“Un grande scrittore dell’Ottocento,
Gobineau”, dicono gli intervistatori, “parla della fine del mondo come di un’epoca
invasa «dalla morte, in cui il globo, diventato muto, continuerà, ma senza di
noi, a descrivere nello spazio impassibili orbite»”. “È una frase meravigliosa,
davvero stupenda”, risponde Lévi-Strauss, “ma io non penso che quest’epoca sia
vicina. L’astrofisica ha fatto dei progressi dal tempo di Gobineau”.
L’antropologo di lunga esperienza è
pragmatico. Anche, a proposito di Gobineau, in fatto di razzismo, il teorico
dell’unità delle culture, “Razza e razzismo”, 1952: “Un antirazzismo semplicistico
finisce per dare più armi al razzismo di quanto non si pensi, perché tenta di
negare cose evidenti e di buon senso”. O si prenda la “mucca pazza”, di tanto
allarme e di pronta e radicale rimozione: era – è? – dovuta “al’introduzione
nell’organismo di ormoni della crescita tratti dal cervello umano”. Destinati a
bambini con problemi di crescita, e alle donne
con problemi di sterilità, che ne furono le vittime. Nella Bibbia l’uomo
diventa carnivoro uscendo dall’Arca di Noè.
Dalla convivenza forzata con gli animali – una ritorsione, una vendetta?
Il passo successivo fu la torre di Babele: “Alla separazione di uomini e animali
segue quella tra gli uomini”, sulla base della lingua – o non tribù-nazionalità?
Piacevoli conversazioni con un maestro,
che non insegna nulla. Se non a riconoscerci proteiformi e ripetitivi –
inventivi e modulari. Con brio, senza saccenteria, ai (quasi) novant’anni –
l’intervista, con Silvia Ronchey e Giuseppe Scaraffia per i programmi culturali
Rai, è del 1997. Una plaquette
perfetta – cadenzata, misurata – con l’impressione dell’inesauribile che è il
segno della saggezza. Di un maestro che peraltro si lamenta di scarsa
autorevolezza, almeno in patria.
Il lavoro dell’antropologo Lévi-Strauss
assimila a un collage, proprio in
senso tecnico, come quelli d Max Ernst: “Mettendo insieme dei miti, io li ho
ritagliato dal contesto nel quale si trovavano presso popolazioni estremamente
diverse tra di loro”. Ne ha accumulati molti, e poi ha cominciato a comporre
dei puzzle: “Ho cercato di capire
come avrei potuto disporli gli uni in rapporto agli altri, in modo che ne
scaturisse un significato più generale e più profondo”.
I “Cristi di oscure speranze” sono di
Apollinaire, quando agli inizi del Novecento, in giro con Picasso al mercato delle
pulci, avevano scoperto le maschere di legno africane e amerindie.
Lévi-Strauss, per la curiosità degli intervistatori, ne ha tappezzata la
biblioteca dove li riceve. Ma non ne azzarda letture esemplari. Un tardo
positivista, blasé, sornione. .
Claude Lévi-Strauss, Cristi di oscure speranze, Nottetempo,
pp. 61 € 6
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