domenica 8 gennaio 2017

L’altro mondo di Hopper

La luce radente: bianca. Senza entrare nella metafisica o nel surrealismo,  ma nei luoghi non luoghi che il pittore incontra o vede: un ponte, i lavatoi la pompa, di benzina, la villetta a schiera, il faro. L’aria di Parigi riportata a New York un secolo fa, dopo una breve esperienza europea. Una città e un’America dipinte con una propria cifra, di un realismo quasi documentario e sociale. E di una nuova proprietà del pennello e dei colori, narrativi anche senza i riferimenti testuali cui la pittura era adusa.
È una mostra anche dignitosa, di numerosi quadri, con incisioni e quaderni di disegni – non la solita mostra didascalica, di uno  due reperti, di cui da qualche tempo si abusa. Con due video di presentazione tanto rapidi quanto esaurienti. È una mostra itinerante del Museo Whitney di New York, che dovendosi spostare nel 2015 dalla vecchia sede, ceduta alla Carnegie Hall, alla nuova, progettata da Renzo Piano, ha mandato in giro per l’Europa una parte cospicua de suoi Hopper, che è l’artista di maggiore presenza nel Museo, invece di tenerla in magazzino. Un altro mondo, un’altra cultura del management della cultura – gli Uffizi dopo trent’anni ancora non han deciso se realizzare un Uffizi 2 dove esporre i ricchissimi scantinati, che si continuano a proteggere a caro prezzo e gravi rischi, corrosione, inondazione.
Il Whitney è un’istituzione privata, fondata nel 1931 da Cornelia Vanderbilt, scultrice a tempo perso, ereditiera, sposata Whitney, per esporre gli artisti giovani. Cresciuta in questo modo su se stessa, fino a essere l’area espositiva di riferimento di Hopper (la cui vedova legò al Whitney nel 1970 duemila opere, tra disegni, incisioni e quadri, del marito), Jasper Johns, Calder, Prendegast. Una raccolta di circa 20 mila opere, di quasi tremila artisti. Dotata di una biblioteca per curiosi e studiosi di 30 mila volumi, di quasi immediato accesso. Che necessitavano di un nuovo spazio rispetto alla sede precedente, anni 1960, in pietra e mattoni, per duemila opere. Detto e fatto: la progettazione è stata affidata a Piano nel 2008, la costruzione della nuova sede è cominciata a metà del 2011, nella primavera del 2015 era completata e inaugurata.
Edward Hopper, Roma, Complesso del Vittoriano

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