È il più pubblicato. È il più on demand? La poesia più proposta, forse
per i cento anni della morte, fino a ieri, se non più letta. Se ne pubblicano
tutti i racconti, per bambini e non, in più edizioni, e non solo perché è fuori
diritti - manca giusto Garzanti all’appello, la cui edizione 1960 delle poesie,
voluta da Attilio Bertolucci, invece sarebbe stata indispensabile, quella
presentata da Montale. Lo stesso per le corrispondenze dall’India, e altre
prose sparse. In sintonia col tempo, che
è tornato piccolo piccolo, dell’Italietta, un po’ triste un po’ lagnosa? A
leggerlo, non si direbbe.
L’edizione Feltrinelli si segnala per
l’apparato critico-bibliografico di Luca Lenzini, bibliotecario a Siena, e per
la folgorante introduzione di Pasolini – “in una mattinata, ho riletto tutto
d’un fiato le poesie di Gozzano”. Pasolini ricalca Montale, che non cita,
dell’edizione Garzanti 1960 - l’unico editore che ora trascura Gozzano…. Ma
pazienza. Di entrambi la lettura è del poeta narrativo. Coevo all’Imaginifico D’Annunzio, e
post-verista, ma di suo molto “moderno” in questo, che la poesia fa non più
lirica o evocativa, ma pratica e fattuale, discorsiva. Solo apparentemente
facile e corriva.
Lenzini va più in là. Mette in campo
pure Pirandello. Della raccolta “I colloqui”, “per unanime ammissione il suo
capolavoro”, ripropone anche lui l’anamnesi di Montale, che cita, presentandola
come “romanzo di formazione”. Con
sottofondo di Nietzsche-Schopenhauer, la “tradizione decadente della coppia”.
Senza trascurare i più modesti Paul Bourget e Barrès, epitome del decadentismo.
Compresi Thomas Mann e Puškin per la parodia. Esagerazioni, insomma, nell’altro
senso, della beatificazione. Sereni l’aveva letto perfino in chiave
fenomenologica, nella tesi di laurea con Banfi – nella lettura che di Sereni dà
Laura Barile.
Resta che Gozzano non è più il
“crepuscolare” da manuale, seppure antemarcia – né il poeta per signore.
Pasolini-Montale lo accosta ovviamente a D’Annunzio, ma anche a Leopardi e a
Dante. E – con Serra – a Flaubert, “nella scelta sapiente delle parole”.
Montale a tutti questi aveva aggiunto Puccini (il romanzo nel melodramma, il
romanzo cantato) e Ariosto. Attilio Bertolucci e Sereni, molto secondo
Novecento, lo leggevano come un mentore e un compagno di strada. Lenzini, con
innumerevoli puntute annotazioni verso per verso, parola per parola, più di
quelle di Sanguineti, curatore dell’edizione 1973, che Einaudi riedita, lo
accosta per echi e calchi al mondo tutto – anche a Virginia Woolf, anche alla
“Ricerca”…: uno scrittore delineando da distopia borgesiana, del ridiciamo il
già detto. Mentre si fa leggere, semplice. E non per le frasi famose – “Non amo
che la rosa che non colsi”, et similia.
Gozzano non era il doganiere Rousseau
della poesia, un poeta della domenica. Non un dilettante, né un filone di
signore insoddisfatte e di sartine facili. È poeta di cose viste, vissute o
immaginate, ma curato. Di rime fitte, virtuosistiche ma non necessariamente
ingegnose – ne “Il responso” si inseguono a metà verso, un’esibizione di
bravura non sgradevole. Di versi e situazioni per più aspetti memorabili –
melodici, cantanti, sorprendenti, epigrammatici. La “Signorina Domestica” (“La
signorina Felicita” rifinisce a lungo, per un effetto di “tenuità volutamente
dimessa (benché a rima triplice)”. È anzi un traghettatore di livello tra
l’Ottocento e il Novecento, che contiene quasi tutto, fino a Quasimodo e Luzi e
compreso Pasolini – con l’eccezione di Ungaretti. Compresi, per molti aspetti,
i suoi nemici dichiarati: il coetaneo
Saba, 1883, e i quasi coetanei Palazzeschi, 1885, e Cardarelli, 1987. Di
linguaggio libero, per esempio sul sesso – a Ceylon, nell’albergo inglese dove “convengono
i vizi di tutto il mondo”, cogita “poesie atroci”, di cui ha scritto “Ketty” e
ha lasciato titoli del tipo “In anum libidinosam”. La quarta di copertina della
vecchia edizione Garzanti, che sa di Bertolucci, ne fa un precursore: “Gozzano
inaugura, non solo cronologicamente, con la sua personalità intensa e
solitaria, la storia della poesia italiana contemporanea”.
Poeta umbratile, si dice – gli
stereotipi si inseguono su questo poeta, che pure è morto di pochi anni, e
tutti molto visibili, testimoniati da lui stesso e da altri, quasi esibiti,
conoscibile quindi più di ogni altro. Molto biedermeier,
invece, si direbbe, volendo collocarlo in cornice, un riferimento meglio
aggettivale che umbratile. È a quell’epoca che Gozzano rinvia, che per la
verità umbratile non era, e anzi piuttosto sfrontato, ma sì chiuso, anche lui
con le tendine alle finestre. Senza filiazioni, né dirette né indirette - biedermeier viene un secolo (quasi)
prima, in tutt’altro mondo: per germinazione però dallo stesso ambiente-ceppo,
delle “buone cose di pessimo gusto”. A proposito delle sue “poesie più sicure”
Montale evoca “la perfezione del quadretto, della stampa antica. È un miracolo
che non cadano nell’oleografico”. Ma non vecchio per questo né polveroso. Non,
evidentemente, oggi per il lettore di poesia.
E il coetaneo Kafka? La stessa malattia,
la stessa incapacità – risentita, sofferta - di amare, l’ossessione della
donna, e la colpa (l’ossessione) di una incapacità di amare, cioè di amare una
donna. Kafka che Max Brod e il biografo Stach dicono “tormentato” dal sesso, nonché – Stach – “incessante
donnaiolo”. L’amore ridotto nei “Colloqui” a n prima (“il giovanile errore”) e
a un dopo (“reduce dall’Amore”), nel mezzo ponendo la Morte. Di sé lamentando
con Serra “arida selvatichezza” e “spaventosa insensibilità”. Senza
l’imputazione della colpa al padre e al mondo, che però affiora altrettanto
ossessiva e ripetuta. E senza il “riconoscimento”, naturalmente: Gozzano morì
che era famoso, Kafka sconosciuto. L’alter ego di Gozzano, “Totò Merùmeni”,
maccheronico per heautontimorùmenos,
è il “punitore di se stesso”. Convivere con la morte, con la malattia mortale,
è questa l’origine del disagio, del senso di inadeguatezza? Comune è pure la
passione entomologica. E per le scienze in genere, l’esattezza – ad Amalia
Guglielminetti annuncia un libro di
lettere non spedite, in materia di Fisica, Astronomia, Meccanica – quelle sulle
farfalle, le “epistole entomologiche” con quel titolo, le scrive. Un Kafka che
non avuto il suo Canetti – neppure un Max Brod gesuitico.
Kafka non c’entra naturalmente. Ma viene
buono per dire che Gozzano non era niente. E anche per sottolineare il peso di
una condizione sociale comune, seppure in climi e società differenti. Che è la
frammentazione familiare della vita sociale, in una col diffondersi della
“condizione borghese”, di reddito e mentalità, della piccola o minuta borghesia
dei commerci e delle professioni - che fu all’origine del biedermeier tedesco.
Il poeta vittima di se stesso – della
salute, delle amicizie e i pettegolezzi, di poetiche esauste, e di una critica
distratta? Leggendolo senza – i selfie,
le “vite”, gli esegeti – è un altro. Saldo su un bacino di riferimenti vasti e
appropriati (nei due sensi, anche posseduti), e applicato, molto, ingegnoso
(costruito) e inventivo (“spontaneo”) insieme. Con una messe di esiti felici al
lettore, tanto più in riguardo all’età anagrafica, morì di 33 anni, e alla
salute cattiva. I temi anche sono vivi: la crudeltà, l’abbandono della natura,
l’alibi della storia, la mésalliance, la fede impossibile (Gozzano muore con
gli anni di Cristo, che spesso ha evocato…). E il modo: la frase breve, “bassa”
(prosastica), ma piena di ritmi e sonorità – mai “scritti” (siamo tutti poeti),
coerenti sempre e inventivi (sorprendenti) spesso. Vittima semmai delle
avanguardie (Palazzeschi), e dei coetanei che hanno avuto lunga vita, Saba,
Cardarelli - non di Bontempelli (maggiore di cinque anni), non di Marinetti
(maggiore di sette), col quale collaborava prima del manifesto, al tempo di
“Poesia”, la rivista. Di se stesso ben conscio, poiché si programma in uno dei
primi componimenti, “L’altro”: rimproverando a Dio di averlo portato in vita,
gli dà atto che “invece di farmi gozzano\ un po’ scimunito, ma greggio,\ farmi
gabriel dannunziano\ sarebbe stato ben peggio” – e poi gli chiede di conservare
“questo mio stile che pare\ lo stile di uno scolare\ corretto un po’ da una
serva”.
Contemporaneo, si può dire. Non nel
ridicolo che in “Nonna Felicita” pone sul “Giordanello” di “Caro mio ben”,
canzone molto postmoderna, ma per il resto sì. Quello che (non) dice di se
stesso nel suo doppio, “Totò Merùmeni”, vale comunque per le generazioni del
Millennio: “Totò ha venticinque anni, tempra sdegnosa,\ molta cultura e gusto
in opere d’inchiostro,\ scarso cervello, scarsa morale, spaventosa\ chiaroveggenza: è il vero figlio del tempo
nostro”. Egualmente tragico sotto la disinvoltura. E disinvolto: autore di
almeno due plagi riconosciuti, di Maeterlinck e di un Giuseppe De Paoli (che
dichiarerà di avere “venduti” i suoi versi), nonché di avrie appropriazioni
nelle sue “corrispondenze”, dall’India e da altrove, da Loti, De Gubernatis,
Mantegazza e altri viaggiatori prima di lui.
Tutte le edizioni hanno le tre raccolte
canoniche, “La via del rifugio”, “I colloqui”, “Farfalle”. La Feltrinelli ha una
silloge della prima e della terza raccolta, ma arricchite di poesie sparse,
raccolte in due gruppi, 1901-1907 e 1908-1916. Con una scelta di prose e di
lettere - che lo stesso curatore dice però “povere”. Tre anche le raccolte di
prosa, di cui però solo una, “Verso la cuna del mondo. Viaggio in India”, messa
assieme da Gozzano – con i molti prestiti da chi l’aveva preceduto. Le altre
due, “L’altare del passato” e “L’ultima traccia”, postume, furono assemblate
dall’editore Hoepli per sfruttare la popolarità del nome, la cura ascrivendone
al fratello Renato.
Guido Gozzano, Poesie e prose, Feltrinelli, pp. 480 € 12
Le
poesie,
Einaudi, pp. VII-654, 2 voll. € 22
Tutte
le poesie,
Oscar Classici, pp. LXX-890 € 22
Poesie, Bur,
pp. 456 € 11
Opere, Utet,
remainders, pp. 704 € 6,45
La
signorina Felicita e le poesie dei “Colloqui”, Sellerio, pp. 124 € 7,75
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