lunedì 30 gennaio 2017

Il linguaggio è lunatico

“L’incendio, con feroci mandibole, divora il campo” è cosa detta da un letterato, per quanto amico, al caffè? Oppure da un cinese, della cultura dei draghi? Oppure da Eschilo, che la mette in bocca a Prometeo, “titano imprigionato”, rivolta “a Oceano, anziano gentiluomo venuto a visitare la sua disgrazia su un carro alato”. Un libro sulle metafore, indigesto - e del resto della metafora sappiamo tutto da Aristotele, che Borges trascura, volendone fare un caso. Applicandovisi, però, l’esemplificazione è magistrale del legame (di cui non si può fare a meno) metafora-contesto.
Con qualche curiosità. Borges già a 27-28 anni narratore di se stesso è la prima. Delle sue letture, di uno che ha letto tutti i libri – salvando cinque o sei autori: Quevedo, Carlyle, Schopehanuer, Unamuno, Dickens, De Quincey: della “fruizione letteraria” Borges è analista retrospettivo, censore, ordinatore,inventore, già in  gioventù. L’altra è che è già il narratore e il regista teatrale della filologia, che sarà il suo trademark. Anche se concettoso più che gioviale e ironico: sono scritti irsuti queste sue prime prose, su giornali e riviste, e in conferenza.
Molti sono contro il gongorismo, il preziosismo, il manierismo, che era una bestia dei suoi tempi, gli altrimenti celebrati anni Venti. “Il linguaggio è come la luna e ha il suo emisfero d’ombra”-
Jorge Luis Borges, L’idioma degli argentini, Adelphi, pp. 187 € 14

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