astolfo
Femminicidio
– Viene da
lontano, i classici ne sono pieni – come di virago castratrici. Ma non sempre è
stato sgradevole. Il più famoso, Otello, è affezionato alla moglie che
assassina. Shakespeare ha più di un assassino simpatico.
Islam – È femminile oltre che
maschile, come si è sempre saputo. Molto,.Soprattutto ora, in Europa, dove si tenta
di contrastare l’offensiva della “legge islamica”, più o meno basata sulla sharia. In Francia sono le donne
islamiche ad aver avviato, cavalcato, e in qualche modo vinto, la “battaglia
per il burkini”. A Londra è l’Associazione delle donne islamiche, con alla
testa la deputata laburista islamica Naz Shah, a chiedere la perpetuazione dei
tribunali islamici. Che si erano diffusi molto, con decisioni senza vigore di
legge, ma delibate con effetti di legge in quanto arbitrati, che il nuovo
governo conservatore vorrebbe limitare e forse abolire – non ci possono essere
due leggi in uno Stato.
Entrambe le prese di posizione sono in chiave
progressista: si argomenta che, senza, le donne islamiche sarebbero meno
protette o libere, senza il burkini e senza i tribunali islamici. In realtà non
è così: le donne, di qualsiasi religione, se residenti, ma anche non residenti,
così come gli uomini, sono comunque protette dalla legge dello Stato. Quella delle donne islamiche è una difesa arroccata,
culturale, anche se di retroguardia, di una pretesa differenza. Di una
differenza anche protettiva, a fronte di una legge “occidentale” che si
presenta, o si recepisce, come affermazione di una superiorità. Ma il fatto
c’è.
Populismo
- È sinonimo di demagogia. Dario Fo e il papa
Bergoglio, populisti accreditati, avrebbero da eccepire. Il papa non fa
ammenda, e anzi ribatte imperterrito sugli stessi chiodi sugli stessi toni:
povertà, degrado, avarizia, egoismo. Dario Fo, che di tutte le cause perse è
stato araldo e leader, indistintamente, contro l’alta velocità, contro l’autostrada,
contro l’aeroporto, contro la globalizzazione, contro la legge finanziaria, se
ne faceva scudo e vanto in una delle ultime uscite, sull’“Espresso”, contro la
critica riduttiva di Belpoliti.
Si può obiettare? La chiesa è populista. Lo è sempre stata, lo è per
natura: del popolo, per il popolo. È in questo populismo che la chiesa ha
peraltro maturato le istituzioni che governano le democrazie: la comunità, il
voto, il comando temporaneo, la parità o uguaglianza di condizioni all’entrata,
il rispetto delle minoranze, la difesa dagli estremismi. Al sociologo della
letteratura Belpoliti Fo opponeva: “Il letterato impiega il termine «populista »
nell’accezione in voga da qualche anno in Italia, cioè quella di considerare il
populismo una sorta di pretestuoso espediente per imbonire furbescamente una
comunità di semplici creduloni facili ad essere gestiti con qualsiasi
argomento”. Bene, il populismo lo rivendica: è la democrazia, dice Fo, è la
rivoluzione francese – “un’ideologia caratteristica di movimento politico o
artistico che vede nel popolo un modello etico e sociale e il rispetto di ogni
individuo che faccia parte di una comunità civile”.
Civile in realtà non è la
spia del populismo, semmai del benpensantismo. Ma Fo teneva duro.
La demagogia è episodica,
mentre il populismo è duraturo, coriaceo, come qualsiasi altra opzione o
ideologia politica: è ben un fenomeno politico. Dopo la vittoria di Trump,
vasta e articolata, è da rivedere. Se non altro perché un fenomeno europeo è
diventato di colpo americano, e quindi, è facile previsione, sarà presto
mondiale.
È la politica del
rifiuto della politica. Ma non della politica in sé, alla maniera di Mussolini,
“qui non si fa politica”, bensì di una certa politica. Quella ripetitiva e scontata,
conformista, vacua. Soprattutto inefficace. E non trasparente.
Nessuna
politica può essere trasparente, ma c’è modo e modo, grado e grado. Di Hillary
Clinton, per esempio, si sapeva che era la candidata presidenziale della
sinistra ma non era di sinistra, e non si candidava per la sinistra. Se non
trasparente, il linguaggio può essere netto, preciso nelle scelte che propone e
si propone.
Questo “populismo” di ritorno negli Usa è peraltro espressione del
voto popolare, delle masse dimenticate. Non l’esito di una demagogia di piazza,
fisica o virtuale, di slogan, di scorciatoie e facili promesse. Si direbbe ed è
– in molte circoscrizioni il conteggio è facile – una rivalsa del popolo della
sinistra in qualche modo tradito. Nei fatti o nella percezione, non cambia:
comunque deluso, irritato. Obama vanta la creazione di quindici milioni di
posti d lavoro, e un tasso di disoccupazione più che dimezzato, a livelli fisiologici,
da piena occupazione. Ma non è percepito come il risolutore, né come l’uomo degli
esclusi – il voto massiccio per Trump, alla presidenza e al Congresso, è anche
la sconfessione di Obama. Anche perché la verità è un’altra: l’economia americana
è in forte ripresa, ma senza occupazione: il tasso di disoccupazione è sceso
perché molti sono gli “scoraggiati”, usciti dal mercato del lavoro – più probabile
che siano molte, si spiega così il voto delle donne per Trump, che c’è stato
evidentemente.
L’uomo
comune - i common people - è nella
scienza politica americana entità rispettabile. Al contrario del democraticismo
europeo, e italiano in specie, da destra a sinistra, da Guglielmo Giannini a
Berlinguer - ossessionato dalla “maggioranza silenziosa” che non sapeva come
squalificare. Il
New Deal ne ha creato la figura, Frank Capra l’ha celebrato nei film, il
filosofo John Dewey gli dà dignità. Mentre lo sdegno contro l’uomo comune, è,
quando è sincero, il residuo del notabilato politico più che degli ex partiti
di massa, lo stesso che si proclama società civile, una cosa quindi poco
onorevole. E d’altra parte il metodo delle primarie per la scelta dei
candidati, e poi la stessa competizione elettorale per la presidenza
privilegiano di fatto il “partito del Capo”, cortocircuitando i partiti e la
macchina politica.
Anche l’elettorato inglese, prima di quello
americano, avrebbe da obiettare. È difficile gabellare di populista
l’elettorato inglese, compresi Farage e la sua Ukip, o il bizzarro ministro degli
Esteri Johnson. Di euroscettico sì, ma pieno di argomenti. Che nessuno si
preoccupa di disinnescare. Anche il Front National non si può mettere da parte
in Francia come un fatto di stizza: è su piazza da oltre trent’anni.
Non
si può liquidare il populismo dopo la crisi economica, e la recessione che
ancora imperversa, su indirizzo peraltro e anzi volontà della Ue, in Italia, in
Grecia, in Spagna, in Francia, nella stessa Germania. Sono movimenti incerti,
non sanno cosa vogliono? Me nessuno ha “la” soluzione, Mentre questi movimenti
sanno che cosa non vogliono, e vogliono: novità – discontinuità. Sanno che i
problemi sono, come sempre, gravi, ma sanno pure non si risolvono con le vecchie
ricette, specie se attendiste o formalistiche. Che bisogna provare
qualcos’altro.
È un fatto peraltro che in Italia
c’è un ondeggiamento pauroso, come un vagare incerto, da gregge impaurito o
impazzito, tra i partiti e di partiti caleidoscopici, che mutano, trasmutano,
muoiono, si moltiplicano.
È anche l’unica categoria residua
sulla scena politica del Millennio: niente più liberalismo, socialismo,
nazionalismo. Si spiega che tutto sia “populista”, da Salvini, o Le Pen, a papa
Bergoglio. Visto da sinistra e visto da destra analogamente. Ma più corretto
sarebbe dire: visto dai vecchi partiti, di sinistra o destra è indifferente.
Il populismo è semmai del giornalismo.
Dei mezzi d’informazione, dell’opinione pubblica. Per l’approssimazione, il
pregiudizio, il servilismo, a interessi costituiti o poteri politici.
Trump – L’uomo venuto dal nulla ha
illustri precedenti negli Stati Uniti. Anche l’uomo dagli affari non trasparenti. In anni recenti Truman, quello di
Hiroshima, del maccarthysmo, e di Edgar Hoover. O Nixon, che pure poteva contare
su un Kisssinger. E Kennedy: padre, Joseph (che c’entra? c’entra - l’ambasciatire più importante di F.D. Roosevelt). Il più eversivo, peraltro amato e celebrato, è stato Reagan. Nel cui stato, la California, sotto il
suo governatorato, si uccidevano i detenuti scomodi per motivi politici. Uno che
allontanava gli insegnanti neri dall’Università della California - eccetto che
nelle sedi di Oakland e San José. Che “spezzò la schiena” ai sindacati. Che fece
la guerra a Grenada.
I precedenti sono anche di celebrazione costante di anticonformisti, Elvis Presley come Cassius Clay o “Il padrino”, fuori dalle ideologie o sistemi conchiusi, l’energia individuale. Si è arrivati a Trump per motivi che ancora non sappiamo –
non si fa l’analisi del voto – ma anche perché nessuno dei precedenti ha messo a
repentaglio, nemmeno scalfito, la democrazia americana. Che è solida, la più solida che esista e sia mai esistita.
Gli
Usa non sono una repubblica delle banane. Hanno istituzioni collaudate e
saldissime, così come l’impianto costituzionale. Una suddivisione (bilanciamento)
reale dei poteri, caso unico fra le democrazie. Un sistema repressivo e giudiziario non
oppressivo e anzi protettivo, delle parti offese, e anche degli imputati fino
alla condanna. Una articolazione sociale
minuta, per comunità d’interessi di ogni tipo, o dei cosiddetti corpi internedi, che da Tocqueville a Guglielmo
Negri, il fondatore del Centro studi
americani, “Il sistema politico degli Stati Uniti d’America”, è il fondamento
di ogni democrazia, ma è più viva negli Usa.
astolfo@antiit.eu