Strana impressione, scorrere un santino
quando il santo o eroe si è dissolto, svanito. Già da tempo, non molto dopo
la celebrazione. Non si riesce a compiangere l’eroe ora vilipeso – e a lui non
piacerebbe nemmeno. Ma sì, vivendo a Roma, di compiangersi, di compiangere
invece se stessi.
E del Garcia allenatore di calcio che si
parla. Altri lo definiscono “l’uomo che fa sognare Roma” – lo definivano: era l’anno
della “Grande Bellezza”. Un anno dopo era tutto svanito, Garcia con la chiesa –
e l’Oscar con la bellezza: Roma è tornata piagnona e rancorosa, come usa
pendolare da secoli. Non c’è sogno durevole, ma l’intermittenza dei sogni
romani è particolare: accesissima e freddissima.
Il libro non è delirante, ma l’esito sì.
Non solo Garcia è stato licenziato a furor di popolo, ma è del tutto dimenticato,
rimosso. La città, anzi, ora è contro perfino la stessa squadra del cuore, per
quanto maggica: i biglietti costano troppo, i giocatori non giocano, gli
allenatori non allenano, la società non spende, e vuole perfino eliminare i
violenti dallo stadio…
Non è “una questione di tifo”. Cioè di nessun
interesse. È un modo di essere, per accensioni inconsulte. Infettivo – i settecentomila
voti alla Raggi non sono un miraggio.
Andrea Corti, Rudi Garcia. La chiesa al centro del villaggio, Editori
Internazionali Riuniti, pp. 160 € 9
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