Céline
– Niente è meno “in carne” di una
ballerina, argomenta Sartre in “L’essere e il niente”, l’agité du bocal, agitato in provetta, l’arcinemico dell’epurazione.
Ma l’argomentazione di Sartre è (quasi) risolutiva-assolutiva per Céline: non
più l’orco, ma uno maniaco di bellezza e armonia. Sartre dice il desiderio una
strategia mirata a far emergere la “carne” dell’altro. Incarnata-disincarnata,
nel senso che non è “in situazione”, in movimento per uno scopo, e non più
“mascherata”, dal trucco, dal costume, dalla funzione. La ballerina è proprio
all’opposto, mascherata, in costume, sempre in movimento per la musica, e insomma
quasi disincarnata, la morte del desiderio sessuale.
Si può farne il prototipo e quasi il profeta
dello hater, il risentito radicale –
lo fa Serena Pompili su “IL Magazine” del “Sole 24 Ore”: “C’è un solo modo di
amare un hater” (online). Il risentimento oggi va sotto l’etichetta passiva del
populista, ma è in realtà il vecchio piccolo borghese anarcoide. Il suo stesso
antisemitismo, di Céline, è di quel tipo lì – “ben gli sta”, “se la sono
tirata”, “troppo furbi”: il suo ebreo non lo odia, non specialmente o non più di
ogni altro, lo fa anzi vittima del mondo da odiare. Come il piccolo borghese
francese, come il tedesco, nazista e non, come il comunista, come Sartre e
tutti gli intellettuali.
Pompili ne fa anche un calvinista, per la
“concezione della scrittura come predestinazione”, austero. Ma Céline non era
austero, era debordante. Rabelaisiano, non volutamente o per calcolo: per
istinto. Negli odi, nelle amicizie, negli amori. È vero invece che non era quello
“collerico, paranoico,
grottesco, la voce rauca e l’aspetto trasandato, un clochard alcolizzato,
ingobbito, accudito da una Lucette-badante, più che moglie” che Pompili lamenta
del film di Emmanuel Bordieu, “Ferdinand Céline”. È “il destino degli hater”, come conclude Pompili, di
diventare cioè il paria che si disprezza. Il risentimento è una brutta
malattia. Céline è stato a lungo un dandy,
in guerra e dopo, alla Fondazione Rockefeller e in quella che sarà
l’Organizzane Mondiale della Sanità. E quella era la sua natura, di gentleman.
Anche da medico dei poveri negli anni 1930, e poi, dopo la guerra e il carcere,
anche nei pullover sdruciti che sovrammetteva per ostentare la povertà. E a suo
modo socievole: ebbe sempre amici, e nessun intervistatore - ne ebbe tanti,
amava il genere - lo trovò sgradevole.
Confessione – La
letteratura del selfie non sarebbe piaciuta
a Proust – “non confessate mai” – che pure tanto coltivava la memoria. Neanche
a Cicerone – “turpis et periculosa”. Nemmeno
al Kafka (non tanto) segreto dei “Diari”: “Confessare e mentire sono la stessa
cosa. Per poter confessare, si mente”.
Congiuntivo - Singolare argomentazione
populista di Paolo Di Stefano sul “Corriere della sera” per l’abolizione del
congiuntivo – quella del “parlare come si mangia”. Un tempo che rimane in
inglese, lingua della semplificazione, anche se non nella forma grammaticale
così chiamata – rimane come concetto. L’abolizione del congiuntivo non è fare
chiarezza, al contrario è impedirla: l’abolizione del tempo è abolizione del
concetto, la distinzione del fatto dal dubbio o dall’ipotesi. Un fatto di
rozzezza, o di malafede – le lingue spesso deragliano. Ed è un appiattimento, non un fatto di democrazia: la sua abolizione stabilizza la disuguaglianza.
Falso
–
Si afferma in rete come segno della credulità. Propiziando richieste di censura
preventiva, a difesa dei deboli mentali. In realtà il falso in rete è riconoscibile: si dichiara in qualche modo falso, perché è per ridere, scherzoso, ironico,
artefatto (il papa che vota Trump), irridente. In gioco non è la debolezza
mentale, ma la sordità allo humour: lo scherzo è una qualità più ardue evidentemente
dell’intelligenza.
“La Lettura” fa parlare uno che
col falso ci guadagna, lui dice 10 mila dollari al mese, Paul Horner. Che però
non inventa falsi ma scherzi.
Kafka – È un
latinista. È la lettura straordinaria – convincente – che Agamben ne fa in
“Nudità”. Sulla breccia aperta da Davide Stimilli quindici anni fa con
“Fisionomia di Kafka”, dell’autodistruzione come autocalunnia. A partire dal
“Processo”: K. come Kalumniator. E
dal “Castello”: K. Come kardo, parola
chiave dell’agrimensura latina, “quello che è diretto al cardine del cielo”. L’agrimensura
era professione a Roma di importanza particolare, poiché si occupava della creazione
delle città, e della delimitazione dei confini. Cognizione storiche e
giuridiche cui Kafka si è avvicinato studiando da procuratore legale.
L’intuizione di Stimilli Agamben
trova confermata nei diari e le lettere, con numerosi riscontri. E dalla
pubblicazione nel 1848, con ampia circolazione, di una raccolta poi
dimenticata, “Die Schriften der römischen Feldmesser”, un corpus dei vari
manuali romani di agrimensura, a opera di “tre eminenti filologi e storici del
diritto”, F .Blume, K. Lachmann e A.Rudorff: i trattati di Sesto Giulio
Frontino, Agennio Urbico, Igino Gromatico e Siculo Flacco.
Natale – È risdoganato?
Quest’anno nessuna scuola l’ha cancellato per non offendere gli altri, e c’è
perfino chi se lo augura – si dice di nuovo “buon Natale” senza complessi. Sarà
l’effetto Trump, del riscatto dell’“uomo bianco” di cui fantastica l’America
che ha sbagliato tutte le previsioni? Ma una ventina di cantanti, stranieri e italiani
e stranieri, hanno esibito una canzone di Natale per la festa di Canale 5: ce l’avevano
pronta da prima di Trump – anche se, è vero, alcuni non proprio credenti. Tony
Hadkey, Spandau Ballet, ne ha per un intero album, “The Christmas album”. La parola
fa capolino anche in qualche titolo di film per bambini, oltre che nei
cinepanettoni.
Peto – Senza
il peccato, sant’Agostino lo immagina profumato e melodioso. C’era, prima, un
godimento tranquillo del corpo, scrive il santo nel “De Civitate Dei”. XIV, 24,
un controllo pieno. Che esemplifica con alcuni residui: c’è ancora chi sa
muovere le orecchie, o i capelli, chi contraffá il canto degli uccelli melodioso. E c’è il
peto odoroso: “Se ne trovano ancora che fanno uscire dal loro ano, senza
emettere il minimo odore, venti tanto armoniosi che si direbbe che cantano con
quella parte del corpo”.
Starobinski – Un Jean Starobinski figura medico e filosofo a Parigi attorno
al 1947-1948, in Monique Lévi-Strauss, “Un’infanzia nella bocca del lupo”, in
una serie di frequentazioni molto intellettuali, a cerchi olimpici, intorno
alle figure di Jean Wahl, Clara Malraux, Lacan, i Jolas. Starobinski è in
effetti di formazione psichiatra.
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