantare attorno all’Avana “40 milioni di alberelli del caffè”: operazione cui gli intellettuali vengono comandati in corvée la domenica, su un terreno piatto e umido, non drenato, dove lunedì le piantine sono già morte, o mercoledì. C’è anche Saverio Tutino per un paio di pagine, non nominato, ma ancora all’Avana, in esilio, esecutore fedele delle incomprensibili direttive del Pci.
Gli “Appunti sparsi su un viaggio in Unione Sovietica” sono di due viaggi in realtà, uno nel 1963, su invito di Giancarlo Vigorelli, segretario di una qualche associazione di scrittori europei, e uno tre anni dopo, dopo Krusciov. E sono la parte migliore, Enzensberger è un viaggiore curioso. Nel paese sovietico una giovane interprete, che è stata per studio nella Germania Federale, ne è tornata delusa, dalla “mancanza di individualità”. Il primo viaggio – Vigorelli ha convitato Sartre, Beauvoir, Ungaretti e molti altri, con Šolochov, Erenburg, Tvardovskij, a torto ora dimenticato -  si cocnlude con un ritratto di Krusciov di cui gli storici dovranno tenere conto. Nel secondo Enzensberger s’innamora, di una giovane russa che sarà la sua seconda moglie, in un difficile “romanzo russo”, poi vissuto tra Berlino, gli Usa, l’Avana, Londra e il divorzio.Un progetto di romanzo, probabilmente abbandonato dopo il successo dell’analogo titolo di Emmanuel Carrère.
Il resto è un affannoso selfie in forma di auto-intervista, per fare i conti con l’impegno-disimpegno dei tardi anni 1960. A Berlino e a Cuba. Di più è una resa dei conti con Castro, oggi scontata – benché, appunto, sempre controcorrente. Con notevoli ricordi, questo sì, di Rudi Dutschke, e di Ulrike Meinhof, col suo loffio Andrea Baader. Nonché omaggi commoventi a Herberto Padilla, Carlo Fuentes, Cabrera-Infante e altre vittime di Castro, e a tanti amici, illustri o sconosciuti. Nelly Sachs sopra tutti, di cui è stato esecutore testamentario, a Stoccolma. Herbet Marcuse più volte, di pratica e “mentalità alto-borghese”, specie nel suo buen retiro svizzero. Molto Hans-Werner Henze, non con simpatia malgrado la frequente collaborazione. Lily Brik a Mosca, ancora più lussuosa di Erenburg. Achmatova sola a Taormina. E di passaggio un figlio di Ernst Jünger, compagno di posto in aereo, che voleva fare la guardia forestale. Una Ingeborg Bachmann a una festa a Roma, col “tirchio Moravia”, “in un abito di paillette scintillanti”. E Kissinger che “si ostina a parlare in un inglese americano” anche in Germania, con forte accento di Norimberga – e s’impermalosisce invece di sorprendersi quando Enzensberger glielo fa notare.
Hans Magnus Enzensberger, Tumulto, Einaudi, pp. 235 € 19,50

lunedì 22 agosto 2016

Il mondo com'è (273)

astolfo

De Coubertin – Era un pedagogista e un quasi socialista. Il creatore delle Olimpiadi moderne, che Rio non ha ricordato, era molte cose. Sportivo praticante, di molte discipline, boxe. Canottaggio, equitazione, scherma, atletica, etc., e poligrafo incontinente – scrisse anche un “Bonaparte presidente della repubblica italiana”. Ma più di tutto si appassionò alla pedagogia, redigendo in materia un profluvio di proposte e metodologie, sorrette da forte capacità realizzativa. E alla questione sociale.
Cardine della sua pedagogia fu l’introduzione del corpo a scuola, in forma di educazione fisica e atletismo. Recependo – per l’illustrazione che ne fece Taine nelle “Note sull’Inghilterra”, cui aveva fato seguire a vent’anni una visita sul posto – il nuovo indirizzo introdotto da Thomas Arnold a Rugby. In campo sociale si formò, sempre attorno ai vent’anni, alla Suola di Economia Sociale di Le Play, l’ingegnere, economista e sociologo che per primo aveva indagato i redditi degli operai, “Les Ouvriers européens”, 1855 - e pubblicò, ai vent’anni di De Coubertin, classe 1863, un bisettimanale “La Réforme Sociale”.
De Coubertin vi si ispirò per una serie di pubblicazioni “impegnate”, per una “università operaia” e la diffusione “popolare” degli sport – fino a un’“Equitazione popolare”…. Nel 1906 fondò anche una Società degli sport popolari. Nel presupposto di “mettere il proletariato in stato di cultura sufficiente perché tragga la forza di resistenza da se stesso”. Anche con l’esercizio fisico, e con l’atletismo: come liberare il proletariato con lo sport.
Il suo principio fu in ogni attività l’altruismo: “Non si è a questo mondo per vivere la propria vita, ma quella degli altri. Le più grandi gioie d’altronde non sono quelle che si gustano, ma quelle che si procurano”.  

Democrazia – I greci dicevano “lipsandria” la mancanza di intelligenze (maschili, come dice la parola) buone per lo Stato e per lo sviluppo del pensiero. E “andrilasia” l’ostracismo alle persone di qualità, specie in materia politica e sociale, e al servizio dello Stato. Due categorie politiche scomparse dal vocabolario, e invece quanto contemporanee.

Eurussia – A fine anno 1980 Giovanni Paolo II, un papa polacco, proclamava i santi Cirillo e Metodio, russi, “compatroni d’Europa”,  con la lettera apostolica “Egregiae Virtutis”. Inventarono una scrittura adatta alle lingue slave, con la traduzione dei libri sacri, a scopo liturgico e catechetico. “Unificando” Costantinopoli e Roma, in senso non latino e non greco, ma in grado di integrare l’immenso mondo slavo nella cristianità. Il secondo passo dopo che nei due secoli precedenti l’anno Mille il mondo slavo si era organizzato in una Grande Moravia. Cirillo e Metodio, nativi di Tessalonica, città dov’era viva la memoria di san Paolo, si dedicarono all’evangelizzazione dei popoli al Bord, daprima dei Cazari di Crimea, subito poi della Grande Moravia, su richeista del principe dei Moravi Roscislaw. Cirillo e Metodio, i due santi “compatroni d’Europa”,  sono i primi nomi delal storia della letteratura russa.
Cirillo e Mmetodio, mandati come evangelizzatori dalla chiesa di Costantinopoli, furono confermati, come da loro volontà, dalla chiesa di Roma. Cirilo morità a Roma, dove è sepoloto a san Clemente, nell’869. Metodo trnò in Moravia, col titolo di arcivescovo di Sirmione, dove predicò e operò fino alla morte nell’885.  
La data della lettera e della nomina fu scelta da Giovanni Paolo II perché ricorrevano due centenari. Il primo dall’enciclica “Grande Munus” di Leone XIII, che introduce Cirillo e Metodo fra i santi della Chiesa cattolica. E il nono centenario della lettera apostolica “Industriae Tuae” di Giovanni VIII al principe Svatopuk per raccomandare l’uso della lingua slava nella liturgia. Con un di più, scriveva il papa: “Dato però che in quest'anno la Chiesa ricorda solennemente il 1500° anniversario della nascita di san Benedetto, proclamato nel 1964 dal mio venerato predecessore, Paolo VI, patrono d'Europa, è parso che questa protezione nei riguardi di tutta l'Europa sarà meglio messa in risalto, se alla grande opera del santo patriarca d’occidente aggiungeremo i particolari meriti dei due santi fratelli, Cirillo e Metodio”.
L’Europa, nella visione del papa polacco, è duplice: l’Europa è “frutto dell'azione di due correnti di tradizioni cristiane, alle quali si aggiungono anche due diverse, ma al tempo stesso profondamente complementari, forme di cultura”. E la nomina metteva in relazione al dialogo delle fedi. Ma la Russia in realtà non ha due anime, asiatica e europea. È stata ed è tenuta fuori dall’Europa per un problema di equilibri (politici, territoriali, militari, etc. ), ma non ha altra storia né cultura che europea.

Fascista –Tutta l’Europa era fascista a Mosca, da Oporto a Helsinki, fino al 1989. Per Alvaro, che scriveva da Mosca nel 1934 per un giornale più “fascista” degli altri, “La Stampa”, proprietà dei maggiori-peggiori capitalisti, “il risentimento per una condizione grave d’ogni individuo” veniva “trasformato in odio verso l’Occidente”.
Eco ne ha fatto il decalogo, del fascista e del fascismo, “Il fascismo eterno”, e non ha omesso il risentimento. Ma non dell’antifascismo di maniera o di comodo.
Tutto o quasi era “fascista” pure per il Pci fino a Berlinguer. E anche dopo: Craxi, etc. - e molte volte contro lo stesso Eco. Da che parte va preso il “fascismo”?

Giornale – A un certo punto (“L’autore come produttore”, 1934), già in esilio, Walter Benjamin lo pensò un modello di “forma e contenuto radicale”: “Un vasto processo di fusione che non solo distrugge la separazione convenzionale tra generi, tra scrittore e poeta, tra erudito e divulgatore, ma anche mette in dubbio la separazione tra autore e lettore”. Ma rifletteva al giornale coma “arma di opposizione”: “Il posto dove la parola è più degradata,  il giornale”, confidava contemporaneamente, “diventa proprio il posto dove un’operazione riscatto si monta”.

Imperialismo – È storia ancora tabù, soggetta all’antimperialismo. Che però ha accumulato, in poco tempo, molti più torti, e non ha più credito dell’imperialismo. Benché pretenda di negare l’evidenza: ci sono ingiustizie dappertutto, ma l’imperialismo è ora l’unico baluardo in troppi posti, in Africa e in Medio Oriente, e più in Siria e in Libia, e un rimedio contro il razzismo, il tribalismo, lo sfruttamento - quello terribile dei migranti africani e asiatici, quello delle minoranze, etniche o religiose.

Enzensberger all’Avana, nel 1968, a dieci o dodici anni dalla fine della dittatura, o della finta indipendenza e della reale sottomissione all’imperialismo, trova “aporie” di cui a questo non riesce a fare colpa. C’è molto, evidente, classismo, nel comunismo che Castro, che comunista non è, ha decretato. C’è forte il machismo. C’è razzismo – “in nessun altro posto c’è un vocabolario altrettanto ricco per le gradazioni di colore della pelle” (“Tumulto”, 163).

Shoah – La storia dello sterminio ebraico è curiosamente ferma al 1990, quando l’apertura degli archivi russi ne diede ulteriori prove: dell’organizzazione, della vastità, della partecipazione popolare tedesca. Nolte, che ne contestava l’unicità, si dimostrò subito che aveva torto, ma non più di tanto. La storia è sempre contemporanea nel senso che è politica: strumentale, progettuale.

astolfo@antiit.eu

Il segreto non è un servizio pubblico

Un altro degli scherzi, pensato da caporal amgigore di fureria ai danni di innocui generali sabaudi, che Eco ha voluto riproporre perché, come dice, la pardodia non offende e semmai prefigura: se tu non lo sai, loro lo sanno. Loro, in questa riedizione 1991, “tra servizi segreti e ondate migratorie”, il “nostro apparato statale nel suo complesso”.
In realtà il libercolo del 1976 è aggiornato, in un “modello unico dello spionaggio reciproco”. Il tema è: “Ma cosa fare quando i corpi separati, in virtù del principio del Giro a Vuoto Istituzionalizzato, non fanno nulla né di pubblico né di segreto”? Apparati giudiziari e di repressione uniti nella lotta e imbattibili.
Umberto Eco, Stelle & stellette 

domenica 21 agosto 2016

Stupidario sportivo

La porta è stregata.
Il palo è clamoroso.
Zaza non inquadra lo specchio della porta.
La squadra tiri fuori gli attributi
La palla è tonda, il risultato incerto
Questo è il bello del calcio.
E chi ha vinto le Olimpiadi? Grenada, un argento. Uno solo, ma prima in rapporto alla popolazione. E in rapporto al pil. Più pochi e più poveri si è e più si vince.
O è l’effetto della guerra che il venerato liberista Reagan mosse a Grenada?

Secondi pensieri - 274

zeulig

Ateismo – È europeo, con appendici americane europee. L’Europa non ha mai prodotto una grande religione. Anzi, forse nessuna, a parte il culto dendrico ellenico, incrementato del sacrificio umano nel druidismo.

Ermeneutica – L’interpretazione – la critica – è illimitata e decisiva a partire da Schlegel: “Il critico deve delineare e inventare nuovi significati nell’opera d’arte che ha davanti. Quando questo non è più possibile, l’opera d’arte ha esaurito la sua vita interiore”. Fino a Walter Benjamin compreso, che tanto fu colpito da Schlegel – prima dell’alluvione decostruzionistico.

È curioso che nei suoi tanti scritti sull’interpretazione Eco non citi mai Benjamin, né Schlegel – una sola volta, in liste di autori.

Feticismo – Degli oggetti (merce) inerti è più forte che non di un essere animato, Walter Benjamian ha visto giusto. Più del pet e anche di un umano amato. È un’acquisizione che non pone alterità. Ed è più pratica, e di per sé immortale, a meno di perdita o incidente, o di furto. Ma è una funzione (pulsione) precedente alla “civiltà dei consumi” alla quale si imputa – il business dei consumi si si è conformato su di essa.

Futuro – “Tutto il futuro è passato” (W.Benjamin). Non si saprebbe concepire altrimenti. Ma di un passato incompiuto o scontento. E questo vale per la comunità (storia), che sempre progetta un futuro, come per il singolo – ancora Benjamin: “Il passato delle cose è il futuro del tempo dell’ «Io»”. Ma non il presente – il passato – contiene ne il futuro: lo prospetta, e lo necessita anche.
È molto della storia, il rinnovamento. C’è un passato in quanto c’è e ci sarà un futuro. I famosi posteri della gloria che ci tengono in vita. La memoria.

Giuda – Va col tradimento. Che oggi si nobilita, almeno nella figura sua propria, del Giuda vero o originale. Come quello che ha “fatto” il cristianesimo, ha permesso al cristianesimo di realizzarsi. Per aver portato Gesù alla Croce. Si direbbe un tradimento del tradimento.

Il capovolgimento non è nuovo, era opera dei vangeli gnostici, dai quali Borges e Caillois l’hanno ripreso. Via probabilmente De Quincey, che l’ha proposto un secolo e mezzo fa.
Il Giuda salvatore era “un’ipotesi tedesca” per De Quincey, un secolo e mezzo fa, “Giuda Iscariota”: “Giuda Iscariota condivise la comune delusione degli apostoli circa il regno terreno che, con l’avallo e gli auspici di Cristo, essi credevano predestinato e prossimo a maturazione per il popolo ebreo”. Decise allora di provocare il Cristo all’azione (alla crocefissione), di “comprometterlo”.
Come i suoi “fratelli apostoli”, così De Quincey sintetizza l’“ipotesi tedesca”, Giuda era calato nel “vecchio progetto biblico”, del Messia liberatore politico: “Nella loro mente, come nella sua, non si era ancora fatta strada l’intuizione della vera grandezza del messaggio cristiano”. Gesù era  il messia: “Attraeva a sé le folle”, e questo è il segno più sicuro della sovversione, ciò che più turba i poteri, quale ne sia la ragione, verità o dubbio: è “la paura del cambiamento” che “turba i monarchi”. Dunque, il Cristo è un rivoluzionario mancato. Non fosse stato per Giuda, che lo convince al sacrificio di sé.
Per lo stesso motivo poi Giuda finì male, suicida. Ma, benché suicida, De Quincey vuole che non si condanni. “Quanto più Giuda fu incline all’audacia, tanto meno può essere sospettato di ambiguità. Credeva di realizzare i più intimi propositi di Cristo”. E insieme “i desideri e le aspirazioni segrete della plebe di Gerusalemme”. C’è il male che nasce dal bene.

Giuda si suicida quando perde la fede, argomenta Amos Oz, che al personaggio, assente e anzi tabù nella tradizione ebraica, ha ora dedicato un romanzo – non storico, un romanzo di idee. Dopo aver spinto Gesù alla crocifissione, non regge all’idea del figlio di Dio morto.
In realtà, nel romanzo di Oz Giuda c’entra come provocazione, del traditore a fin di bene – lo stesso Oz essendo spesso qualificato in Israele di traditore per la sua posizione pacifista. Ma lieve. E più come una citazione, divertita e non, di Scholem Asch, scrittore yiddisch, polacco emigrato negli Usa – Shemuel Asch si chiama il protagonista di Oz, uno studente in crisi. Asch nel 1939, nel romanzo “Il Nazareno”, ne fece l’agente del Cristo: Giuda tradisce perché Cristo ne ha bisogno per completare il suo disegno.

Individuo – Si celebra perché è scomparso? A un qualsiasi analista o viaggiatore nell’ateismo, il sistema sovietico, per esempio Corrado Alvaro, la notazione era di rigore: “Il cristianesimo rimane sempre l’origine della concezione dell’individualità umana… Socialmente, oggi, è la fine della concezione cristiana dell’individuo; il bolscevismo fa dell’individuo un prodotto sociale, una conseguenza fisiologica e ambientale”. Il liberismo pure.

Opera aperta – È tipicamente la filosofia, opera della ragione.

Pace e guerra –Nello studio delle Relazioni internazionali ora in disuso, si erge ancora apodittico il voluminoso “Paix et guerre entre le nations” di Raymond Aron, 1962 – giunto rapidamente alla quarta edizione e poi scomparso anch’esso, come tanto altro nel 1968. “La teoria delle relazioni internazionali parte dalla pluralità dei centri autonomi di decisione, dunque dal rischio di guerra e, da questo rischio, deduce la necessità del calcolo dei mezzi”. Semplice? In teoria. “In pratica, certi teorici hanno proposto, per le relazioni internazionali, il modello sport, oppure economia, del fine razionale. Un solo scopo, la vittoria, grida il generale ingenuo, dimenticando che la vittoria militare dà sempre soddisfazioni d’amor proprio ma non sempre benefici politici. Un solo imperativo, l’interesse nazionale, proclama solennemente il teorico, appena meno ingenuo del generale come se bastasse agganciare l’aggettivo nazionale al concetto d’interesse per renderlo univoco. La politica tra gli Stati è una lotta per la potenza e la sicurezza, afferma un altro teorico, come se non ci fosse mai contraddizione tra questa e quella, come se le persone collettive, a differenza delle persone individuali, fossero tenute in razione di preferire la vita alle ragioni di vita”.
Lo sport c’entra. E anche l’economia. “La teoria di uno sport si svolge a partire dalla fine (far entrare il pallone in rete)”. La teoria dell’economia anch’essa si riferisce a una fine, per il tramite  della nozione di massimizzazione (benché si possano concepire diverse modalità di questo massimo)”. Nelle relazioni internazionali è “la condotta del diplomatico, dello stratega”, che “presenta alcune di queste caratteristiche”. Ma anche sul diplomatico “pesa il rischio di guerra”.

Paradiso –Un mondo chiuso: è una promesso di “altro”, non di liberazione-libertà. Quello terrestre era uno zoo: un mondo animale promiscuo, di coesistenza pacifica, interrotto dal vegetale, invasivo. Quello futuro è una promessa di quiete all’uomo faber, inquieto – di morte. Quello islamico promette tutto ciò che gli arabi originari non avevano e desideravano: acqua, prati, donne, ombra, etc.
È il luogo dl desiderio, perciò indefinito.

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