astolfo
Arabia
Saudita –
Il regno più stabile del Medio Oriente sarà sovvertito dal via libera del Congresso
Usa alle azioni di responsabilità per li attentati dell’11 settembre 2001? Non
c’è dubbio che le azioni giudiziarie verranno promo esse, che saranno migliaia
e diecine di migliaia, e che saranno giudicate negli Usa: è la manna per gli
avvocati a percentuale, che fanno degli Stati Uniti il paese più litigioso al
mondo.
Potrebbe essere la fine di un’epoca,
del petrolio abbondante. E il prologo a una serie di crisi, nel Medio Oriente,
nel mercato dell’energia, e nei mercati finanziari. Non ci sarà la guerra
mondiale, perché non ce ne possono essere più, ma sarà quella che più le si avvicina
– senza peraltro escludere l’arma nucleare.
Ma questo soprattutto perché l’Arabia
Saudita non è lo Stato più stabile del Medio Oriente: il reame non è nuovo al
soqquadro, benché sembri monolitico e addormentato. È anzi un focolaio di gravi
contrasti e fattori di crisi. Il re in carica da un anno, Salman, ottantunenne,
è di transizione: l’ultimo dei fratellastri figli del fondatore della dinastia Abdelaziz
Ibn Seud. Il suo successore designato, anche se formalmente secondo nella linea
di successione, con l’inedito titolo di vice-principe ereditario, suo figlio
Mohammed bin Salman, si sta giocando il proprio futuro in questi mesi con la
guerra all’Iran nello Yemen, da lui decisa in qualità di ministro della Difesa.
Una guerra tradizionale, di eserciti e aerei, che per ora è in stallo.
Il regno si classifica come sunnita
wahabita. Dopo la graduale espansione delle tribù wahabite dell’interno contro
sufi, sciiti, zaiditi, e altre minoranze delle regioni costiere e rubane alla
fine dell’Ottocento. Ma la dinastia regnante, sicuramente sunnita wahabita, si
impose quando negli anni 1930 il fondatore, Abdelazid Ibn Seud, stroncò con centinaia
di esecuzioni la Fratellanza Wahabita, l’ala radicale che si espandeva a
partire dall’Iraq e dalla Giordani. Ridando
libertà di culto alle minoranze. Soprattutto, all’Est del paese, agli sciiti. Nonché
ai vari “infedeli” che popolavano il paese per l’industria del petrolio. A
Gedda, la capitale diplomatica, e a Dammam, la capitale del petrolio, si dava
conto delle celebrazioni festive cristiane oltre che islamiche, c’erano dei
cinema pubblici, si davano concerti, le donne potevano mostrarsi anche poco
velate.
Nel 1975 il re Feisal fu ucciso
da un nipote. Feisal aveva deposto nel 1964 per incapacità, d’accordo con i
fratelli, il primo successore del padre fondatore della dinastia, il
primogenito Saud. E aveva promosso, anche per contrastare la propaganda
nazionalista araba egiziana, “radio Nasser”, una cauta modernizzazione. Una
televisione, anche se con programmi prevalentemente religiosi. E le prime
scuole pubbliche per ragazze, con insegnanti ciechi.
Quattro anni dopo, sull’onda del
khomeinismo, che in Iran aveva debuttato rovesciando lo scià, un movimento
analogo agitò l’Arabia Saudita. Militanti sunniti wahabiti presero d’assalto la
Grande Moschea della Mecca, il luogo santo per eccellenza dell’islam, e
proclamarono un nuovo regime invece del saudita, sotto un Mahdi, un redentore. Le
forze wahabite fedeli alla monarchia contrattaccarono e ripresero la moschea. Ma
il contrattacco fu diplomatico più che militare: un accordo per cui il
controllo sulle donne (spostamenti, sempre con accompagnatore, e abbigliamento,
sempre in nero) veniva passato alla polizia fondamentalista, e cinema e teatri-concerti venivano chiusi.
Dopo di allora, nel quasi mezzo
secolo successivo, i regnanti si sono ritagliati l’economia del regno, mentre
il fondamentalismo wahabita ha invaso il paese, anche le città, in tutti gli
aspetti della vita associata: giustizia, scuola, costume. Creando nuove
frizioni con le minoranze, soprattutto
con gli sciiti, che ora hanno come riferimento la potenza esterna, e concorrente,
dell’Iran.
È su questo sviluppo che s’innesta
la decisione del Congresso Usa, di aprire le porte alle cause per risarcimento: c’è una parte dell’Arabia Saudita
dietro gli attentati dell’11 settembre e dietro l’Is. Che re Salman e il figlio
Mohammed tentano ora di contrastare. Ma hanno troppi fronti aperti: wahabismo
radicale, sciismo militare (Iran), la contestazione urbana delle giovani
generazioni, per la modernizzazione.
Emigrazione
islamica
– È stata in passato più spesso sconsigliata, e anche vietata, in terra
cristiana. Oggetto di molte fatwa,
pareri giuridico-religiosi. In materia specialmente caute, velate, ma
esplicite. Amedeo Feniello, “Sotto il segno del leone”, ne sintetizza alcune al
§ 5. “Una «fatwa» per non morire”, del cap. 5. Ahmed ibn Yahya al-Wansharisi, il
giurista e teologo algerino che esercitò a Fez nel Trecento, si distinse per sconsigliarla
con durezza, in numerose fatwa.
Esecuzione – La rivoluzione
francese, dopo la repubblica e l’impero romani, e prima di Hitler, studiò,
progettò ed eseguì esecuzioni di massa. Individuali cioè, dopo un simulacro di
condanna oppure per editto, ma in gran numero. Per colpa in genere “collettiva”
e non specifica: politica.
Il sistema più noto, la ghigliottina, concluse
una ricerca durata un millennio sulla decapitazione. Assassinio più di tutti
simbolico, ma di ardua esecuzione, qualora non si abbiano boia di mano ferma e
lame affilate: la sega, sperimentata in Giappone, era risultata rumorosa e
lenta. L’annegamento, forma preferita di suicidio,
si rivelò soluzione insufficiente per essere individualista. come i polsi
tagliati, l’impiccagione, il salto nel vuoto, l’avvelenamento, l’inedia, Si
sperimentò a Nantes, nelle famose “noyade”, e si abbandonò. La città dell’editto
fu anche mezzo di esecuzione di massa, uno dei primi, tra novembre e dicembre
1793, studiati con applicazione: i condannati erano imbarcati, cinquanta alla
volta, con le mani e i piedi legati, in barconi a fondo mobile sulla Loira, che
sulla piena del fiume veniva aperto.
Le “noyade” erano state pensate come mezzo
meno costoso delle fucilazioni. In precedenza i controrivoluzionari erano stati
fucilati. Ma, pur procedendosi a una media di 200 fucilazioni collettive al
giorno, il sistema si era dimostrato lento, oltre che costoso.
Femminismo
–
Fra le testimonianze e gli
aneddoti che Amedeo Feniello riporta della pubblicistica araba sulle città
cristiane nei secoli attorno al Mille, in “Sotto il segno del leone”, spiccano
quelle ammirative sulla giustizia. Specie nel diritto familiare: Al Bakri, XI secolo,
nota: “Presso di loro non esiste il ripudio.
Fanno ereditare alle donne due parti del patrimonio e all’uomo una
parte”.
Islam
–
Nasce in città: alla Mecca e a Medina. E borghese, di commercianti. Non
pastorale né nomade. E la cura mette soprattutto, fin dagli inizi per
un’organizzazione di corte e lo sviluppo urbano. Tutte le sue città storiche
sono monumenti architettonici, e anche urbanistici.
Normanni
–
Si trascura, da Amato di Montecassino (i liberatori della cristianità) a Amari
(tutto ripresero dai modelli arabo-mussulmani) e al fantasioso “Regno del Sole”
di Norwich, che i settanta anni di regno Altavilla a Palermo furono preceduti a
un secolo di signoria a Mileto, “pacificatori” della Calabria e della Puglia,
le due aree cristiane ortodosse. Scesi a Sud si invito e con la benedizione
papali, in divisi ma coordinati (familiari, tribali) gruppi d’arme, per
latinizzare le due aree. È la tesi della tradizione ortodossa, ma non per
questo falsa. Una sorta di “guerra santa” combatterono, latina.
La
“pacificazione” della “vera fede” i normanni portarono a effetto alleandosi anche
truppe e popolazioni islamiche, all’assedio di Capua, e poi più tardi, col loro
successore l’imperatore tedesco Federico II, nel sue guerre contro i padani.
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