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Africa – Federico Fubini, uscendo a testa bassa da una libreria a
Roma, è arpionato da un ambulante venditore di libri, un africano, che lo fulmina:
“Non scappare. Scappate tutti, non mi guardate neanche”. E lo asservisce, come
usa al talk-show, col magnetismo dell’Italia annichilita: “Non contate più nulla,
non c’è più nulla da fare qui in Italia”. Fubini non gli compra il libro ma qualcosa
gli lascia, che è quello che il fulminante si aspetta.
La cosa è curiosa perché la libreria Feltrinelli di Largo Argentina
a Roma è presidiata da vent’anni da un gruppo di ambulanti senegalesi (i fula o fulani, con
ex guerrieri mandingo, e qualche malinké e bambara del Mali), organizzati da un gigante
erculeo che ogni tanto si fa ancora vedere ed è maestro di questa serie di
argomentazioni. Avendo trasbordato in Europa la logistica tradizionale,
sperimentata e a suo modo efficiente: capo (jula-ba),
ambulante (jula-den) e alloggiatore (jatigi). Hanno prima emarginato in un
angolino invisibile, e poi allontanato i modesti rivenditori di “Terre di mezzo”
e le sue pubblicazioni sull’Africa, africani non aggressivi.
Fubini sottovaluta l’Africa, che ha capacità dialettiche e
drammaturgiche. E anche logistiche.
Campanella – “Un precursore del chisciottismo”, lo dice Walter Pedullà,
“Il mondo visto da sotto”, 154. Bisognava pensarci.
Comunismo
– L’amore
al tempo dell’Unione Sovietica è sempre stato tema arduo, per le convivenze
forzate e i controlli di polizia. Di più, era escluso in linea di principio,
come regressione borghese – è il tema di Orwell, “1984”. Morti – suicidi –
Esenin e Majakovskij, il sovietismo escluse di programma l’amore dalla poesia e
le arti. Pasternak fu perseguitato per “Živago” perché il romanzo celebrava l’amore. Fu
tollerato nelle poetesse, che peraltro furono confinate.
Camilleri (“Segnali di fumo”) mette a contrasto
il comunismo nell’Urss e fuori, dove invece trova “la migliore poesia d’amore:
Neruda. Hikmet, Éluard –
e Aragon? Ma anche loro, soprattutto loro, la triade – e Aragon – non erano
comunisti come Camilleri, ben a distanza? Non c’è una storia comunista d’amore,
eccetto appunto “Živago”.
C’è una storia? I romani, dovendo andare in
pensione, finiscono tutti per conoscere Lenin, una piccola strada sulla
Portuense occupata dall’Inps. Ma poco altro c’è. In questo anno centenario
della sua rivoluzione non si vedono storie, neppure critiche.
Critico – È un evergeta, uno che “compie buone azioni” in modo
disinteressato. Un residuo delle opere pubbliche culturali della classicità,
demandate a che aveva qualcosa da dare o investire. Scompare oggi per l’ugualitarismo
crescente – non si dà se non si ha?
Dante – “Mentre che il vento, come fa, ci tace”, oppure “si
tace”? Camilleri opina giustamente per il tacersi. È solo logico, il vento ha
questa fame, di essere incostante, ogni tanto si tace, all’improvviso si
scatena, etc. Ma tra Paolo e Francesca, al canto V dell’“Inferno”, il vento non
può intervenire a tacitarli, che ne sa?, ma, come spesso fa, si tace, questo lo
può. “La bufera di vento”, conclude Camilleri in uno dei suoi “Segnali di
fumo”, “si tace quasi a voler ascoltare anch’essa la tragica storia dei due
amanti”.
Dialetto – È stato la fiammata di un momento - degli anni 1950. Un
adattamento, derivazione-deviazione, del neo realismo. Con Gadda, Moravia (“Racconti
romani”), Pasolini, D’Arrigo, Fenoglio, Mastronardi, Testori, Domenico Rea,
Meneghello, Eduardo, Govi, il milanese Scotti. Non ha introdotto né costrutti
né parole.
Poi è subentrata la modernità, o forse l’italiano si è riappacificato
con se stesso. Ha sdoganato il turpiloquio, ma non i dialetti. Neanche
l’insorgenza leghista un quarto di secolo fa ha scosso l’unità linguistica. È
insorto Camilleri, ma con una lingua propria, più che on un dialetto.
Fagioli – Teresa Cremisi, già direttrice di Gallimard, torna ad
Alessandria dov’è nata, Alessandria d’Egitto, e trova che i fagioli, che
dovrebbero bollire in cinque ore, ora si cuociono in mezzora, con una punta di
calcio. Aggiunge che tutti glieli sconsigliano, perché il calcio è “polvere
cancerogena”.
Cuocere in cinque ore pazienza, si vede che Teresa Cremisi
non ha mai cucinato. Ma il bicarbonato di sodio “polvere cancerogena”? Che
molti prendono da generazioni, e comunque è consigliato per non far disfare i
fagioli. Che sono buoni anche sfatti.
Gay – Fa un’arte del dileggio delle donne – Genet, Edmund White,
etc. Che però ne sono estasiate. Si vede all’Opera a Roma, a “Così fa tutte”, l’opera di Da Ponte e Mozart, messa in scena da Graham Vick. I personaggi femminili, Fiordiligi, Dorabella, Despina,
sono caricaturati. Anche dileggiati: le due “ragazze” inguaina in lamé da entraîneuse, alla serva-padrona Despina,
in veste di finto medico, fa mimare due seghe per rianimare due finti morti, invece
di usare la “potente calamita venuta di Germania”, che forse avrebbe fatto più ridere.
Ma le interpreti ne sono felici, Francesca Dotto, Chiara Amarù, fa anche “la
mossa”, Monica Bacelli. La sessualità – il
genere – come divertimento. Sguaiato, perché il sesso lo è – c’è anche il
rifiuto del sesso. Non un fattore di concepimento, né ovviamente di dignità – parola da tempo in disuso, col concetto, in quanto borghese (anche se siamo tutti borghesi, pure i barboni, molto
ammodo, a modo loro). Ma neanche di gioia, solo di sberleffo, come tutto il travesti - come ora è inteso il travesti, seriamente.
Opera – È sempre in progress,
vivente l’autore, e magari anche dopo, ma sempre definitiva a ogni passo?
Camilleri dice il contrario (Segnali di fumo”, 38): quando il libro è stampato,
ne distrugge gli appunti e le scritture, non lo rilegge, e lo dimentica. Ma con
un centinaio di opere pubblicate in pochi anni, Camilleri è in progress con le stesse edizioni: il
suo continuo fresco di stampa, ogni mese, ogni settimana, è una scrittura.
L’opera in progress dell’autore inedito
è invece un costante remake.
E Manzoni in tutto questo? Si trovò nel mezzo della questione
della lingua, ma era di suo un irrequieto e un ricercatore.
Pinocchio – Paolo Di Stefano ripercorre sul “Corriere della sera”,
una serie di letture recenti di Pinocchio, che ne fanno “un
altro”. Tabucchi, l’arcivescovo Biffi, Calvino, Fruttero, Jervis, Citati, La
Capria, l’italianista Suzanne Steward-Steinberg, Emilio Garroni e Manganelli.
Manganelli giunse a scrivere un “Pinocchio parallelo”, che
Calvino avrebbe detto “ la più pertinente esegesi della storia”. In cui dissemina,
per ricostruire l’animo del burattino, “tracce, orme, indovinelli, burle,
fughe”. Ma questo non è “Alice”?
Non è colpa di Collodi. Se non di essere stato finitimo del
Novecento. È il Novecento che ha la mania della riscrittura – in letteratura e
al cinema come ha sempre usato in musica. Di “Pinocchio” come di Sherlock
Holmes - e della stessa Alice (che però pone insidie). Nessuno riscriveva Omero
o Shakespeare – nemmeno, malgrado Borges, “Don Chisciotte”.
Riso – Viene passata la paura, secondo Freud e Baudelaire. Che
però non hanno mai riso – non che si sappia. Erano sempre impauriti?
Romanzo verità – Può essere, ma solo degli affetti – compresa la passione
politica? Camilleri giunge a questa sintesi: “Ogni romanzo parla comunque
dell’uomo e l’esistenza è nella maggior parte dei casi il tentativo quasi mai
riuscito di trovare un difficilissimo equilibro tra ragione e sentimento”.
Sherlock Holmes – È parodiato da Mark Twain in “A Double barreled detective
story” (ora tradotta, come “Dopiette”, nell’antologia di Gianaria e Mittone,
“Insospettabili”). Come celebrità mondiale, nota fin nei villaggi sparsi dei cercatori
d’oro del West, tra i quali capita “dopo essere morto tre volte”, quindi già
nel 1902. “Chiunque lo conosca come lo conosco io”, così lo presenta il nipote
Fetlock Jones, uno poco presentabile, “sa che non è capace di scoprire un
crimine senza aver progettato in anticipo ogni cosa e sistemato gli indizi e
assunto qualcuno perché lo commettesse seguendo le sue istruzioni….”. Tra i
bruti cavatori Sherlock Holmes viene preso al suo laccio, di indizi che nessun
altro ha raccolto, nemmeno lui – gli indizi in effetti sono interminabili.
letterautore@antiit.eu
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