Dante
– “Terrence Malick”, testimonia Benigni, “cattolico,
religioso, conosce passi di Dante in italiano”. Dante è cattolico e religioso.
L’Italia è cattolicità e religione.
Extracomunitari
– Risalgono a Montesquieu, alle sue “Lettere
persiane”. 1721: il genere antropologia allo specchio, o l’Europa vista da
fuori. D’immediato successo, torrentizio. Allora non arrivavano stranieri “extracomunitari”,
ma le loro (finte) vedute sull’Europa sì, con le “Lettere d’una peruviana” di
Madame de Grafigny, 1747, etc., tutte di successo. Ogi nessuno più scrive delle
stranezze dell’Europa – o l’Europa non se ne cura.
Italia
– Dante è “tedesco” per molti, anche
italiani, mentre da fuori si direbbe quintessenzialmente italiano – umorale, inaffidabile.
Malaparte, “journal d’un étranger à Paris”, dice san Francesco, altro italiano
eponimo, francese, per via della madre e del nome. E Boccaccio, per “l’humour,
l’oggettività, la libertà”, le cose che dappertutto contrassegnano l’italiano.
Piace all’italiano fare doni.
Si trova in Malaparte, nello stesso diario
parigino, la battuta celebre, attribuita a Cocteau: “I Francesi sono degli
Italiani di cattivo umore, gli Italiani dei Francesi di buon umore”.
Morte – “I morti parlano”
è ritornello di uno dei racconti di Assia Djebar, “Donne d’Algeri”. Con l’eredità,
le cose fatte, le memorie..
Nobel - È come se il premio volesse salvare l’idea
di letteratura – immaginativa, creativa, durevole: il massimo premio dev’essere
contiguo all’immortalità. Cercando con rabdomanzia qua e là. Coi premi a Dylan
dopo Fo, o Pinter,e privilegiando i poeti, Brodskij, Heaney, Szymborska,
Tranströmer, anche Le Clézio e Kenzaburö Öe. Nell’assedio di tutti i romanzieri
globali, miriadi, peraltro indistinti. Si barcamena per il resto salvando i
campioni nazionali, G.Grass, e Herta Müller per la riunificazione, Pahmuk,
Munro, Saramago, Xinjian (e Mo Yan). E le letteratura “minori”, minoritarie,
emergenti, del Terzo mondo etc., come per risarcimento politico.
Ottimismo
– “I fanciulli trovano il tutto anche nel
niente, gli uomini il niente nel tutto”, Giacomo Leopardi. Il miglior ottimista
è il pessimista?
Jean Paul – Lo scrittore
atipico per eccellenza della Germania: narratore disinvolto e umorista al tempo
plumbeo dei romantici, quando invadente divenne l’onda sotterranea della
letteratura tedesca, col culto wertheriano della morte. Un unicum, e tuttavia ben tedesco – la censura peraltro essendo
forse europea più che tedesca: “Che bene si può fare all’uomo che eguagli
quello di procurargli gioia?”, si chiedeva Madame de Grafigny poco prima, nelle
sue finte “Lettere di una peruviana”, 1747. Jean Paul ha provato a far conviver
censura e gioia in una vasta produzione, anche drammatica, ma soprattutto satirica.
“Il vento teologico”, ammoniva nel suo “Elogio della stupidità”, “significa
guerra e sangue, solleva polvere, e porta nuvole sinistre e terribili
temporali”.
Anche il vento giuridico non è male, di cui l’Italia fa protratta esperienza: “Quello giuridico, come
un tornado, spazza via tutto al suo passaggio, scoperchia i tetti, strappa i
vestiti dal corpo, e porta via tutti gli arredi, fino ai letti delle case
distrutte”.
Pessoa
– È uno dei grandi reazionari del
Novecento, anche lui con Céline, Pound, Hamsun, Jünger, etc., anzi il primo
della serie in ordine di tempo. E di radicalità. Di vedute molto chiare nello
scritto marinettiano “Ultimatun”, che Tabucchi ha valorizzato, e nei successivi
interventi, più spesso in forma di auto intervista in qualità di ingegner de
Campos, attorno al 1920. Antidemocratico: “Tutto è oligarchico nella
vita delle società. La democrazia è il più stupido di tutti i miti, perché non ha neppure un carattere mitico”.
L’elettore non sceglie, ovvero sceglie le pietanze che gli sono propinate.
Anticapitalista: “Sono in guerra, nel mondo, due grandi forze – la plutocrazia
industriale e la plutocrazia finanziaria. La plutocrazia industriale con il suo
tipo di mentalità organizzatrice, la plutocrazia finanziaria con il suo tipo di
mentalità speculatrice”. Nazionalista, la “mentalità speculatrice finanziaria”
deprecando per “la sua indole più o meno internazionale che non ha radici, e
non si connette pertanto se non con se stessa, o altrimenti solo con quella
razza privilegiata che, attraverso la finanza internazionale, si può dire che
oggi, senza avere patria, governa e dirige tutte le patrie”. Antisindacale:
“Non esiste questione sociale, da nessuna parte… Non c’è nessun movimento di
tipo radicale che non sia mosso, in ultima analisi, dal Frankfurter Bund o da qualche altro organismo dell’Internazionale
Finanziaria, che è l’autentica Internazionale”. Antisemita, dal “Frankfurter
Bund” alla “Internazionale Finanziaria”:
“Per salvarci? Aderire anticipatamente al futuro impero di Israele. I giudei
hanno vinto la prima battaglia: l’hanno vinta a Mosca (con la rivoluzione d’Ottobre,
n.d.r.), come laggiù l’ha persa Napoleone. A
tempo debito vinceranno anche la loro Waterloo”. Pessimista: “La civiltà
europea attuale è moribonda. Non è il capitalismo, né la borghesia, né alcuna
altra di queste formule vuote che stanno morendo; è la civiltà attuale,
greco-romana e cristiana
L’“intervista” è una summa di marca reazionaria – peraltro molto ben
scritta. Con una curiosa anticipazione della doppia ossessione di Heidegger,
nel quadro generale della reazione anti-positivista: della tecnica
disumanizzante, diseducativa, e di questa disincarnazione come propria
dell’ebraismo. Già in “Ultimatum”, e poi nell’autointervista: “L’unico impero
che può esserci è quello di Israele, e l’unica maniera di realizzare oggi un
impero è di utilizzare la tecnica, che è il segno distintivo della nostra
epoca”. Un’esagerazione, si chiede, “elucubrazione di fanatici”? “Lo è, in
alcune delle sue manifestazioni. Ma nella sostanza non è nessuna elucubrazione”
– un contemporaneo di Tiberio o Nerone non avrebbe sbagliato a presentirsi
“assorbito, conquistato, da un’oscura setta giudaica chiamata cristianesimo…”.
Prospettive
– La rivista di Malaparte ha una nutrita
serie di numeri d’eccezione, malgrado le censure fasciste. Un numero ha
consacrato all’esistenzialismo, con contributi di Moravia, Abbagnano, Della
Volpe, e Heidegger. Camuffato, dirà Malaparte, sotto il titolo “Le ultime anime
belle”, ma ben visibile. E fu una pubblicazione da tutto esaurito. Un altro
numero aveva dedicato al surrealismo, “Il surrealismo e l’Italia”, movimento
proibito, a gennaio del 1940, n.1 della seconda serie – la prima serie era
stata molto fascista. Un fascicolo consacrato alla pittura contemporanea, e in
specie a Picasso – non gradito dopo Guernica, e anzi scomunicato. Un numero
alla classe operaia, sotto il titolo”Sangue operaio”, doppio, nn. 28-29,
aprile-maggio 1942.
Sherlock
Holmes – È l’“eroe” positivista, pratico:
uno scienziato del fiuto, o dell’intuito.
Velo – Un linguaggio lo dice Assia Djebar, la scrittrice franco-algerina
che fu accademica di Francia, quello del silenzio delle donne. Perciò difficile
da mutare: “Un linguaggio che ha da molto tempo preso il velo”. Circospetto e
coperto.
La scrittrice ne fa la riprova coi suoi
“personaggi”, che normalmente sono donne, quando devono parlare arabo: “La
costrizione del velo calato sui corpi e sui rumori rende rarefatto perfino
l’ossigeno dei personaggi fittizi”. Una introiezione tale che perfino parlarne
sembra un sacrilegio. “Da decenni almeno”, dice a un certo punto della sua vita,
nel 1979, dopo che la “rivoluzione” algerina ha imbroccato la strada del’islamizzazione,
ma con senso di colpa per essere per scelta francofona, “sicuramente in ragione
del mio stesso intermittente silenzio di donna araba, avverto come parlare su
questo terreno divenga (esclusi portavoce o «specialisti») in un modo o
nell’altro una trasgressione”.
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