letterautore
Autofiction
– La letteratura del selfie Ortega y Gasset trovava solo naturale, il romanziere
riducendo a “romanziere di se stesso, originale o plagiario”. Ma non solo, no?
Dante
– È crudele? Lo è – la crudeltà in Dante è
un bell’argomento. In una col timorato di Dio, e vittima egli stesso di un
“sistema” crudele, più che di nemici individuati.
Donna
– È scomparsa dai romanzi, dopo averli
dominati per qualche millennio – solo nell’Italia borghese no, è il “difetto” del
romanzo di Manzoni (di cui si salva solo la Monaca di Monza). Come eroina da
tempo, ma ora anche come personaggio di drammi borghesi.
In questa chiave Moravia ne aveva tentato
il recupero – anche Bassani. Ma è rimasto isolato. Altrove - Germania, Francia,
Usa, Inghilterra – è scomparsa dall’Ottocento.
La scomparsa è l’esito dell’avvento della
donna, dell’avvento letterario?
Europa
- “Senza una Francia forte, per
l’Europa è finita”, è annotazione di Malaparte nel diario parigino del 1948,
“Journal d’un étranger à Paris”. Dettata dall’evidenza storica e geografica. Potrebbe
essere questa la chiave della disintegrazione in corso dell’Europa, “promossa”
dalla Francia: col Front National da due generazioni ormai, e con le presidenze
deboli e erratiche di Sarkozy e Hollande.
Fo – Il giullare impegnato. Si voleva “contro”, per una vena
anarchica. Mentre invece è stato sempre allineato, a una ortodossia: Salò, il
Pci, le Guardie Rosse, Curcio, e ora Grillo. Tanto disinibito sul palcoscenico,
un vulcano, di felicità, sua e degli spettatori, quanto conformista –
schierato, scontato – in politica. Per l’obbligo, certo, di scoprire il potere.
Ma sull’equivoco di san Francesco. Che invece non era un attore e commediografo.
O lo era? Ma era un santo, uno che si voleva santo.
Guidacci
- Margherita
Guidacci, poi premio Dessì e premio Scanno di poesia, vinceva nel 1949 a
Firenze un premio di poesia cui partecipavano anche Pasolini e Maria Luisa
Spaziani, ex aequo con Sandro Penna. Giurati Luzi, Landolfi, Bigongiari,
Vittorini, Macrì, Gadda, Montale.
Imperfetto
– Proust non lo sopportava, in gioventù:
gli riusciva triste. In nota a “Sur la lecture”, scrive, con prosa già
caratteristica: “Un certo impiego dell’imperfetto dell’indicativo – di questo
tempo crudele che ci presenta la vita come qualcosa di effimero insieme e di
passivo, nel momento stesso in cui ritraccia le nostre azioni, le bolla come
illusioni, le annienta nel passato senza lasciarci come il passato remoto la
consolazione dell’attività – è rimasto per me una fonte inesauribile di
misteriose tristezze”. L’imperfetto nel ricordo delle persone gli causava,
dice, “la più profonda malinconia”. Nei romanzi un po’ meno: “Nei romanzi,
l’intenzione di fare pena è così manifesta nell’autore che ci si irrigidisce un
po’ di più”.
Malaparte
– Un uomo che non si vuole vedere. Nella
solitudine pure così socievole, uno che parla volentieri di sé. E nell’ossessione
della morte, sotto la posa e l’aneddotica che fanno la sua opera. Per questo
sfuggente nelle biografie. Una caso di sainte-beuvismo al rovescio, dell’opera
che fa l’uomo.
Oriente
– È stato francese, di Montesquieu e
Voltaire dopo Mlle Scudéry, poi di Potocki, Nerval, Flaubert e fino a Loti.
Italiano un po’, all’opera. Inglese con Fitzgerald e Burton, o la “scoperta” di Omar Khayyam e le “Mille e una notte”, e poi nel Gran Gioco a fine Ottocento, da Kipling
a T.E. Lawrence, e fino a Chatwin. Tedesco, da Schopenhauer in poi, sul filo
dell’“arianesimo” di Gottinga. Totalmente misconosciuto, si direbbe, all’Occidente,
che non lo capisce, e si chiede come mai sia ora all’attacco.
Silvio Pellico
– Proust
l’ha letto (“Sulla lettura”, ca p. 40): “Silvio Pellico che avevo letto
durante un mese di marzo molto freddo, marciando, battendo i piedi, correndo
per tutti i pizzi”.
L’elaborata sintassi è qui incerta, come se Proust mimasse Pellico che
batteva i denti in prigione.
Pornografia – “Essenzialmente sentimentale” la dice Flannery O’Connor
a sorpresa – tanto più per esserne aliena - in “La Chiesa e lo scrittore di
narrativa”, “poiché omette il legame tra il sesso e il suo scopo nudo e crudo,
disgiungendolo dal significato che ha nella vita, tanto da farne un atto fine a
se stesso”.
Proust
– Se ne farà un testimone dell’unione delle fedi?
Lui non ne aveva personalmente, ma come testimone, per un fatto di cultura, storica,
sentimentale o sensibile, se non di fede religiosa, sarebbe l’ideale. Ascritto
all’ebraismo, anche se non lo professava in alcun modo e mimava il cattolicesimo.
È lettore attento dei vangeli, soprattutto san Luca, amante della figuratività
cattolica, i campanili, le chiese, monumentali e di paese, le canoniche, la
simbologia. La morale anche, si direbbe, sa di comandamenti e quasi di
sacrestia: la compassione, per se stessi.
“Scriveva su
carta assorbente”, nell’apologia maligna di Malaparte nel diario parigino: “La
scrittura s’è poco a poco dilatata, è entrata nella carta, non è più ormai che
una pallida macchia d’inchiostro di china, una specie di palinsesto sul quale
si sovrappongono le impressioni, i ritratti, i ricordi, si mescolano in un ricamo
d’ombra di rami come un bosco nella bruma”.
Roma
– Due pagine su un’eccellenza romana, Santa
Cecilia, piene di cose. L’orchestra, che è “la più invitata al mondo”. Ora al
Covent Garden, domani a Salisburgo. Le scuole strumentali e di canto, con metodologie
studiate e produttive. L’apprendimento della musica dalla primissima infanzia. La
stagione di gran pregio dei concerti. Sul “Sole 24 Ore”, giornale milanese. Sui
giornali romani non c’e altro che i bar mobili dei Tredicine. In alternativa
con gli autobus che non arrivano mai. E con la spazzatura – che pure a Roma si
raccoglie. Storie ricorrenti ormai da cinquant’anni, almeno. Ogni giorno. Che
ormai i Tredicine non ci sono più, ci sono le “Ape” degli street food, tre volte
più caro. Quando non dilagano sulle paranoie dei romanisti.
È la meschinità il genere romano?
Romanzo – “La narrativa è la più pura, la più modesta e la più umana
delle arti”, è un bell’assioma di Flannery O’Connor in altro saggio, “Il
romanziere cattolico nel Sud protestante”: “È la più vicina all’uomo, nel peccato,
nel dolore e nella speranza”.
D’altra parte, aggiunge, “ci si immagina
che il romanziere sia come il maiale di Jarrell, che non sapeva cos’è la pancetta”.
Jarrell è Randall Jarrell, il poeta di Nashville presto dimenticato, amico e
sodale di Bishop e Lowell, che nel saggio “The Age of Criticism”, immagina il
poeta e i suoi critici come il maiale che i giudici di un concorso per la migliore
pancetta, incontrandovelo casualmente apostrofano impazienti: “Vai via, porco! Che
ne sai tu della pancetta?”
Shakespeare – “Sarebbe impossibile in una democrazia”, ha sostenuto
Heiner Müller. Massimo commediografo tedesco in età democratica, Heiner Müller invidiava
Brecht, che prosperò tra due dittature – e che dittature!
Tasso
– Il grande Dimenticato Malaparte ritrova
in Racine, per il patetico, e per “la predominanza dello spirito femminile, anche
negli eroi, quali Oreste, Pirro, etc.”.
Traduzione – Due cartelle di Bruno Cagli per la “Ermione” di Rossini
diventano due e mezza in traduzione francese e inglese, fedeli, e tre in quella
tedesca. L’italiano è più conciso? O la traduzione deve sempre ampliare il testo
originario?
Virgilio – Era un Gallo, secondo un convincente Malaparte. Mantova
era città etrusca, ma i padroni si mescolavano ai Galli del contado. Da cui la
stessa famiglia di Virgilio proveniva, piccoli proprietari. Il contado era tutto
era tutto dei Galli. “Tutto”, del resto, argomenta Malaparte, “nella poesia di Virgilio
rivela che era Gallo: il suo sentimento della natura , la dolcezza, e quella
specie di poesia en plein air che,
simile alla pittura en plein air, è
nettamente francese, e non può avere origine che nel senso della natura proprio
dei Galli”.
letterautore@antiit.eu