venerdì 13 gennaio 2017

Il silenzio di Dio sul cristianesimo

Un film crepuscolare e claustrofobico. Non diminutivo, anzi tragico, con punte di sadomasochismo, inevitabili con i martiri e i martirî: ma nei toni grigio azzurri del purgatorio. Una professione lenta, negativa ma costante, di fede, che però non finisce in gloria ma nell’incubo. Se la salvezza non sia nel tradimento.
Il tema è sempre quello del cercatore di fede: il silenzio di Dio, il male. Con la tentazione è Giuda, di allargare la possiblità di redenzione al tradimento. Lo era già per Scorsese giovane dell’“Ultima tentazione di Cristo”. Lo è qui, meno gridata, ma suadente. Tre giovani gesuiti partono alla ricerca di un confratello che in missione in Giappone sarebbe finito nell’apostasia: è il loro maestro, che non può  essere un traditore, è per questo che i tre partono, per ristabilire la verità. Finiranno interpreti, sbirri e confidenti dei persecutori: i due superstiti dei tre  I due gesuiti compaiono dopo qualche anno, dolenti apostati, o forse solo marrani, come agenti della dogana nipponica, con l’incarico che svolgono pignolo di scovare amuleti cristiani tra le cuciture e gli orli di giacche e borse degli olandesi infine ammessi alla mercatura in Giappone.
Una grande produzione. Con sbavature. Il protagonista, Andrew Garfield, verrà fatto somigliante a un certo punto all’immagine del Cristo, ma per due ore e passa ha quella del giocatore di football, iperproteinico – un gesuita portoghese del Seicento? La sceneggiatura è poco coerente. L’interprete giapponese quasi occidentalizzato, nei modi e nell’eloquio, all’improvviso è un freddo decapitatore. Gli inquisitori urlano in giapponese, e in italiano suonano melliflui. Ma tutto il doppiaggio è spiazzante (si sente pure una parlata toscana), con l’estraniamento sempre di ascoltare nella propria lingua una vicenda che si svolge nel Seicento in Giappone – si parla poco giapponese coi sottotitoli.

È tuttavia due ore e mezza di cinema, in qualche modo avvincente. Sarà il tema, l’occidentale perseguitato in Asia? C’è voglia di rivedere la storia, finora compressa allo stereotipo dell’europeo colonialista e razzista – mai, per esempio, quanto un giapponese.  
Martin Scorsese, Silence

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