Allegoria – “La gente
oggi non sa cosa sia l’allegoria e invece ne consuma a tutto spiano
immagazzinando la pubblicità” – Paolo Poli.
Conservazione – “È uno dei grandi
misteri dell’anima quest’affezionarsi alle cose più che agli uomini, i quali d’altra parte, durano meno ancora di quelle. L’attaccamento a luoghi, a
reliquie, a tradizioni, a ricordi, non è che una forma coltivata, una forma
voluta, secondo la nostra maggiore chiaroveggenza umana, dall’universale istinto
di conservazione” – Guido Gozzano.
Essere – È sempre un
verbo, benché sostantivo: il “fondo della cosa” resta inafferrabile. Allo stesso
modo che il tao cinese, il dharma indù, sostantivi ma indicativi.
Non cose ma punti di interrogazione – vie, percorsi, metodologie.
Gelosia – In forma endemica, applicata non
soltanto al rapporto di coppia, è una perdita del sé, della capacità critica – nella
sfera sociale e politica è il complottismo. Di capire il mondo e quindi adattarvisi.
Perdente inevitabilmente poiché non ci si può mettere contro il mondo.
Nasce come iter e
serbatoio totalizzante, il completamento del processo conoscitivo e razionale,
mentre ne è la negazione o svuotamento.
Abbatte le difese,
critiche e intuitive. Se tutto turba, non c’è
più filtro allo sguardo altrui. Che diventa odioso-distruttivo. Sotto le
apparenze di una soggettività dominante, totalizzante, se ne vive lo
svuotamento.
“La passione più intelligente e ciononostante la massima sciocchezza” di Nietzsche – ma è poco frequentata in filosofia.
“La passione più intelligente e ciononostante la massima sciocchezza” di Nietzsche – ma è poco frequentata in filosofia.
Nell’antichità e in letteratura
è distruttiva, di vite, speranze, volti . Femminile dapprima, curiosamente,
Era, Medea, la Ermione dell’“Andromaca” di Euripide, la Deianira delle “Trachinie”
di Sofocle, poi maschile. La psicopatologia l’assegna ai deliri. Ma della specie
più sottile, più insidiosa. Proust ci ha scritto sopra un migliaio di pagine, e
mai arriva a una definizione.
Morte – Ricorre una sola volta, ma in
vita molte volte. Con resurrezioni e non. Rilke
nelle lettere parla del giovane Malte come di un essere alle prese con una
prova alla quale dovrà soccombere. Ma qual è la prova di Malte Laurids Brigge?
Certo non liberarsi di Lou Andreas-Salomé, quarantenne, per impalmare Clara
Westhoff, Rilke non è volgare. Il libro non è scritto se non al prezzo, per
l’autore, di una privazione di sé durata dieci anni. Rilke dice soltanto, del
personaggio e di sé: “Nella disperazione conseguente, Malte è giunto dietro a
tutti, in una certa misura dietro la morte, al punto che niente mi è più
possibile, neppure morire”.
I
santi, i mistici, tutti l’hanno detto un giorno: “Il mio cuore è arido”. Non la
morte fisica, ma sì la morte.
Il
tedesco – Novalis – ha i “rapimenti della morte”, le “Todes Entzuckungen”.
Questa radice “ent-” affascina del tedesco, “essere” e insieme “contro”, di cui
non c’è l’equivalente in traduzione.
Novalis
la morte tratta romanticamente, come economia di vita: “Io vivo di giorno\ con fede e coraggio,\ e muoio la notte...”.
Molto patetico, di più nelle rime e i ritmi originali, con la voglia di dissoluzione,
le notti, le lune, le fedi disfatte. Per il riserbo dell’intellettuale, il
poeta moderno, che fa le parodie. Ma il fatto c’è: la morte appare e scompare.
Pornografia – È rivoluzionaria, si
dice periodicamente. E anche ora che traborda da ogni piega del linguaggio e
dell’immagine, in conversazione, sui media e sul web. Si vorrebbe poter dire.
Un linguaggio che assuma gli atti dell’unica – forse - quotidianità non legata all’omerica krateré ananke, la dura necessità, è impresa benemerita oltre che attraente. Ma, se questo progetto c’è, non se ne vedono esiti: la filosofia se ne disinteressa, e non perché è - era - tabù.
Un linguaggio che assuma gli atti dell’unica – forse - quotidianità non legata all’omerica krateré ananke, la dura necessità, è impresa benemerita oltre che attraente. Ma, se questo progetto c’è, non se ne vedono esiti: la filosofia se ne disinteressa, e non perché è - era - tabù.
Non è un tema, è solo un aspetto della prostituzione,
dell’uso dei corpi. A scopo di lucro, cioè senza la sacralità che si accompagnava
alla prostituzione come rito. L’uso dei corpi può essere bello, cioè attraente,
E in questa forma è anche entrato nell’estetica (versi, immagini, storie), ma
sempre settorialmente, quasi un artigianato, non legato a un’ontologia o a una
metafisica. Parte della più vasta e sfuggente ontologia e metafisica del corpo. Ogni atto è sacrale, ma nelle forme della pornografia è un
mestiere, un artigianato.
È un esorcismo della violenza domestica
o di coppia, si dice anche. Ma questo è dubbio: potrebbe essere uno stimolo.
Riso – Freud lo fa nascere quando
finisce la paura - come Baudelaire. Anche Umberto Eco nel “Nome della rosa”: il vecchio frate
Jorje da Burgos, che sarà assassino e si appresta a sopprimere la parte della
“Poetica” che Aristotele aveva dedicato al riso, lo fa perché il riso cancella
la paura, ed è sulla paura che si basa il timore di Dio su cui i frati
vigilano, e la fede stessa.
O non piuttosto viene a
difesa, per sconfiggere la paura? Oppure viene come in Pirandello, che lo
assume (disinnesca) nell’umorismo, come una forma sottilmente critica. Di un “oggetto”
imprecisato che però tutti sanno esserci, un grumo, una storia, un modo.
Non si ride degli altri
ma sempre e solo di se stessi. Per un senso di superiorità che è scongiuro
dell’insicurezza. Detto del riso come
forma dell’umorismo, della distanziazione. Perché si ride anche per un senso di
gioia, di letizia. Di compartecipazione – col tempo, l’aria, le cose, le
parole, le persone. Di benessere spirituale coniugato con - espresso da? – la
forma fisica: salute, temperamento, ambiente (temperatura, visione, luce,
suoni…).
Tempo – L’animale ne ha percezione? Si
difende dalla morte, fugge, ma nulla predispone contro il tempo che lo consuma. Il tempo è la
paura della morte – è un metronomo, che batte la morte.
Le
stelle, ha ragione Kant, ci liberano. Come i fiori, che fioriscono e muoiono. In
altri orizzonti di passaggio, nelle stelle, nei fiori, nella durata cioè e
nell’effimero, lo stesso tempo e lo stesso mondo si caricano di ebrietà. A nessuno
piacerà durare in eterno, come non piace finire in poche ore, al modo delle
stelle e dei fiori, e tuttavia non se ne ricava l’accentuazione della paura che
incute il tempo terribile. Al contrario, è come se l’effimero e l’eterno si
sgravassero di questo sgradevole incumbent:
liberano dalla pura della morte, che è scadenza, a tempo.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento