Bob Dylan – Il miracolo del menestrello è dunque l’amore. Alessandro
Carrera, il massimo dylanologo, direttore di Italian Studies all’università di Houston,
curatore e commentatore dei due volumoni di “Lyrics” di Dylan appena riediti da
Fertrinelli, ne ha tematizzato le canzoni, arrivando a questa conclusione.
“«Amore» compare circa 300 volte nel canzoniere di Dylan”, la parola più
frequente. “Strada” è la seconda più frequente, ricorre 133 volte – “treno”
cinquanta, “vento” “più di novanta”.
La “strada”, dice Carrera con D.H.Lawrence, autore anche di
“Studi sulla letteratura classica americana”, è “la grande casa dell’anima”
dello scrittore americano – l’“anima americana” si realizza “solo nel viaggio
lungo le strade aperte”.
L’altro dato appariscente di Dylan che Carrera rileva è
l’orizzontalità. Il rifiuto è costante in Bob Dylan, da ultimo nel catalogo di
una sua mostra di dipinti alla Halcyon Gallery di Londra, del verticale e del moderno.
Ha vissuto a Manhattan ma non ha mai visto i grattacieli, il suo orizzonte è rimasto
– dice Carrera con encomio – quello dell’infanzia nel Minnesota natale, rurale,
basso e gonfio.
Gentileschi – Artemisia è senz’altro
femminista, castratrice: una buona metà dei suoi quadri sono di donne all’opera
con le lame. Ma indirettamente, anche le sante fa glamour,con le gambe e i
seni. Si dovrebbe ipotizzarla gay, ma le si conoscono solo omaccioni. È una a
cui piaceva l’evirazione “dopo”. Si spiega così la vicenda dello stupro subito
a scoppio ritardato, quando l’amante non volle sposarla.
Giornalismo – È tutto ciò che abbiamo, storia,
politica e letteratura. Secondo il filosofo Heidegger dei “quaderni neri” ora
in via di pubblicazione, “Riflessioni XII-XV”, che pure disprezza l’opinione
pubblica, come un artificio politico o economicistico, di editori letterati. La
storia è giornalismo, nel senso che “la scienza storiografica resta il modello
segreto del «giornalismo»”. E viceversa: “Il «giornalismo» determina ogni tipo
di letteratura” – è “una forma fondamentale della dimensione pubblica”..
Hölderlin – Non è il “Nietzsche svevo”,
sbotta a un certo punto il suo fedelissimo Heidegger nel “quaderno nero” n. XII
(“Riflessioni XII-XV”, p. 18): “Solo l’estremo e più maligno fraintendimento
può spacciar(lo) per il «Nietzsche svevo»”. Se non per la follia, forse?
“Certo, Hölderlin
non si addentra, poetando, in campi sereni…”
Proust – Rousseau latita vistosamente nella “Ricerca” – una sola
menzione, forse una sola, distratta, come un giorno del calendario.. Ma sua è
l’architettura del grand opéra
proustiano. Della “tecnica”: le annotazioni sottilmente estese – prolisse, sì.
Dei sentimenti prevalenti: inadeguatezza, gelosia, collera repressa, ironia
lieve (amara). Delle tematiche perfino, soprattutto degli amori
impossibili(tati) e dell’aristocrazia – la nobiltà d’animo va con quella di
censo.
Self-publishing – Anche
l’Ariosto pubblicò a sue spese, addirittura l’“Orlando”. E ne fece un
best-seller. Una malinconica consolazione – per i tanti che Ariosto non possono
dirsi.
Suicidio – All’opera è comune, Butterfly
non è la sola, anche se la Rai l’ha mandata in diretta. È risolutivo: un
centinaio di opere finiscono col suicidio, di lei più che di lui.
Butterfly non è la
sola suicida in diretta di Puccini: Suor Angelica e Tosca l’hanno preceduta,
Liu la seguirà. E altre non se la sono passata bene: Anna (“Le Villi”), Fidelia
(“Edgar”), Manon, Mimi, Magda (“La rondine”). La donna si vuole debole. In
parte come ideale rovesciato di Puccini, tormentato da una virago, Elvira
Bonturi. Ma è l’ideale del romanticismo, rafforzato sul finire: la donna è
fragile, fragilissima, vittima anche se colpevole. È un canone, uno dei tanti
che legavano la donna: bella, giovane., traditrice-tradita, suicida.
Snobissimo – Parterre di bellezza, lusso e intelligenza su “Io Donna”
per “Il vestito dei libri” di Jumpha Lahiri. Intervistata da Emmanuelle de
Villepin, fotografata da Neige De Benedetti. Inviate a Princeton, dove Jumpha
insegna. Lo snobismo vincit omnia.
Per primo, ogni volta, se stesso.
Tedeschi – Hölderlin
non ne aveva buona opinione, li chiamava “barbari che sanno solo tutto
calcolare”. Hölderlin che Heidegger dice “il più grande fra i tedeschi” – in
senso antifrastico?
Ma
pure Heidegger, nazionalista e tutto, si sente a disagio fra i tedeschi –
veramente ovunque, eccetto che fra i presocratici
Ulisse –
Prevale – è un paio d generazioni – in forma di Odisseo. Non il furbo,
fedifrago, vagabondo, ma il viaggiatore inquieto, che il desiderio di
conoscenza agita. Che lui non è, quello di Omero. Lo celebriamo con Dante.
Ulisse in Omero è
uno che non sa chi è. Non è nemmeno trattato tanto bene, nel poema eroico. Nel “suo” poema
è uno stordito, che ovunque si lascia fare. Al
ritorno a casa, non sa neppure di
essere arrivato, è Atena che gli rivela Itaca – dormendo, si è lasciata
sfuggire la sua isola, che cercava. Anche in Dante si perde. La parte avventurosa del viaggio è
del resto breve, dopo lunghi illeggibili capitoli su Telemaco e Penelope.
Nel poema eroico è un furbo malvagio, un ladro
di cavalli. Non si può non tifare Aiace, “il leone impazzito”, cui Ulisse
sottrae l’armatura d’Achille: l’eternauta è un corruttore, per il più che
fondato sospetto che si sia comprato i giurati, e un piantagrane, dell’armatura
di Aiace non ha bisogno e non la userà.
Il viaggio di Ulisse inizia dopo la discesa all’inferno. Verso una
patria che è un’isola sassosa.
Viaggi – Non
sono per italiani? Le corrispondenze e i diari di viaggio. Parise in Biafra, in
Cina, in Giappone. La
Capria in Giappone. L’orrido “La Cina di Mao” di Macciocchi. Manganelli in Asia.
Germano Lombardi e Celati in Africa. Moravia nell’Urss e in Africa. Pasolini in
India, in Africa, a Napoli, in Calabria. Non ci si ritrova nulla, nemmeno un
po’ di aria del tempo, a parte l’“impegno”, quasi mai sincero. Molta
neghittosità, un po’ di gigioneria, che si giustifica (si aggrava) con la
malinconia: la solitudine, il disvalore di casa – di Roma per lo più – e naturalmente
la condizione umana. Di Joseph Roth le corrispondenze politiche da Mezza
Europa, la sua opera più perenta, ancora si leggono. O i tanti inglesi che ne
sono maestri, di viaggi e dromotesti, da ultimo Robert Byron, Bruce Chatwin, Peter
Levi, Patrick Leigh Fermor, William Blacker.
Da noi giusto Corrado Alvaro. Anche Arbasino - tra le fumisterie un insight prodigioso. E un po’ di
giornalismo, Stefano Malatesta, Paolo Rumiz, e Terzani prima dell’illuminazione.
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