Sotto il velo niente? La giovanissima
grafica si diverte a passeggiare col hijab
o soggolo, alle domande stupide che le rivolgono: ma ti lavi i capelli? ma cosa
nascondi? ma sei una terrorista? Dice anche che fa intercultura, ma non è
questa intercultura. Fa sorridere, e questo forse è meglio – per un domani
migliore.
Dunque, arriva il giornalismo grafico, dopo
la graphic novel: l’attualità a
fumetti, una cronaca per immagini. Sintetica, speditiva. Ma inevitabilmente d’autore, poiché è disegnata, costruita. Takoua
ben Mohamed ripropone un problema cui dà una soluzione semplice: ognuno si
veste come vuole, anche se il velo crea impicci, a levarlo e metterlo, alla
dogana, eccetera. Ma il hijab è il
segno di un problema – la moda, figurarsi, non lo ha già adottato per questo
inverno-primavera?
L’interculturazione è un problema perché
nessuno è venuto finora in Italia, in Europa, a sfidare gli italiani, gli
europei. I cinesi sono tranquilli, coi loro culti, e i loro matrimoni, mandano i figli a scuola e se la cavano, come tutti gli italiani, i filippini
pure, i vecchi egiziani, i rumeni, e ogni altro ortodosso. Poi s’è intromesso
un islam che si vuole diverso, e va bene. Ma non si accontenta.
C’era un’altra Tunisia, per dire, il
paese originario di Takoua, col velo e senza, e c’è ora questa di Takoua che si
fa un orgoglio del velo. Ma quella era molto migliore, un paese pieno di
speranza – e badava a se stesso, non ce l’aveva con nessuno, anche se usciva
dal colonialismo.
Takoua ben Mohamed, Sotto il velo, Becco Giallo, pp. 107 ill. € 15
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