“Collodi”,
al secolo Carlo Lorenzini, era un altro: l’inventore fortunato del burattino
Pinocchio è
uno
scrittore. Traduce i racconti francesi di fate, di Perrault, Madame d’Aulnoy e
Madame Le Prince de Beaumont, due terzi del volume, con minimi adattamenti –
“leggerissime varianti, sia di vocabolo, sia di andatura di periodo, di modi di
dire”. Ma abbastanza per dare loro consistenza autonoma, per “ri-crearli”. Siamo
nel 1876, poi verrà “Giannettino”, poi “Pinocchio”. Sono traduzioni di
formazione, ma con piglio favolistico solido.
La
raccolta si completa con una diecina di “storie allegre”, pubblicate sul “Giornale
per i bambini”, compreso il romanzetto “Pipi, o lo scimmiottino color di rosa”.
Storie non proprio allegre. Qualcuna, “La festa di Natale”, dickensiana.
I
racconti seguivano sul “Giornale per i bambini”, a partire dal 1883, le
avventure di Pinocchio, che Collodi vi aveva pubblicato a puntate, a partire
dal 7 luglio 1881. Il successo di Pinocchio gli aveva procurato anche la
direzione del periodico, fino ad allora diretto da Ferdinando Martini, il fondatore
del “Fanfulla della domenica” e della “Domenica Letteraria”, deputato di
innumeri legislature, senatore, ministro dell’Istruzione Pubblica nel primo
governo Giolitti, governatore dell’Eritrea dopo Adua, ministro delle Colonie
durante la grande guerra, firmatario nel 1925 del “Manifesto degli
intellettuali fascisti”, grande massone.
Le “Storie
allegre” non ripetono il successo di Pinocchio. Ma “Pipi” è notevole: è nel
1883
un sequel parodia di “Pinocchio”. C’è anche, “L’omino
anticipato”, la canzonatura anticipata della pedagogia oggi prevalente, che vuole
il bambino un adulto.
Carlo Collodi, I racconti delle fate. Storie allegre, Giunti, pp. 544, il., ril. €
30
Carlo Collodi, Storie allegre, Barbès, pp. 175 € 8
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