domenica 1 gennaio 2017

Nostro padre Gozzano

È il più pubblicato. È il più on demand? La poesia più proposta, forse per i cento anni della morte, fino a ieri, se non più letta. Se ne pubblicano tutti i racconti, per bambini e non, in più edizioni, e non solo perché è fuori diritti - manca giusto Garzanti all’appello, la cui edizione 1960 delle poesie, voluta da Attilio Bertolucci, invece sarebbe stata indispensabile, quella presentata da Montale. Lo stesso per le corrispondenze dall’India, e altre prose sparse.  In sintonia col tempo, che è tornato piccolo piccolo, dell’Italietta, un po’ triste un po’ lagnosa? A leggerlo, non si direbbe.
L’edizione Feltrinelli si segnala per l’apparato critico-bibliografico di Luca Lenzini, bibliotecario a Siena, e per la folgorante introduzione di Pasolini – “in una mattinata, ho riletto tutto d’un fiato le poesie di Gozzano”. Pasolini ricalca Montale, che non cita, dell’edizione Garzanti 1960 - l’unico editore che ora trascura Gozzano…. Ma pazienza. Di entrambi la lettura è del poeta narrativo.  Coevo all’Imaginifico D’Annunzio, e post-verista, ma di suo molto “moderno” in questo, che la poesia fa non più lirica o evocativa, ma pratica e fattuale, discorsiva. Solo apparentemente facile e corriva.
Lenzini va più in là. Mette in campo pure Pirandello. Della raccolta “I colloqui”, “per unanime ammissione il suo capolavoro”, ripropone anche lui l’anamnesi di Montale, che cita, presentandola come “romanzo di formazione”.  Con sottofondo di Nietzsche-Schopenhauer, la “tradizione decadente della coppia”. Senza trascurare i più modesti Paul Bourget e Barrès, epitome del decadentismo. Compresi Thomas Mann e Puškin per la parodia. Esagerazioni, insomma, nell’altro senso, della beatificazione. Sereni l’aveva letto perfino in chiave fenomenologica, nella tesi di laurea con Banfi – nella lettura che di Sereni dà Laura Barile.
Resta che Gozzano non è più il “crepuscolare” da manuale, seppure antemarcia – né il poeta per signore. Pasolini-Montale lo accosta ovviamente a D’Annunzio, ma anche a Leopardi e a Dante. E – con Serra – a Flaubert, “nella scelta sapiente delle parole”. Montale a tutti questi aveva aggiunto Puccini (il romanzo nel melodramma, il romanzo cantato) e Ariosto. Attilio Bertolucci e Sereni, molto secondo Novecento, lo leggevano come un mentore e un compagno di strada. Lenzini, con innumerevoli puntute annotazioni verso per verso, parola per parola, più di quelle di Sanguineti, curatore dell’edizione 1973, che Einaudi riedita, lo accosta per echi e calchi al mondo tutto – anche a Virginia Woolf, anche alla “Ricerca”…: uno scrittore delineando da distopia borgesiana, del ridiciamo il già detto. Mentre si fa leggere, semplice. E non per le frasi famose – “Non amo che la rosa che non colsi”, et similia.
Gozzano non era il doganiere Rousseau della poesia, un poeta della domenica. Non un dilettante, né un filone di signore insoddisfatte e di sartine facili. È poeta di cose viste, vissute o immaginate, ma curato. Di rime fitte, virtuosistiche ma non necessariamente ingegnose – ne “Il responso” si inseguono a metà verso, un’esibizione di bravura non sgradevole. Di versi e situazioni per più aspetti memorabili – melodici, cantanti, sorprendenti, epigrammatici. La “Signorina Domestica” (“La signorina Felicita” rifinisce a lungo, per un effetto di “tenuità volutamente dimessa (benché a rima triplice)”. È anzi un traghettatore di livello tra l’Ottocento e il Novecento, che contiene quasi tutto, fino a Quasimodo e Luzi e compreso Pasolini – con l’eccezione di Ungaretti. Compresi, per molti aspetti, i suoi nemici dichiarati:  il coetaneo Saba, 1883, e i quasi coetanei Palazzeschi, 1885, e Cardarelli, 1987. Di linguaggio libero, per esempio sul sesso – a Ceylon, nell’albergo inglese dove “convengono i vizi di tutto il mondo”, cogita “poesie atroci”, di cui ha scritto “Ketty” e ha lasciato titoli del tipo “In anum libidinosam”. La quarta di copertina della vecchia edizione Garzanti, che sa di Bertolucci, ne fa un precursore: “Gozzano inaugura, non solo cronologicamente, con la sua personalità intensa e solitaria, la storia della poesia italiana contemporanea”.
Poeta umbratile, si dice – gli stereotipi si inseguono su questo poeta, che pure è morto di pochi anni, e tutti molto visibili, testimoniati da lui stesso e da altri, quasi esibiti, conoscibile quindi più di ogni altro. Molto biedermeier, invece, si direbbe, volendo collocarlo in cornice, un riferimento meglio aggettivale che umbratile. È a quell’epoca che Gozzano rinvia, che per la verità umbratile non era, e anzi piuttosto sfrontato, ma sì chiuso, anche lui con le tendine alle finestre. Senza filiazioni, né dirette né indirette - biedermeier viene un secolo (quasi) prima, in tutt’altro mondo: per germinazione però dallo stesso ambiente-ceppo, delle “buone cose di pessimo gusto”. A proposito delle sue “poesie più sicure” Montale evoca “la perfezione del quadretto, della stampa antica. È un miracolo che non cadano nell’oleografico”. Ma non vecchio per questo né polveroso. Non, evidentemente, oggi per il lettore di poesia.
E il coetaneo Kafka? La stessa malattia, la stessa incapacità – risentita, sofferta - di amare, l’ossessione della donna, e la colpa (l’ossessione) di una incapacità di amare, cioè di amare una donna. Kafka che Max Brod e il biografo Stach dicono tormentato” dal sesso, nonché – Stach – “incessante donnaiolo”. L’amore ridotto nei “Colloqui” a n prima (“il giovanile errore”) e a un dopo (“reduce dall’Amore”), nel mezzo ponendo la Morte. Di sé lamentando con Serra “arida selvatichezza” e “spaventosa insensibilità”. Senza l’imputazione della colpa al padre e al mondo, che però affiora altrettanto ossessiva e ripetuta. E senza il “riconoscimento”, naturalmente: Gozzano morì che era famoso, Kafka sconosciuto. L’alter ego di Gozzano, “Totò Merùmeni”, maccheronico per heautontimorùmenos, è il “punitore di se stesso”. Convivere con la morte, con la malattia mortale, è questa l’origine del disagio, del senso di inadeguatezza? Comune è pure la passione entomologica. E per le scienze in genere, l’esattezza – ad Amalia Guglielminetti annuncia un  libro di lettere non spedite, in materia di Fisica, Astronomia, Meccanica – quelle sulle farfalle, le “epistole entomologiche” con quel titolo, le scrive. Un Kafka che non avuto il suo Canetti – neppure un Max Brod gesuitico.
Kafka non c’entra naturalmente. Ma viene buono per dire che Gozzano non era niente. E anche per sottolineare il peso di una condizione sociale comune, seppure in climi e società differenti. Che è la frammentazione familiare della vita sociale, in una col diffondersi della “condizione borghese”, di reddito e mentalità, della piccola o minuta borghesia dei commerci e delle professioni - che fu all’origine del biedermeier tedesco.
Il poeta vittima di se stesso – della salute, delle amicizie e i pettegolezzi, di poetiche esauste, e di una critica distratta? Leggendolo senza – i selfie, le “vite”, gli esegeti – è un altro. Saldo su un bacino di riferimenti vasti e appropriati (nei due sensi, anche posseduti), e applicato, molto, ingegnoso (costruito) e inventivo (“spontaneo”) insieme. Con una messe di esiti felici al lettore, tanto più in riguardo all’età anagrafica, morì di 33 anni, e alla salute cattiva. I temi anche sono vivi: la crudeltà, l’abbandono della natura, l’alibi della storia, la mésalliance, la fede impossibile (Gozzano muore con gli anni di Cristo, che spesso ha evocato…). E il modo: la frase breve, “bassa” (prosastica), ma piena di ritmi e sonorità – mai “scritti” (siamo tutti poeti), coerenti sempre e inventivi (sorprendenti) spesso. Vittima semmai delle avanguardie (Palazzeschi), e dei coetanei che hanno avuto lunga vita, Saba, Cardarelli - non di Bontempelli (maggiore di cinque anni), non di Marinetti (maggiore di sette), col quale collaborava prima del manifesto, al tempo di “Poesia”, la rivista. Di se stesso ben conscio, poiché si programma in uno dei primi componimenti, “L’altro”: rimproverando a Dio di averlo portato in vita, gli dà atto che “invece di farmi gozzano\ un po’ scimunito, ma greggio,\ farmi gabriel dannunziano\ sarebbe stato ben peggio” – e poi gli chiede di conservare “questo mio stile che pare\ lo stile di uno scolare\ corretto un po’ da una serva”.
Contemporaneo, si può dire. Non nel ridicolo che in “Nonna Felicita” pone sul “Giordanello” di “Caro mio ben”, canzone molto postmoderna, ma per il resto sì. Quello che (non) dice di se stesso nel suo doppio, “Totò Merùmeni”, vale comunque per le generazioni del Millennio: “Totò ha venticinque anni, tempra sdegnosa,\ molta cultura e gusto in opere d’inchiostro,\ scarso cervello, scarsa morale, spaventosa\  chiaroveggenza: è il vero figlio del tempo nostro”. Egualmente tragico sotto la disinvoltura. E disinvolto: autore di almeno due plagi riconosciuti, di Maeterlinck e di un Giuseppe De Paoli (che dichiarerà di avere “venduti” i suoi versi), nonché di avrie appropriazioni nelle sue “corrispondenze”, dall’India e da altrove, da Loti, De Gubernatis, Mantegazza e altri viaggiatori prima di lui.

Tutte le edizioni hanno le tre raccolte canoniche, “La via del rifugio”, “I colloqui”, “Farfalle”. La Feltrinelli ha una silloge della prima e della terza raccolta, ma arricchite di poesie sparse, raccolte in due gruppi, 1901-1907 e 1908-1916. Con una scelta di prose e di lettere - che lo stesso curatore dice però “povere”. Tre anche le raccolte di prosa, di cui però solo una, “Verso la cuna del mondo. Viaggio in India”, messa assieme da Gozzano – con i molti prestiti da chi l’aveva preceduto. Le altre due, “L’altare del passato” e “L’ultima traccia”, postume, furono assemblate dall’editore Hoepli per sfruttare la popolarità del nome, la cura ascrivendone al fratello Renato. 
 Guido Gozzano, Poesie e prose, Feltrinelli, pp. 480 € 12
Le poesie, Einaudi, pp. VII-654, 2 voll. € 22
Tutte le poesie, Oscar Classici, pp. LXX-890 € 22
Poesie, Bur, pp. 456 € 11
Opere, Utet, remainders, pp. 704 € 6,45
La signorina Felicita e le poesie dei “Colloqui”, Sellerio, pp. 124 € 7,75

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