Dopo
Londra Berlino, perché no. L’ipotesi di Farage, e forse di Trump, la disintegrazione della Ue, non è
balzana. È anzi più probabile che non.
Il negoziato per la Brexit è cruciale,
decisivo in questo senso: l’andamento e l’esito della Brxit, che non può tardare
anche se Londra traccheggia, potrebbe determinare tra non molto anche la fuoriuscita
della Germania. Se l’Inghilterra riuscirà a salvare il mercato comune pur
uscendo dall’Unione. La premier inglese May dice che vuole uscire dalla Ue e
dal mercato comune, ma non è vero: fa come al mercato, chi compra disprezza.
Visto
oggi è fantapolitica. Ma in Germania se ne parla, là dove si decide – da ultimo
Roland Berger con il “Corriere della sera”. La Germania sta male dentro l’euro già
oggi. Se la prende con Draghi, ma è l’impalcatura del tutto, non solo la Bce, che
le sta stretta. Cioè larga, mentre la Germania vuole che le politiche monetaria
e fiscale siano strette, anzi rigide. Primeggia internazionalmente con la produttività e vuole mantenere il primato: un tasso costante elevato di investimenti, senza svalutazioni di comodo e senza sovvenzioni. L’euro, oggi più forte che mai, non lo è per questo abbastanza.
Ma non è solo dell’euro che la Germania è insoddisfatta, bensì dell’insieme degli
assetti europei. Sa che l’Unione non potrà essere tedesca: troppi rischi anche
per la Germania. Ma non sa, e non vuole, essere tra i primi, seppure prima tra
i primi, nell’assetto attuale.
È
l’effetto riunificazione. Acuito dalla non felice esperienza nell’euro, che da
un anno sta pagando con i tassi negativi. Ma non
è un conto del dare e avere. In questo conto la Germania ha avuto di più –
molto – di quanto ha dato, o teme di
dare. In politica e in affari. È l’effetto riunificazione. Acuito dalla non
felice esperienza nell’euro, che da un anno sta pagando con i tassi negativi.
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