“Dio non ha armi contro i misfatti
umani”. E un Dio disarmato deve presiedere al Sud. Ma non sulle lettere, se Pedullà
riesce a estrarne numerose gemme, malgrado questa constatazione desolata di
metà percorso.
“Narratori meridionali del ‘900” è il
sottotitolo. Di una raccolta corposa e pratica, “unitaria”, di testi diversi. Una
rivendicazione – anti-leghista sottofondo, viviamo ormai in questa scatola. E
una rivisitazione, come un ritorno a casa. Walter Pedullà non ci ha mai pensato
nei tanti decenni di critica militante e di insegnamento alla Sapienza. Ora sì,
perché gli è stato proposto, e perché anche lui probabilmente è a disagio - il
leghismo non è indolore. Ma senza poi crederci molto.
Un
europeo nato al Sud
Chi va via dal Sud tende a privilegiare
l’approdo. E in questo dopoguerra, cosmopolita e poliglotta, ad allargarlo: uno
tende, come già Alvaro, a considerarsi “un europeo nato in Calabria”. Come si
fa comunque a dividere l’Italia? Quella delle lettere poi è indissolubile –
comincia dalla Sicilia. Ci ha provato Dionisotti, cui si accredita
autorevolezza, ma l’esito è incerto, se si fa la tara della politica. Nord e Sud
non sono peraltro tematiche distinte, Pedullà insiste molto su questo limite nel
centinaio di pagine che ha premesso alla raccolta. Difficile anche segnarsi i
confini, se non linguistici. Roma no. E l’Abruzzo, gli Abruzzi? D’Annunzio no,
Flaiano sì. Ma anche Napoli Pedullà frequenta poco – per un calabrese è
difficile. E la Puglia? La Sardegna?
Mare, madre, morte
Mare, madre, morte
Filologo acuto del Novecento, e fan della modernità, della novità, Pedullà aveva
ben analizzato in precedenza molti scrittori meridionali, in analisi che può
riproporre ancora parlanti, ma senza farne una geografia. Non la fa nemmeno
oggi – “la lingua comune, l’italiano, agevola il più ricco contrabbando”, primo
tra i contrabbandieri il milanese Gadda, alla frontiera col vecchio Regno del
Sud. Ma si sarà stancato, anche lui, il leghismo stanca tutti, e ha pensato che
affermare un punto di consistenza del meridione, fra i tanti di sfacelo ordinario
- ordinariamente imposti, là dove si fa la realtà del discorso (o è il
viceversa?) - non fosse sbagliato e anzi necessario.
Ora poi vanno gli “atlanti” anche in
letteratura, dei luoghi, delle persone, dei temi, con i “parchi” e le fondazioni.
E così il critico della R & S letteraria è voluto tornare là da dove era
partito. Con una introduzione che è un saggio a parte, e alcune
note inedite, sistematizza e ripropone in chiave Sud altri suoi scritti e parti
di volumi. Calabrese d’un pezzo, fisico e metafisico, le radici sono anch’esse
ineliminabili, ha vissuto una vita col migliore Novecento, italiano e
straniero. È in quest’ottica che si era imbattuto anche in scrittori del Sud,
che hanno vissuto al Nord o vi si identificano – Pirandello, Pizzuto, Bonaviri,
in parte anche D’Arrigo, l’“Autore” siculo-calabrese che Arnoldo Mondadori ha fortissimamente
voluto. Senza trionfalismi, che pure, per peso specifico e peso assoluto,
sarebbero stati giustificati, e anzi con una vena di pessimismo – che non si
può rimproverare: “Nel fondo del Mediterraneo giace pure l’etimologia comune di
mare, madre, morte”, sarà la conclusione. Partendo da questa “nota a margine”:
“Nel Sud d’oggi abbondano i pupi e non nascono più i veri paladini”. Comunque in
un’ottima collana Rubbettino, “SS 19”, l’ex statale delle Calabrie, con testi
rilevanti di Galasso e Francesco Bevilacqua, e il ripescaggio di Répaci e
Zappone. Sotto il vessillo, se non le insegne, di Pirandello, dello “scomporre,
disordinare, discordare” con cui il narratore e drammaturgo siciliano ha
“aperto” il Novecento. Del resto, è al Sud come al Nord: “Si scrive soprattutto
per se stessi. Per imparare la vita e la morte scrivendo degli altri”. Un
saggio, una raccolta, non pessimisti, ma malinconici sì – chiude Foscolo: “E
avea sul volto il pallore della morte e la speranza”.
Il
critico è un mecenate
S’incontra molto, guardando il mondo da sotto, Pirandello, uno dei pochi del Novecento in precedenza trascurati dal critico.
Sciascia e Lampedusa controvoglia, per completezza. Molto D’Arrigo. E i
coetanei compagni Bonaviri, Strati, il fratello maggiore, compagno di studi e dell’avventura in
Italia, anche La Cava, maggiore dei tre ma altrettanto compagnone, ai quali sono dedicati oltre alle avvolgenti letture
anche medaglioni personali, di vita e di avventure letterarie – modeste, ma la
letteratura è modesta. Corrado Alvaro, certo, di cui Pedullà riproduce la lunga
introduzione premessa al volumone Bompiani degli “Scritti dispersi”. E sempre gli
autori amati e già lungamente e variamente analizzati: Svevo, Palazzeschi,
Gadda, Savinio, Bontempelli. Si fa perdonare anche “Pizzuto”, dopo l’ennesima
trattazione: un maestro più che un narratore, “fu suo vanto non avere usato due
volte la stessa parola con lo stesso significato”. Con gli altri nomi d’obbligo:
Vittorini, Brancati, Flaiano.
I più naturalmente scorrono in brevi note: Mazzaglia, Bufalino, Camilleri, Scotellaro, Pierro, La Capria – di tanti napoletani solo Rea viene approfondito,
Domenico. Mancanze incoraggianti, in qualche modo: il Sud è più grande di un
libro, di quanto un critico possa abbracciare. La parte finale replica alcune
delle recensioni che Pedullà ha sparso nei giornali. Con l’aggiunta di veloci
schede su nuovi e nuovissimi, Alajmo, Saviano, Lagioia – anche qui mancano i
napoletani eccetto uno: Starnone, De Luca, “Ferrante”, Pascale, Piccolo, et al..
Un libro d’autore, uno che dialoga e
duella con i suoi scrittori. Portato alla scoprimento o rovesciamento - allo
sberleffo e più al paradosso. “È stato un grande secolo il Novecento , anche in
letteratura, pure in Italia”. Con preferenze – la lingua, la scrittura – e rifiuti
– il “civile”, lo “storico”. E un bilancio ancora seminale. I saggi scorrono in forma di frammento, che è
anche un modo d’essere e di raccontare al Sud: epigrammatico, allusivo, complice.
Tutti per qualche verso pregni, Pedullà è scrittore di brio: dell’arguzia, e dell’ironia
non disseccante o humour. La diagnosi di tutte le arti del trivio e del
quadrivio, fino all’osceno. La guerra tra il fatto e l’interpretazione. La perdita
del modello – “un mondo senza Dio è aperto a tutte le correnti d’aria, è
inevitabile”. Pedullà scrive molto – critico militante, giornalista, accademico
– e scrive poco: “conosce” anche lui come il suo vecchio mentore e amico La
Cava, “l’arte del frammento”.
Il
viaggio è lungo nel secolo breve
Un viaggio anche attraverso il Novecento,
l’ennesimo di Pedullà, novecentista anche (ancora) appassionato. Con una punta caustica:
il viaggio è lungo nel secolo breve – l’elenco fa interminabile, di innovatori
e non: “Futuristi, lacerbiani, vociani, rondisti, surrealisti, realisti magici,
ermetici, neoralisti, neoavangardie, nonché pirandelliani”, e i tanti “che
hanno scritto alta poesia, ancorché ortodossa”. E pieno di umori, lampi, squarci,
rivelazioni del visibile. Aperto da Pirandello, dal saggio sull’umorismo, e dal
coevo Pareto dei “residui” e delle “derivazioni”. “Ha vinto la struttura che ordina
di ridere su tutto e su tutti”. Nel quadro metafisico, incerto, del pirandelliano
“scomporre, disordinare, discordare”, che vale per il Sud come per tutta l’espressione
italiana. Un secolo di ricerca e di trasgressione: “Il comico e l’avanguardia
saranno la copia più feconda del Novecento. Hanno generato alcuni suoi figli
maggiori: anzitutto Pirandello, che non piaceva a Serra cui piaceva invece
l’umorista Panzini, e poi Svevo, Palazzeschi, Bontempelli, Savinio, Gadda,
Zavattini, Brancati, Landolfi, Calvino, Pizzuto, nonché Malerba, Bene, Manganelli
e Arbasino”.
Soprattutto stimolante – si legge come uno
di quegli scrittori che Voltaire consiglia di scorrere con la penna in mano. Apodittico
mai, spesso epigrammatico, di quesiti e scorci pregnanti. “Il Sud ha sconfitto
tutti i governi, ma quasi tutti i governi hanno sconfitto il Sud”. “Meglio
l’uovo oggi che la gallina domani” è “l’empirismo del non innocente Sud”. “Il
comico che è anche tragico”. Un florilegio se ne potrebbe estrarre, gustoso. “Da Napoli è scappata la commedia dell’arte e nessuno l’ha ripresa: era una
magra consolazione”. “Il materialismo migliore è quello storico”. “Il
capitalismo ha stravinto, e la sta facendo pagare cara a tutto il mondo” (“Troppo
salati i danni di guerra: ci sta togliendo il welfare”). Aggiogati come siamo a
“un sistema sociale che ora è così potente da diventare invincibile, oltre che
invisibile”.
Il
critico è un signore
Una summa – un repertorio – da duellante. Che all’incontro con l’autore ne studia, carpisce, somatizza ogni tecnica e abilità, più spesso mimandolo. In un corpo a corpo da scrittore a scrittore, più che da sarto a cliente, da professore a materiale, da presentatore a gentile pubblico. Sia da professore, è da credere dalle monografie, che da critico militante. Con un distinto penchant per la scrittura: il progetto e l’innovazione, o la scrittura che pensa alla scrittura – si polemizza spesso contro la “scrittura”, ma da parte di “scrittori della non-scrittura” (Montale, Pasolini), altrimenti è sciatteria. A volte problematico. “I meridionali ridono poco perché hanno paura” non è vero. I meridionali ridono molto, sono i soli ch ancora ridono - troppo? il riso è una forma di difesa. Ma la colpa è qui probabilmente di Freud, che il riso spiega come reazione alla paura, quando cessa - o prima di Freud, insinua Pedullà, di Baudelaire, che però non rideva per principio, il dandy non ride.
Una summa – un repertorio – da duellante. Che all’incontro con l’autore ne studia, carpisce, somatizza ogni tecnica e abilità, più spesso mimandolo. In un corpo a corpo da scrittore a scrittore, più che da sarto a cliente, da professore a materiale, da presentatore a gentile pubblico. Sia da professore, è da credere dalle monografie, che da critico militante. Con un distinto penchant per la scrittura: il progetto e l’innovazione, o la scrittura che pensa alla scrittura – si polemizza spesso contro la “scrittura”, ma da parte di “scrittori della non-scrittura” (Montale, Pasolini), altrimenti è sciatteria. A volte problematico. “I meridionali ridono poco perché hanno paura” non è vero. I meridionali ridono molto, sono i soli ch ancora ridono - troppo? il riso è una forma di difesa. Ma la colpa è qui probabilmente di Freud, che il riso spiega come reazione alla paura, quando cessa - o prima di Freud, insinua Pedullà, di Baudelaire, che però non rideva per principio, il dandy non ride.
L’ultimo Grande Lettore – forse è qui la
malinconia, in questa constatazione. Testimone sempre partecipe, curioso,
infaticabile. Il critico è un generoso per definizione. Non un saprofita ma un
cultore dell’opera altrui, che contribuisce a far crescere, amare, valorizzare.
Un signore. Si vede meglio oggi, che è una figura assente – dopo duemilacinquecento
anni di “fortune di Omero”, di invenzioni di Omero. Forse perché non c’è
l’autore – la letteratura globale è altra cosa, di classifiche, di vendite, di
rimbombi tra una lingua e un’altra e immediatezza (forse è qui l’ombra lunga
del Novecento, in un Millennio che è un ritorno dell’Ottocento, minimale).
Walter Pedullà, Il mondo visto da sotto, Rubbettino, pp. 638 € 19
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