Giuseppe Leuzzi
Ci sono Fiscon e Muraro, due veneti,
Odevaine e altri toscani, molti romani naturalmente, ma non c’è un meridionale
nel processone Mafia Capitale. Che fanno, Pignatone e Prestipino, dormono?
Dovrebbero prendere esempio da Milano,
dove, al comando di Ilda Boccassini, non c’è corruzione né altro reato se non
c’è un calabrese di mezzo, un possibile ‘ndranghetista o un suo parente.
Però, anche a Milano è vero: non ci sono
camorristi né mafiosi. La droga per esempio, di cui Milano è ghiotta, la più
grande consumatrice pro capite in Europa, ci arriva come la manna dal cielo.
Frank De Boer da calciatore ha più volte
detto no alle squadre italiane. Al Napoli in particolare, benché post-Maradona.
Uno tra gli olandesi pregiati di un tempo, quando andavano forte in Italia. Da
allenatore invece, essendo disoccupato in Spagna, la sua patria calcistica di
adozione, ha trovato appetibile la collocazione a Milano, all’Inter. Dove fa
sfracelli – non ne vince una. Pagato bene, e stimato: un onore per la città.
C’è sempre un Nord più Nord.
L’integrazione
è sottile
“Fu Marcel\ ma non era francese”: il “Marcel” che era e non era è
Mohammed Sceab, il coetaneo, concittadino ad Alessandria d’Egitto e compagno di
studi di Ungaretti. Fino a Parigi, dove i due, uno di famiglia libanese e uno italiano,
apolidi di fatto, erano approdati nel 1913: nella patria di adozione, di scuola e
di formazione. L’integrazione fu però difficile, forse rifiutata di fatto,
fatto sta che la meta agognata precipitò Sceab alla depressone, fino al
suicidio. Dopo aver distrutto con cura tutti i suoi quaderni, nell’alberghetto
des Carmes dove alloggiava con l’amico.
Luca Mastrantonio ne fa il ritratto sul “Corriere della sera”
venerdì 30 settembre, come di un evento ordinario, scontato se non obbligato.
Un approccio non diminutivo, non sbagliato: l’integrazione è delicata – lenta,
minimale. Ogni meridionale emigrato a Milano, a Verona, a Pordenone ne fa l’esperienza da un quarto di secolo a
questa parte.
I
venti del Sud
“Qui abbiamo l’aria” è verso
rivendicativo, e grido di dolore (“non abbiamo nient’altro”) di Otello Ermanno
Profazio. Ma in un certo senso è vero: qui, nel Mediterraneo, abbiamo i venti –
ancora per molto?
Grecale o Levante? Un vento infido, non
freddo, non da tramontana, ma insinuante e penetrante, che dura tre giorni,
torce gli alberi, li fa ululare, forse dal dolore, e abbatte i raccolti, senza
riguardi per il tempo giusto. Alcuni lo chiamano grecale, altri levante. Ma
sono la stesso vento, più o meno: un vento di Nord-Est. Rispetto al punto di
mare prossimo a Creta dove convenzionalmente si situava il centro della Rosa
dei Venti.
Il Gracale (o Levante…) spira da Nord
Est a Sud Ovest. Così, sempre prendendo a riferimento la costa cretese, a Sud
Ovest della quale c’è la Libia, è Libeccio il vento opposto, da Sud-Ovest verso
Nord-Est – lo Scirocco, che sta per vento di Sud-Est Nord-Ovest, è il vento che
viene dalla Siria.
Il Maestrale, da Nord-Ovest a Sud-Est, è
desunto da maestra o via maestra, con riferimento a Roma, e a Venezia.
La
mafia dell’antimafia
Dei 14 arrestati per intrallazzi su Malpensa uno potrebbe avere agganci meridionali, perché figlio di immigrati
dalla Calabria. È l’unico di cui si parla. L’unico di cui la Procura di Milano
fornisce ai servizievoli cronisti di nera i “materiali”, che sono le
intercettazioni.
Una Procura retta da napoletani
nobilissimi, Greco, Boccassini. Non è quindi Nord contro Sud, Milano vs.
Calabria – Milano sempre si sceglie avversari a portata. È uno dei vicoli ciechi
in cui la protervia dei giudici ha ridotto la Procura antimafia, la grandissima
idea di Falcone. Una sorta di Fbi
antimafia. Che fu sbrindellata, tra lazzi e calunnie di ogni tipo, in un centinaio di piccole Procure, tra Palermo
e Belluno in uguale maniera, la provincia più “babba” d’Italia. Per servire
alla carriere di un paio di centinaia di giudici, Procuratori capo antimafia e
vice. Mentre la Procura antimafia nazionale si sollazza a non fare nulla in un bellissimo palazzo di
via Giulia a Roma, popolata da un’altra trentina di carriere eccellenti, con la
scorta per la dignità del ruolo – un autista personale e una macchina
d’ufficio.
E si arriva alla Procura antimafia della
effervescente Boccassini, venuta alle cronache al funerale di Falcone, testimone
eccellente dei tradimenti che lo avevano messo nel mirino di Riina. Boccassini
gli altri giudici non hanno voluto a capo della Procura, e allora si sfoga con
la Procura Antimafia: le basta trovare
nel malaffare un calabrese, anche remoto – non ci sono napoletani a Milano e in
provincia, né siciliani, com’è noto, e gli innumerevoli lombardi non hanno
nome, sono comparse, di contorno.
Onorano Falcone e Borsellino a ogni
passo mentre ne fanno ludibrio.
Una breve per De Luca assolto, il
presidente della Campania, dopo diciotto anni. “Vincenzo De Luca è stato assolto
nel processo Sea Park, su presunte irregolarità nella realizzazione di un parco
acquatico a Salerno”. E' tutto, diciotto anni non sono niente. Dopo diecine e
centinaia di paginate contro.
Da ultimo del resto la presidente
dell’Antimafia Rosy Bindi aveva definito De Luca qualche mese fa “impresentabile” alle elezioni. Non si è scusata
dopo l’assoluzione,
Va bene che De Luca e Bindi sono compagni
di partito. E che Rosy Bindi è anche buona cattolica, con un pelo sullo stomaco
quindi alto così. Ma che c’entra l‘Antimafia?
La
scoperta della Grecìa
Con garbo, con cognizione, Patrizia
Giancotti ha scoperto per radio Rai 3 l’area grecanica a Sud di Reggio Calabria,
e ne ha fatto l’oggetto anche di una monografia, “Filoxenìa”, per l’aspetto che
più l’ha colpita, l’ospitalità. Forse era la maniera migliore di proporre una
diversità culturale, che per quanto sfiziosa è sempre meridionale e quindi
sospetta. “Scoprendola”, l’esploratrice si mette al sicuro.
Ma l’antropologa torinese ha fatto di
più: ha saputo far parlare questa diversità. Morente ma non lamentosa. Con linguaggi
attuali, che tutti intendono. Avrebbe potuto con poco sforzo fare di più: allargare
il campo al recupero della tradizione ortodossa. Molti conventi e santuari sono
stati retrocessi dalla popolazione, dai suoi sindaci, a comunità ortodosse di
rito greco. Ma restringendo l’obiettivo alla sola veduta antropologica, coglie
molte sorprese, in quella che in apertura chiama “una sorta di finis terrae del
continente europeo”.
Tutti sanno suonare uno strumento. Tutti
sanno ballare – Giancotti si muove qui sull’intuizione di Diego Carpitella, l’etnologo
di Reggio che privilegiò la comunicazione musicale. Si coltiva il talento e la
socievolezza, l’agape, che significa
“amore”, per i vicini e i lontani. E per la terra. Una bambina si ascolta di dieci
anni, che si dice: “Io guardo in giù”, da Bova, la colonia greca del V secolo
a.C., che sta sui mille metri, “e guardo in su”, verso l’Aspromonte, "e mi vengono
i brividi”. La bellezza del paesaggio fa venire i brividi.
Tito Squillaci, pediatra volontario
spesso all’estero: “Noi non siamo un’enclave,
un gruppo sperso di immigrati greci. Noi siamo la realtà residua di tremila
anni di storia. Ma la lingua non è più veicolare…. Si insegnano i numeri, i
canti, le poesie… “ Parla sempre in greco con le figlie, da quando sono nate.
La figlia lo chiama da Cambridge, e col padre parla greco. A Cambridge fa il
dottorato sui contatti linguistici tra il greco di Calabria, dell’area
grecanica, e l’area romanza: la gente parla italiano nel senso che traduce i
vocaboli ma con la struttura greca.
Di Pavese al confino a Brancaleone, non
distante, Giancotti ricorda una lettera. “Di una squisita cortesia. E questo ha
una sola spiegazione che qui una volta era greco”.
leuzzi@antiit.eu