Classico - È opera del tempo, si sa. La
distanza e la patina, che sono funzioni del tempo e dello spazio (Spengler),
alimentano, autoalimentano, la fantasia. “Il tempo – amico di Cervantes - ha
saputo correggergli le bozze”, può dire Borges di espressioni del “Chisciotte”
nient’altro che banali.
Il classicismo è l’antitesi
del classico, l’abuso dei modelli, il manierismo. Da ultimo, esemplare, col
postmoderno. Classificato anche, teorizzato, in tal senso, da Eco, che lo ha
praticato in abbondanza, nei tanti “romanzi”. Tutti di testa, e tutti di
calchi. Col solo contrappunto dell’ironia, che è certo parte del postmoderno,
ma dissecca e non nutre.
Critico – È un prodigo: un mecenate e un
evergeta. È “gli occhi della storia” di Menéndez y Pelayo (“Se non si leggono i
versi con gli occhi della storia, saranno ben pochi i versi che sopravviveranno”),
dice Borges, ma “questi occhi della storia capaci di resurrezione cosa se non
un sistema di compassioni, di generosità o semplicemente di cortesie?”
Il critico è condannato
a leggere più che a rileggere – se condannato è la parola giusta. All’opposto
c’è Citati che invece fa professione di rileggere e non di leggere: non vuole?
non ha interesse? non ha gusto? Non è una diminutio.
Ma il critico è condannato alla generosità, altrimenti è un saprofita.
Colore – Di che colore
sono i colori? È problema aperto. Il bianco e il nero che non si trovano in
natura. Molte delle ninfee, anche blu, di Monet.
Lo
scientismo voleva provare anche di che colore sono i suoni. Ma un tre secoli
sono passati senza esito.
Compassione – È il fondamento
del senso tragico della vita, che è l’essenza umana – così la vuole Ceronetti,
lo scrittore: “Il senso tragico esiste dovunque c’è uomo e piangere sull’uomo è
giustificato”. Anzi, “neppure ad una sventurata memoria da cui il senso, la
percezione del tragico sono spariti, si può negare una forte, una disperata compassione”. Di
più: “Il bisogno di essere compatiti non viene meno neppure all’agnello mentre è divorato”. Ebbe “il
bisogno d’implorare i soccorsi di un Dio onnipotente” anche Spinoza nelle emottisi,
dopo averli negati nel’“Etica”.
È
il backup e lo zoccolo duro di Schopenhauer, che personalmente non ne aveva e
comunque non la praticava, della sua appropriazione del buddismo, dove la
compassione fa figurare la virtù suprema.
Dio – È un carcere?
Anche, come non pensarci? Quevedo lo rileva in uno dei sonetti a Lisi, il XXXI
del libro quarto (alla p. 26 dell’edizione italiana dei “Sonetti”), e non è un’agudeza, una trovatina: “Un’anima che ha
avuto un dio per carcere”.
Famiglia – L’istituzione universale
per eccellenza, secondo l’antropologia. Presente in tutte le società umane. In
varie forme – ora, per esempio, nella coppia omosessuale, perfino in forme
parossistiche. Manifestamente legata alla procreazione. In che forma sarà la
famiglia della procreazione eterologa, e di quella per conto terzi, senza padre
e\o senza madre? Dopo aver eliminato gli zii col figlio unico e i cugini.
Fenomenologia – “Il mondo
bisogna pur guardarlo, per poterlo rappresentare: e così guardandolo avviene di
rilevare che esso, in certa misura, ha già rappresentato se medesimo” – Carlo
Emilio Gadda.
Intelligenza- “Certuni mi
domandano con stupore”, riflette lo scrittore Savinio, “come io, uomo
intelligente, tengo dietro a siffatte superstizioni da donnicciola”, alle
storie fantastiche. E risponde: “Credono costoro che l’intelligenza dissipa il
metafisico. Se così fosse, quale uomo intelligente accetterebbe di essere
intelligente?”.
Lettura - È solitaria, certo, specie quella
non condivisa. Anche un piacere solitario, in qualche modo vizioso. Una
terapia. Un ricostituente, in dosi omeopatiche – ma a volte depressivo. Ma non
è un vizio innato, si acquisisce. Per circostanze esteriori. Si è portati alla
lettura nel senso che vi si è sospinti.
Libertà – Ci vuole fede
per averne, per concepirla, e in qualche modo praticarla, comunque inseguirla. L’idea
di una responsabilità individuale. Di un diritto e quindi di un dovere di
libertà. Intralciando il quale, la punibilità interviene.
C’è
un abisso tra il libero arbitrio di Giovanni Pico, o ancora di Erasmo, e
l’impossibile fardello della libertà di Kierkegaard, sotto un cielo dissacrato
dacché Dio s’è ritirato dal mondo.
Luoghi – Condizionano (stimolano, restringono)
la creatività? Si vede in letteratura, di cui si fanno ora degli atlanti. Ogni
autore si può – si poteva prima del globalismo – legare a un luogo. Per il genius loci di Vernon Lee, che non è un
fantasma. È un apparato linguistico e di usi, mentalità, tradizioni che vincola
la personalità. Manzoni, Sciascia, Eduardo, non si saprebbe leggerli legati a luoghi
diversi da quelli di cui hanno scritto.
Diversi sono curiosamente,
meno legati a un ambiente se non sradicati, i Nobel: Fo, Montale Quasimodo.
Anche Hamsun, per esempio, che non è norvegese pur essendolo molto. O Tranströmer
rispetto alla Svezia. C’è anche un universalismo, preponderante sui limiti
originari, anche se non da essi dìsgiunto.
Memoria – “Ho una
memoria devastante, autodistruttiva”, ha notato di sé Lévi-Strauss. Può
esserlo. No, deve esserlo: la memoria è selettiva, altrimenti sarebbe
ingolfata. Quella che è detta cattiva memoria è comunque memoria. Perché, altrimenti,
cos’è la buona memoria? Quella giusta, apologetica. A altrettanto delimitativa –
distruttrice.
Metafora – È il pensare. “Metaforizzare
vuol dire pensare, vuol dire riunire rappresentazioni o idee”, Borges, “L’idioma
degli argentini”, 68. È vero. E il contrario è pure vero: si pensa solo per
metafora?
zeulig@antiit.eu
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