È
Grillo, un comico e un furbo - dovrebbe per primo applicare il tribunale popolare delle bufale di cui vagheggia al suo proprio sito. Ma è anche il web contro il giornalismo, o
viceversa. Un giornalismo selvaggio, cioè, e quello professionale - di gruppo,
controllato, fededegno.
Sono
due mondi separati. Ma faticano a capirlo, sia i volenterosi del web sia i
professionisti dell’informazione. Per comprensibili problemi di ambizione: il dilettante del web ambisce a fare il professionista e lo invidia, il
professionista vorrebbe essere libero si scrivere tutto quello che gli pare come
gli pare, come fa il navigatore solitario. Che però si solidificano in
(piccole) guerre di potere: chi conta di più, chi fa l’opinione, chi decide le
elezioni, etc.?
La guerra è continua perché è senza vincitori. Il web è troppo aperto, fatalmente per la parte limacciosa della
corrente. I media professionali sono troppo chiusi, per gruppi di interesse o di
potere – anche a costo di perdere copie e credibilità, come avviene da alcuni
anni. O meglio: il web vince perché è nuovo e quindi comunque in ascesa, per
piccoli o grandi balzi. I media annaspano, sotto i colpi del web, è vero, ma più
per i loro propri difetti. Le dimissioni di Verdelli alla Rai, contemporanee
alla lite Grillo-media, conferma che il giornalismo è autoreferente – e quindi
perdente di fronte a un sistema aperto come il web. Dalla parte del dimissionario,
il cui piano è intoccabile, e dalla parte del Raiume, l’incrostazione più
autoreferente di tutte. Altrove, senza queste incrostazioni local, la partita è
aperta.
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