C’è una ragione nella violenza della Vigilanza
Bce contro le banche, e ora in particolare contro le banche italiane. Alle
quali impone ricapitalizzazioni a cascata – son le più capitalizzate d’Europa –
che le indeboliscono invece di rafforzarle. Un circolo vizioso frutto non di
incompetenza ma di una strategia. Esercitata dalla responsabile francese,
Danièle Nouy, col supporto della Bundesbank – anche in chiave bancaria vige l’asse
franco-tedesco.
La ragione è in parte nota. La Bundesbank ha ricapitalizzato
le sue banche, le più a rischio di tutte, per prima. Con la benevola disattenzione
degli altri paesi membri verso una pratica per molti aspetti concorrenziale. Per
250 miliardi, dieci volte le ricapitalizzazioni italiane.
La Francia c’entra nella violenza della
Vigilanza Bce perché l’ha esercitata per prima. Nel quadro della politica di
privilegio ai grandi interessi (molto visibili ora anche in Italia) che
concorre per buona a parte alla disistima record coagulata dal presidente
socialista Hollande. Nella seconda fase della crisi, dal 2011, la politica francese
è stata di moltiplicare i fallimenti, per ripulire i bilanci delle banche dei crediti
incagliati o non performing loans. La
media dei fallimenti annui è stata di 60 mila imprese, piccole e piccolissime.
Il doppio che in Italia, a parità di popolazione.
Nei primi anni della crisi, rileva la Deutsche
Bank, Francia e Germania hanno seguito
politiche antitetiche. La Germania ha ridotto il credito, sia alle famiglie che
alle imprese, rispettivamente di un 14 e di un 4 per cento. La Francia invece
ha fatto in un primo tempo come l’Italia, ha accresciuto il credito in funzione
anticiclica, per compensare le politiche di bilancio restrittive. L’Italia lo
ha aumentato di un 7 e di un 14 per cento, la Francia di più, del 17 alle famiglie
e del 24 alle imprese.
Poi è intervenuta la rigida selezione. Per cui
gli npl sono passati in questi cinque
anni in Italia da 200 a 320 miliardi. Mentre la Francia li ha tenuti dimezzati,
a 150 miliardi.
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