Si può leggere l’arrocco di
Mediobanca-Generali come una controffensiva
della finanza laica. Del vecchio
“salotto buono” milanese contro Intesa pigliatutto, il bulldozer creato
dall’amministratore del vescovo di Brescia, Giovanni Bazoli, sull’ex impero di
Cuccia. Che in estate è arrivato infine, alla presa del “Corriere della sera”.
Una sconfitta che più della Commerciale brucia in Mediobanca.
Mediobanca non poteva più permettersi il “Corriere
della sera”. E non potrà permettersi Generali, come ha annunciato, dopo una
vita. La rete di protezione che Mediobanca si è costituita con i francesi non è
bastata. Anzi, Intesa aveva ultimamente buon gioco a proiettare la finanza francese
all’assalto di Generali, con Axa e non più con i Bolloré, e a prospettare una
mossa difensiva nazionale.
La partita si gioca ora scoperta. Ma Generali
più di Mediobanca ha la forza per opporsi. Tanto più che ne va della sua vita: il disegno
“nazionale” di Intesa, di caratteristico cinismo (ha cannibalizzato tutte le
entità che ha artigliato, non ne ha salvata una), è di fare del colosso di
Trieste uno spezzatino, vendere, lucrarci.
Generali era nel mirino di Bazoli già negli
anni 1990. Allora l’integralismo del banchiere bresciano lo costrinse alla
ritirata. Avrebbe dovuto unire le forze con Banca d’Italia, allora secondo
azionista a Trieste dietro Mediobanca, governata da Fazio, altro banchiere
confessionale. Bazoli non sopportava Fazio, una sorta di concorrente nello
stesso campo, non ne sopportava la pretesa di arbitrare gli assetti finanziari.
Ma la collisione con Banca d’Italia lo costrinse alla ritirata, seppure senza
perdite – l’eiezione di Fazio arriverà tardiva su questo fronte..
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