“456”
è un dramma di Mattia Torre, che dopo un primo debutto
nel 2011 viene riproposto a Roma dallo stesso Torre all’Ambra Jovinelli. “Un
ritratto domestico in un Sud immaginario”, così il “geniale autore romano” lo
sintetizza a Rodolfo Di Giammarco, il critico di “la Repubblica”, Che a sua
volta così sintetizza il dramma: una microsocietà che incarna “i valori più deteriori
incoraggiando cinismo e astio”, genitori e figlio “sono ignoranti, nevrosi, si
lanciano accuse, si odiano”, etc. Quanto odio in effetti, solo a escogitare la
trama, e addossarla al Sud.
Ci
rubano anche la famiglia. Di cui per decenni ci hanno fatto una colpa.
Muore
a Milano di meningite una professoressa di Scienze. È l’ennesimo caso di
meningite fulminante Milano, oltre ai tanti non mortali. La morta è biologa. Si
professa dell’Opus Dei. È blogger. È “Pokankuni” per gli allievi, che in indi significherebbe
“imparare dagli altri”. I motivi di interesse, volendoci fare colore, sono tanti. Ma per la Rai è solo “originaria della Sicilia”.
La
donna del Sud è certamente vittima degli uomini, di un certo tipo: gli intellettuali.
Quelli del Sud sono perduti dietro le mitologie. Quelli del Nord sognano nel
Sud una donna aggiogata, e stupida.
Quelli
sulla donna del Sud sono stereotipi più assurdi dell’omertà.
“Quando
arrivai a Parigi nel 1799”, ricorda Stendhal in un dei tanti testamenti,
“scoprii che esisteva una pronuncia diversa da quella del Delfinato”. Prese lezioni
di dizione, “per cancellare l’accento strascicato del mio paese”, ma con scarso
effetto: “Mi è rimasto il tono deciso e appassionato del Mezzogiorno, che rivela
la forza del sentimento, l’impeto con il quale si ama e si odia”. Sempre
conscio che “è un accento considerato curioso e un po’ ridicolo a Parigi”.
Sciascia alla rincorsa
del Nord
Come
sarebbe stato Sciascia vivendo nel leghismo? Non è argomento stupido, si applica
a Sciascia come ai coetanei, e anche ai figli, che gli sono sopravvissuti, che
sapevano tutto di Milano che idolatravano, e ne sono stati respinti - i quisling
compresi: giudici, giornalisti, prefetti, gente d’affari.
Sciascia
è manzoniano, e quindi antimeridionale: è narratore raziocinante, costruito.
Come Manzoni, è il problema del potere che lo agita, non la violenza, o la
bellezza, l’amore, i sentimenti, la natura.
Sciascia
non aveva la grazia. Ma neppure Manzoni, se lo si guarda dentro – dentro i
propositi e i terrori – ce l’ha. Manzoni in più aveva una buona dose di humour.
E grande cultura storica.
Sciascia
era ben siciliano, però. In politica, come editore, come intellettuale. Nel 1975
De Chirico fu a Palermo, per una sua mostra. Sciascia provò a intervistarlo,
proponendogli domande scritte, a cui il pittore rispose, sempre per iscritto.
Domande lunghissime, risposte brevissime. Domanda: “Che cosa pensa del «Trionfo della
Morte» che è alla Galleria Nazionale di Palazzo Abatellis? C’è, come lei sa,
una grossa questione aperta: se è stato dipinto da un catalano, da un
borgognone, da un italiano….”, e giù per tredici righe, fino al “cavallo che ne
è al centro… adottato da Picasso per la famosa Guernica?” Risposta: “Non è molto allegro.
Non credo che Picasso sia stato influenzato”.
Non
è solo mancanza di tatto – Picasso, Guernica, a De Chirico? De Chirico si voleva greco. Come reagirebbero
i Greci d’un tempo alla Sicilia verbosa di oggi?
Però,
Sciascia ebbe ben presente il ridicolo della cosa, e non pubblicò l’intervista.
Se ne avvalse successivamente, una diecina d’anni dopo, a corredo di una
cartella delle edizioni “Arte al Borgo”,
che omaggiavano De Chirico in morte, con quattro disegni e un’acquaforte
di Bruno Caruso. Introducendo un De Chirico inebetito più che spiritoso.
Il Sud di
Malaparte
C’era
un Sud già definito al tempo di Malaparte, dei “Battibecchi”, la rubrica che
tenne sul “Tempo” settimanale tra il 1953 e il 1956. Non quello onirico espressionistico
della “Pelle”, ma uno argomentato, con la cronaca.
I
gesuiti chiamavano la Calabria e il Sud “las Indias de por acà”, la terra di
missione in casa. Ma anche Gobineau dichiarava la Germania “les Indes de l’Europe”.
Di D’Annunzio, che è mandato a intervistare al Vittoriale nel 1928, mai
incontrato prima, ricorda la tristezza, per le invidie e le cattiverie di cui
si sentiva vittima. “Mi parlò della Duse. «Certi ricchi liberali borghesoni del
Nord», mi disse, «non mi hanno mai perdonato di aver compromesso la Duse. Finché
la comprometteva Boito, tutto andava bene. E si capisce. Boito era uno dei loro,
era un borghese, un falso poeta, un falso musicista, ed io ero un terrone,
venuto dal nulla….». Mi accorsi che aveva le lacrime agli occhi”.
L’Italia
è l’unione dei tre Stati più retrogradi d’Europa, quello borbonico, quello
pontificio, e quello sabaudo. “Che non era, si badi, in fatto di libertà e di
giustizia, superiore al regno delle Due Sicilie: per Cesare Cantù, anzi, lo
Stato piemontese era più retrogrado di quello borbonico”. Perché? “Perché era un
compromesso fra lo spirito militare di casta e lo spirito gesuitico”. E “perché,
fino la vigilia del 1848, vi sussistevano ancora quei tribunali ecclesiastici,
che in tutti gli altri Stati italiani, fuorché naturalmente in quello
pontificio, erano stati da tempo aboliti”.
Un’assemblea,
“sessant’anni orsono”, Malaparte scriveva agli inizi del 1955, “di grandi
feudatari, di residui borbonici, di antichi e nuovi forcaioli, si riuniva in
una pubblica sala di Palermo per invocare dal governo la chiusura delle scuole
elementari della Sicilia”. La scuola turbava la mente dei contadini.
Le
“dolorose parole”, che “non perciò vanno taciute”, sul “Sud senza giustizia”.
Sul banditismo frutto di un mancato o arretrato uso della giustizia.
Perché
le gente protesta, perché il Sud protesta – protestava? Una parte della classe
dirigente difende i suoi interessi, nella politica e nell’economia, con la convinzione
“che il popolo italiano è stupido, che non capisce…, che non vede e non ode, e
che non parla perché non ha nulla da dire”. Un’illusione: “Il popolo italiano,
specie quello del Mezzogiorno, è tutt’altro che stupido. L’Italia meridionale non ha scuole, ospedali,
case, strade, acquedotti, non ha
industrie, è governata con sistemi feudali da camarille locali, spesso con la
tacita connivenza, non sempre disinteressata, delle autorità”. Ma “sa benissimo
per qual ragione non ha scuole né ospedali, né strade, né acquedotti”, etc.
etc. “E credere che il popolo non parla perché non ha nulla da dire, o perché
non vede, non ode, e non capisce, o perché è rassegnato o contento, è cosa
altrettanto stupida quanto pericolosa”.
Napoli
Carlo
Carlei, regista hollywoodiano di Nicastro, ha fatto una Napoli di lusso per “I
bastardi di Pizzofalcone”, la serie tv. Colorata e festiva, o altrimenti vuota,
e sempre silenziosa. Si direbbe inanimata, non fosse che pulsa di strana
energia. Come sarebbe Napoli senza i napoletani che la calpestano – i diavoli
del paradiso di Croce?
Il
presidente della Regione Campania De Luca ha fatto mille nomine (994 per l’esattezza)
in cinquecento giorni di presidenza. Due al giorno: amministratori della
sanità, amministratori di aziende e istituti regionali, consulenti. Efficienza?
Si sa che Napoli è rapidissima: efficientissima , produttivissima. Per lo più,
chissà perché, nel senso sbagliato.
De
Luca sa di che si tratta. E per il sì al referendum prometteva e faceva
promettere fritturine e altre golosità Invece si è sbagliato, i napoletani
compatti hanno detto no, tre su quattro: vuoi mettere la fritturina con un
santo al Parlamento?
Che
si può anche dire così: De Luca non si sbagliava, ha solo sbagliato il piatto –
la fritturina è oggi il pesce dei poveri, cibo di strada.
Esce
Saviano con una “Paranza dei bambini” e subito le cronache sono piena di
bambini sparati – dovrebbero sparare, ma per ora sono sparati, vittime più o
meno casuali, nel far West urbano. Per pochi giorni, il tempo del lancio del
libro, poi scompaiono: non ci sono più bambini a Napoli che vanno in giro col
mitra?
Una
dozzina d’imputati di camorra a Napoli negli ultimi due anni, passibili di ergastolo,
ha adottato un pentimento “su misura”, come il vestito – o q.b., come da
ricetta medica. Quanto basta per non finire gli anni in carcere, non al 41 bis.
E magari godersi in vecchiaia una parte del bottino. Una mezza dozzina ha già
ottenuto il non-ergastolo, e il non 41 bis. Una tattica avvocatesca, che non
poteva non prodursi a Napoli, capitale della sartoria e della giurisperizia –
anche il linguaggio è forbito, dei pentiti di “un solo” omicidio.
Non
era napoletano ma, chissà, della città avrà mediato la saggezza, il primo
ministro del secondo Settecento Bernardo Tanucci, che all’amico priore Luigi
Viviani della Robbia, rimasto in Toscana, scriveva: “Non è felice né giusta la
nazione nella quale si ascoltano dei delatori”. E quelle che si governano coi
delatori?
L’arresto
dell’ingegner Di Leva e consorte a San Giorgio a Cremano viene accompagnato da
una manifestazione spontanea in loro favore. Di Leva può essere o no
colpevole di traffico d’armi per le forze oscure mussulmane. Ma i concittadini,
che non ne sanno nulla, non possono saperne, perché si scomodano in massa a suo
favore? C’è un germe, un istinto, dl male?
Ha
dimenticato del tutto, cancellato, i suoi brillanti giuristi ed economisti del Settecento, Vico, Filangieri, Galiani,
Genovesi. Pieno di buonsenso, quest’ultimo, oltre che di scienza. Che diceva: “Per
avere l’ordine bisogna punire i magistrati”, poterli punire. O “la buona legge
di Sisto V”: niente matrimonio senza un attestato di capacità di nutrire e
educare i fili. E anche: L’amministrazione sempre produce un effetto: o arreca
l’abbondanza o comporta l’indigenza”.
Napoli
è la prima per il no al referendum, il 75 per cento. Seconda in tutta Italia a
Paternò, ma la prima città. Tre su quattro: il sottogoverno è irrinunciabile,
che ha schiavizzato Napoli.
leuzzi@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento