Heinrich, nipote del filosofo, figlio dell’amato
e fidato fratello Fritz, è sacerdote. Dello zio ha ricordi solo affettuosi –
come il padre, gli è molto affezionato. E di persona a suo modo devota. Devota
ai genitori, praticanti, dei quali fu sempre figlio riguardoso. Ma anche di
suo. Per il Natale e le altre feste, compresa la consacrazione del nipote
Heinrich, di cui fu parte trepida. E in privato, in famiglia e con gli amici.
In questo senso facilitato dalla zia sua moglie, Elfride, che pure era di
confessione protestante.
Una testimonianza per molti aspetti prevenuta,
di un nipote che idolatra lo zio importante e paterno. Ma senza miscoscerne gli
errori, e anzi anticipando la “scoperta” su cui gli incondizionali si dicono
incappati con i “Quaderni neri”. E non senza argomenti di spessore, biografici e
critici. Questo sito aveva già presentato la sua
memoria all’uscita nel 2011:
Vale riprenderla alla luce delle novità
editoriali – dello Heidegger antisemita.
Un’edizioncina pregevole, con notevole apparato di immagini. Di Messkirch,
il luogo degli Heidegger, altrimenti conosciuta per Pfefferkon, e per il il suo
Maestro senza nome, ottimo pittore. In forma di intervista, con Pierfrancesco
Stagi, che la fa precedere da un’ottima introduzione, corposa e insieme
agevole. Dove la formazione cattolica, e a un certo punto anche la vocazione
sacerdotale, di Heidegger chiama la sua “spina nel fianco”, e insieme la “fonte
viva” della sua riflessione. Per la conoscenza e l’amore delle Scritture, della
Patristica, e di Bernardo di Chiaravalle, della sa “filosofia «monastica»” – di
cui Stagi è peraltro studioso. E per la lettura del protestantesimo come un
“correttivo… un raffinamento” del cattolicesimo – virgolettato che Stagi ricava
dalla corrispondenza con Bultmann. Per la “molteplicità di riferimenti alle
problematiche religiose e del sacro”.
Dal nipote e da Messkirch la conferma che
Heidegegr giovane pensò di farsi benedettino a Beuron. Monastero che tornerà a
visitare almeno una volta l’anno, e del cui coro conservava e ascoltava di
frequente un disco. È del resto autore di una “Fenomenologia della vita
religiosa”, e di un “Fenomenologia e teologia”.
E non sottoscrisse mai il “Kircheaustritt”, la rinuncia alla confessione religiosa
nella quale si è registrati, al battesimo (nel suo caso) o volontariamente – a
fini fiscali, per il prelievo della “decima, del’obolo per il mantenimento delle
chiese. Di sentimento religioso più che di fede - a Beuron era devota tutta la
famiglia Heidegger, soprattutto gli amati genitori, ma anche Martin e Fritz. Ma
non senza effetti. La fede è stata forte, fino alla vocazione: Martin non
diventa gesuita per uno scompenso cardiaco, i gesuiti si vogliono sanissimi. E uscendo
dal collegio gesuita si iscrive a Teologia. Sono radici non senza frutti: Stagi
ha anche qui buon gioco, a dire “la questione dell’essere come questione fondamentale
della filosofia cattolica”.
Stagi segna anche un punto opponendo la
concezione religiosa di Heidegger a quella degli heideggeriani, più o meno, che
della religione e del cristianesimo fanno grande caso ma limitandolo al fatto storico
culturale: un telos storico Vattimo,
un’etica senza carattere redentivo Vitiello, Cacciari, Agamben. Heidegger nega
che il cristianesimo si possa considerare solo un “fenomeno universale della storia
del mondo” e, insieme, che la teologia sia discipina cristiana.
Sulla lettura di Stagi in realtà
concorda anche Vattimo, nella prefazione a “Il giovane Heidegger. Verità e
rivelazione”, dello stesso Stagi: “Non è per nulla stravagante pensare che,
detto in termini molto brutali, Heidegger diventi nazista quando smette di
commentare san Paolo e si mette a commentare Hölderlin”. E ancora: “Con tutte
le cautele possibili, sembra innegabile che lo Heidegger che abbraccia il
nazismo è uno Heidegger che tradisce il proprio distacco polemico dalla
metafisica greca, dunque la sua posizione originaria a favore di san Paolo (letto
con Lutero) e contro san’Agostino”. Anche se, bisogna dire, la “posizione
originaria” di Heidegger è con sant’Agostino – una convergenza specialmente
sottolineata da Bernhard Casper, uno dei maggiori
studiosi di Heidegger, nella raccolta tematica “Heidegger e San Paolo”, curata
da Aniceto Molinaro,
Heinrich Heidegger fa larga parte alla
religiosità della zia Elfride, la moglie del filosofo. Con particolari illuminanti
rispetto ai dati biografici noti. Protestante, Elfride i figli educò nella
confessione luterana, ma non chiusa: erano anni, tra la prima e la seconda
guerra, in cui due ambiti, cattolico e
luterano , si interrogavano e si frequentavano. E fu sempre rispettosa della
religiosità degli Heidegger a Messkirch, presso i quali mandava sempre l’estate suoi due figli, per familiarizzare coi nonni
e i cugini. Il matrimonio di Elfride e Martin fu celebrato dal futuro professore
di Dogmatica Engelbert Krebs in quanto sacerdote cattolico, nel Duomo di
Friburgo, testimone per lo sposo Heinrich Ochsner, il suo primo allievo, che
era stato novizio a Beuron. Martin mandava libri di religione al fratello
Fritz, che ne era appassionato. Al nipote Heinrich per la sua prima messa regalò
l’edizione Migne di sant’Agostino, undici volumi più supplementi. Partecipò commosso
alla festa per l’ordinazione: il giorno della prima messa, l6 giugno 1954,
tenne un discorso celebrativo. Tre anni prima per Natale aveva regalato a Heinrich
il suo “Messale”, “il piccolo libro della messa dei suoi anni di studente, che
non era relegato lì da qualche parte ma messo al centro della sua grande
libreria, tra i suoi libri di lavoro”. E in genere partecipava a tutti i riti
familiari: “Se c’era un’occasione che lo richiedesse, qui a Messkirch o altrove,
lo zio Martin prendeva sempre parte alla messa e lo faceva con piena
partecipazione spirituale”.
Heinrich ricorda anche la “famosa espressione”
della lettera a Jaspers dell’1 agosto 1935, delle “due spine”, “il contrasto
con la fede delle origini e il discorso del rettorato – sufficienti a
procurarmi quel che vorrei lasciarmi alle spalle”. E “più tardi”, ricorda
Heinrich, “aggiunge che la sua filosofia senza la teologia rimaneva
incomprensibile”. Ovvia ma acuta anche l’osservazione sul nazismo dello zio:
“Nei decenni dopo la Seconda Guerra mondiale molte persone pensavano che egli
dovesse finalmente confessare la sua colpa e il suo pentimento”, in riguardo
alle “due spine”: “Nel dialogo con lo «Spiegel» del 23 settembre 1966, se lo si
sa leggere, egli ci ha fornito la sua risposta”. Il riferimento è all’“ormai solo
un Dio ci può salvare”, con cui la rivista fece il titolo. Si è nascosto, insomma, pure
lui, per l’eclisse della chiesa e del sacro.
Heinrich Heidegger, Martin Heidegger, mio zio, Morcelliana, pp. 106 € 12
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