zeulig
Ambizione – Vizio o
virtù? La virtù del vizio: la molla dell’esistenza – la curiosità, la
proiezione all’esterno, la volontà – nasce o convive con una desiderio di
affermazione.
Crisi – È lo stato dell’epoca.
I migranti, un tempo pieni di silenzio, raccontano in dettaglio infiniti
malanni. Pure le giovani del Nord, oltre alle insegnanti del Sud, hanno nozioni
patologiche estese, e quanti non sono i dolorini alla schiena. La crisi è
coltivata, è l’ansia del ricco per l’erosione delle rendite: pesa più degli infarti,
i tumori, gli incidenti, le epidemie.
Non
si parlava mai della morte, non in letteratura, neppure nelle trincee, o nei lager, e sembrava buona norma, ora si fa
con diletto. Non per carità, al contrario, è buttare il mondo infetto addosso
all’interlocutore, una cosa da untori.
Una
scelta? Imposta.
Destino – È sempre “manifesto”,
dichiarato. È familiarmente qualcosa a cui non si sfugge, seppure a intervalli.
Ma nella propria prospettiva, personale, di memoria e di attesa, di scongiuro anche.
Impersonale ma personale, dramma o commedia che sia.
È
l’ipostatizzazione di tutto ciò che fuoriesce dal possibile, a volte dall’auspicabile,
ma è solo e tutto soggettivo. Una forma di ipersoggettivazione: dell’io, della
patria, della stirpe, elevati a forme di irrealtà, in ambito iperuranico.
Fausta altrettanto quanto infausta - si dice allora, cioè ex post, di qualcuno
che “corre al suo destino”, che sarà stato quello che è avvenuto o si è voluto.
Si
veda dal tedesco, che ne fa largo uso. Secondo
Mittner l’attesa in cui tutti i membri della frase sono tenuti fino all’ultimo
conferma che “con accurata regolarità il tedesco tende a un fine inatteso ma
inesorabile, il destino”. Ma è il destino che il parlante si foggia: in tedesco
quando uno inizia a parlare deve sapere già cosa dirà. Il tedesco non va
incontro al destino, ma al contrario se lo crea.
Da qui anche, si può dire della “filosofia
tedesca”, l’esclusione dell’inatteso, con gli attrezzi minimi della grammatica.
Della grammatica che però rimbalza sul pensiero, coi noti effetti (il)logici
(in)attesi, divaganti – un circolo vizioso aperto.
Il
destino è anche sociale, e delle epoche storiche. Oggi, “epoca di crisi”, sembra
che, cessando il bisogno, si sia perduto il giudizio, e ogni stimolo al lavoro
ben fatto. Ma anche questa specie di destino necessita di una proiezione psicologica,
di un’introiezione, un’induzione alla cultura della crisi.
Dittatura – È oggi dell’opinione,
più che mai, indubbiamente. Più che dei cannoni, le torture e gli sfollagente.
Le
formazioni sociali sono vuote, e non per mancanza di volontà, è come cantare
col naso. La pubblicità e la propaganda lo hanno saputo e ne fanno un impero.
Di
tale banalizzazione sono specchio perfino la letteratura e la filosofia, gonfie
di falsità: melasse, concettismi, oltraggi, tutto coltivato e insulso – di falsità
senza paletti o contraccettivi, criteri critici.
Non
sono fantasia –proiezione - le malattie, i debiti, la fame, la fine cruenta dei
miliardi di uomini non memorizzati nelle scritture, le pesti e i terremoti. Ma
allora si entra in un’altra dimensione, della condizione umana, di tutti gli
uomini..
Essere – Si può –
bisogna? – non essere per essere? Come Heidegger, che non si sa - lui non ha
voluto - chi e cosa fosse, in famiglia, all’università, in patria e negli
amori. Come Stendhal, o
Rousseau, con la stessa gioia della sorpresa, e la furberia dell’eterno
adolescente.
Heidegger – Esaurita la
curiosità con i primi due volumi, con le note sugli ebrei, niente più “Quaderni
neri”, la traduzione si è fermata in Italiano e in inglese, ai “Ponderings”
(titolo dell’edizione inglese) II-XI, 1931-1939 – in francese non è stata
fatta. Curiosa la sua difesa da parte di Roger Berkovits, il direttore dell’Hannah Arendt Center for Politics and the
Humanities
di
New York, insistita: Heidegger è uomo pieno di risentimenti, e quindi anche
razzista, ma, insiste Berkovits, “non ho
visto, e non vedo, nessuna prova, che la sua filosofia sia in qualche modo
infetta di antisemitismo”. Nemmeno in forma privata: nel 1933 “Heidegger abbandonò molti dei suoi amici ebrei
e condivise stereotipi e pregiudizi antisemiti, ma lo fece mentre aiutava a
difendersi e perfino a salvarsi altri ebrei”.
“Lucus a non lucendo”, l’unico
latinorum di Heidegger, ha sinistra parentela con lykos, che in greco è
lupo.
Lutero – Altrove, viene
spontaneo pensare, sarebbe stato un Montaigne,
il dottor Johnson, uno scrittore eloquente. Fu ribelle e mestatore in una
società conformista, contro il conformismo dei suoi prima che di Roma – così come
l’umanista e teologo francese Calvino diventò ribelle in Svizzera (si dice per
la tolleranza, ma Ginevra era intollerante ancora ai tempi di Rousseau, Settecento
inoltrato). La proposta radicale attecchisce in una società senza continuità,
magari compatta ma grezza, senza attenuazioni, chiaroscuri, elasticità, saldezza.
Matrimonio – Quello a
tempo, in uso in Iran e nella comunità mussulmana sciita, detto sigheh o mut ‘a, in sospetto altrove nel mondo mussulmano e spesso proibito,
come una forma di prostituzione, ha l’effetto di liberare le donne – in Iran
ovunque, anche nei posti più remoti, serene e piene di sé. Si pensa il sigheh trucco maschile, e invece sta
comodo alle donne, le libera dalla soggezione sessuale e dalla famiglia.
Il
matrimonio a tempo lo studiavano nei salotti la marchesa di Rambouillet e
Madeleine de Scudéry a Parigi nel Seicento. Perché, inutile girarci attorno, il
matrimonio lo inventò l’uomo per assicurarsi che i figli della donna,
possibilmente maschi, fossero i suoi, in vista dell’eredità, quando il possesso
s’impadronì del mondo.
Odio – È il risentimento a muovere l’odio e non l’onore? L“odio impotente”
è categoria stendhaliana sottovalutata - non c’è testo di qualche ambizione in cui il
“barone” non ne parli, “Il Rosso e il Nero”, “Leuwen”, “La Certosa”, perfino le
“Memorie di un turista”.
Stendhal l’odio dice di quelli che
detestano chi sa quello che loro non sanno: nulla indispettisce tanto i mediocri
quanto l’intelligenza. Un punto di vista. Ma l’odio “sociale” è innegabile, nell’opinione,
nella politica e nella giustizia, un’ondata di melma per un debordare dei
rifiuti sotto il pretesto dell’uguaglianza e dell’innovazione (ricambio,
rigenerazione). C’è della logica nella follia, anche tra i brutti e gli scemi.
Potere – È un tema – fissazione – a doppio
taglio? Della riflessione per escludere il fatto, allontanarlo, totemizzarlo. È
l’opinione di un letterato, Stendhal, in un’opera minore, “Metastasio”, ma non
peregrina: “Che ridicola trappola è quella che ci fa
occupare dei problemi del potere, e solo dei problemi”. Trappola doppia, solo
dei problemi: “È come abitare una casa occupandosi in continuazione della sua
stabilità. La soddisfazione che possiamo trarre dalla maniera in cui il potere
è distribuito non è gran cosa: può nuocerci ma non può procurarci piacere”.
zeulig@antiit.eu