È legge di natura\ e non prudenza solo: amor cos’è?\ Piacer,
comodo, gusto,\ gioia, divertimento,\ passatempo, allegria: non è più amore\ se
incomodo diventa\ se invece di piacer nuoce e tormenta”. “Così fan tutte” è un exemplum libertino, il terzo che la coppia
illuminato-massonica Da Ponte-Mozart mette in opera a Vienna, nel 1790, quando a
Parigi la rivoluzione monta, dopo il “Don Giovanni” e “Le nozze di Figaro”. Un’emulsione
lieve: “È amore un ladroncello”, canterà la solare Dorabella, che con la
sorella sentimentale Fiordiligi si è prestata a mettere alla prova l’amore come
fedeltà. Come promessa di fedeltà in questo caso, dato che gli innamorati di
entrambe figurano al campo per la guerra. E d’altra parte “Così fan tutte”, inteso delle
donne, si sottotitola “La scuola degli amanti”: anche i due innamorati sciocchi,
imboscati in una finta guerra, impareranno.
L’opera, due anni prima della morte, è il primo dei tre lasciti
di Mozart: un dramma giocoso che è un’opera buffa – cui seguirà l’opera seria “La
clemenza di Tito”, e il vaudeville popolare
e campestre “Il flauto magico”. Attraente e anche divertente. Grazie qui alla regia,
che contemporaneizza la vicenda senza tradirla, come in una tv-verità del
pomeriggio che fosse allegra e non vendicativa. E soprattutto agli interpreti,
che peraltro sembrano divertirsi anche loro. Giovani come vuole la storia ma
non solo, spigliati, scattanti, esagerati, invece che immobili al proscenio. Francesca
Dotto e Chiara Amarù, “Fiordiligi” e “Dorabella”, le due sorelle tentate. Monica
Bacelli, “Despina”, una serva padrona incredibilmente versatile, è anche medico
e anche notaio, e sempre musicalmente in tema. Vito Priante, “Guglielmo”, e
Juan Francisco Gatell, “Ferrando”, i due giovani svitati che scommettono sulla
fedeltà delle innamorate. Pietro Spagnoli, “don Alfonso”, il libero pensatore
che architetta la scommessa-beffa. Con un che, tuttavia, di eccessivo, della
regia e quindi degli interpreti, che il dramma corale, perfino dolente, di un erotismo
sottile, scardina con troppa sit-com adolescenziale.
La storia è semplice e complessa. Di adulteri, tentati, favoriti,
riusciti, quasi, falliti. Con pochi assolo, il gioco è corale – esemplare. Si dipana
tra quartetti, quintetti, sestetti, talvolta duetti, con arie residuali, quelle
d’obbligo per i ruoli primadonna, ma non decisive. Che la messinscena romana per
questo aspetto interpreta al meglio, vorticosa e insieme semplice, sorridente
sempre. Di un Mozart fortemente caratterizzato. Su un doppio registro, come si
conviene alle sue opere dapontiane. Agitato sul palcoscenico, andante lieve
nella fossa mistica, sotto la bacchetta di Speranza Scappucci. Autorevole specie
nella non invasività: la sua orchestra ha per tutte le quattro ore gli accenti
giusti, brillante e misurata, non aggressiva
Una rappresentazione piacevole, oltre che sorprendente. A cui
un curioso triplice rovesciamento, o tradimento, ha fatto seguito, nella
presentazione e nei commenti. Della storia. Del significato. Di Mozart in quest’opera,
che si vuole quasi politico e comunque impegnato. E come si potrebbe, al di là
del tiepido libertinismo viennese? L’opera gli fu rimproverata, e non più rappresentata
per un secolo abbondante, ma per sconvenienza - per un moralismo
anticipatamente borghese, della borghesia delle tende alle finestre e delle mutande
chiamate calzoncini.
La storia è classica e variata, dell’incostanza femminile, e\o
della fedeltà come scommessa. Gli amanti sono in prova in Shakespeare, “La Tempesta”,
il “Sogno di una notte di mezza estate”. In Molière, “La scuola delle mogli”. Sarà
ripreso da Goethe autonomamente (di “Così fan tutte” si parlò poco, niente più
dopo la prima), “Le affinità elettive”. Animava altri libretti di Da Ponte,
prima di quest’ultima collaborazione con Mozart, e poi dopo – specie con Martin
y Soler a Vienna, “Una cosa rara”, e dopo la morte di Mozart ancora col
compositore spagnolo a Londra . Qui è più spregiudicata: le due giovani sono volubili
senza una vera insidia, né ricchezza, né nobiltà o eroismo, nemmeno esotismo
benché i due cavalieri serventi si figurino albanesi. Giusto per curiosità. È una
storia libertina nella Vienna ancora ancien
régime del 1790, benché illuminata dalla massoneria, anche se altrove c’era
la rivoluzione – Mozart fu accusato dai confratelli di sprecarsi in banalità e
volgarità. Despina è anche più manigolda dei precedenti servi padroni di Da
Ponte-Mozart, Figaro e Leporello, e meglio individuata, più personalizzata. Si
può anche dirla il vero deus ex machina della
vicenda, e uno al femminile, invece di don Alfonso, il libero pensatore e
dissacratore che impone la s commessa - l’alter ego di Da Ponte. Ma perché l’opera
sarebbe rivoluzionaria?
La si vuole già femminista. Lo sarebbe perché gli interfaccia
maschili sono, all’inizio, superficiali. Due occhi: si lasciano convincere a scommettere
sulla fedeltà delle fidanzate senza nessuna ragione, per gioco. Sarebbero
superficiali, perché anche loro poi, come le due sorelle, prendono gusto all’innamoramento,
al gioco della novità.
È un dramma giocoso, quale si vuole, non femminista. Dirlo la
liberazione sessuale delle donne non ha senso, nessuno le teneva in castità – e
comunque è salvata la virtù. La spregiudicatezza (libertinismo) di Da Ponte è
lontanissima dai temi correnti dei “femminili”. la coppia, il tradimento, la fedeltà,
la sincerità, la gelosia, il perdono. Siamo sempre nel Settecento.
Soprattutto non ha senso – curiosità nella curiosità – in questa
rappresentazione. Di retrogusto antifemminile sottile e costante, come è della donna
sessuata in mano gay. Queste donne fanno di tutto, compreso (Despina)
masturbare i due finti albanesi finti morti per farli rinvenire, invece di applicare
loro “quel pezzo di calamita,\ pietra mesmerica,\ ch’ebbe l’origine\ nell’Alemagna”
. che oggi avrebbe fatto ridere di più. O, le due sorelle, sfregarsi un cuscino
tra le gambe, alla menzione di un “bel naso”, qui letto come il dottor Fliess
lo leggeva al suo amico dottor Freud. Nonché inguainarsi in improbabili lamè sciantosi,
da entraîneuses. La sessualità femminile
vista con spregio. Le primedonne sono qui eroiche, Dotto, Amarù, Bacelli, ma
attendono di essere liberate.
W.A . Mozart (regia Graham Vick), Così fan tutte, Teatro dell’Opera, Roma
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