Toscana
cara e triste
“Non voglio stare nel partito di Renzi”. Non è
un capriccio, è l’atto di nascita del partito di Enrico Rossi, il presidente
della Regione Toscana. In una, forse, col presidente della Regione Puglia
Emiliano, un grosso notabile meridionale. E con lo Speranza forbito di belle
speranze.
Rossi non
è nessuno. È di Bientina, il borgo pisano reso famoso da Pacini Battaglia, il
mediatore d’affari. E come presidente di Regione si chiama governatore. Ma
Rossi non ha governato niente in Toscana, sebbene ci stia da un paio di
legislature, e forse non sa governare.
Si
potrebbe pensare che, non volendo stare con Renzi, voglia solo far vincere
Grillo. Ma sarebbe troppo supporre. I suoi “rossi” sono, oltre che governatori
faceti di poche opere, parlamentari di enne legislature che vorrebbero la
ricandidatura. Magari in apparentamento con qualcuno che abbia i voti
necessari.
O non
sarà una sindrome toscana? Una lite Rossi-Renzi fra toscanacci, tra fiorentini
e pisani. “Non voglio stare con Renzi” fa il paio con “la tramvata” che Renzi
confessò dopo il cappotto al referendum. Questa non è male: “Ho preso una
tramvata” è l’unica cosa simpatica che Renzi abbia detto da qualche tempo.
Senza orpelli, in puro toscano, e anzi fiorentino. Dunque, due toscani si
dividono la sinistra italiana. Tre con Nicola Fratoianni, altro pisano, capo
ora di SI, Sinistra Italiana, il partito di Vendola e Bertinotti, l’ex
Rifondazione Comunista. Ma, allora, in che mani! Si inventano nomi nuovi come
per camuffarsi. O in pegno di novità, invece di proporre facce e idee nuove.
La
Toscana si vuole bella e buona. E anche oggi si paga pagine pubblicitarie per
dirsi all’avanguardia delle tecnologie per una qualche fierucola che organizza.
Mentre è anni luce dietro i distretti romani, emiliani, torinesi, e anche
napoletani, e anche delle isole, di Catania e di Cagliari. Di fatto è tutta la
Regione che va incontro alla tramvata, sempre febbrilmente, operosa, industre.
A parole. Nella mediocrità. Di cui il provincialismo è il segno. Renzi con la
piccola corte di tutti fiorentini o quantomeno toscani, bozzettistica, al bordo
del patetico – Serracchiani, l’unica di fuori via, è sempre stata triste con
loro, pur essendo giovane e, si penserebbe, spigliata. Autoreferente sempre,
piena di sussiego, che è solo di Partito, mentre sfrutta e svilisce un
patrimonio millenario, e di che qualità. Presidente del consiglio per (quasi)
tre anni, capo del maggiore partito politico, presente in tutte le tv a tutte
le ore, Renzi è campione di provincialismo inarrivabile. Nell’eloquio, la
strafottenza, la costante autoreferenzialità: il provincialismo fatto persona,
non solo quando pretende di parlare inglese. Poi è uno che nomina d’arbitrio un
ingegner Marroni, talmente competente da dire ai giudici tutto quelllo che i
giudici vogliono sentirsi dire - giudici non per caso napoletani.
Esosa,
sporca e imbruttita
Sarà una
bella gara tra Renzi e Rossi, si dice a Firenze. Ma bella per chi? Perché
questa è ora la Toscana: una regione di parolai, che si occupano solo di
occultare le macerie, che loro stessi producono. Sembra impossibile, tali e
tante sono le sue bellezze, ma i toscani da alcuni decenni ce la stanno
mettendo tutta. Per fatto caratteriale, forse, di sicuro per un’amministrazione
incapace e incompetente. Che solo si occupa del commercio ambulante e delle
sagre.
A girarla
è un mondo arcigno che s’incontra. Senza più grazia. Tra autostrade vetuste dei
fasti antichi, Orte-Firenze, Firenze-Mare, Firenze-Pisa-Livorno, una specie di
condanna a morte sospesa. Le vecchie statali riempite di autovelox a tradimento
per estorcere multe. Lo spiritaccio c’è ancora: il signore targato Po, dopo un
viaggio di tre ore da Prato a Viareggio, 100 km.?, non si priva di dire al
casellante: “Certo la paghiamo cara, l’autostrada, però ne approfittiamo a
lungo!”. Ma in paesi senz’anima, che moltiplicano le feste “storiche” per il folklore.
La cucina è svanita – non è molto tempo che la cucina era “toscana”, sia a Roma
che a Milano e a Londra.
La
Toscana è oggi arcigna. Esosa, sporca e imbruttita. Sembra difficile
distruggerla, ma ci provano con costanza, con durezza, da Rossi in giù. Quella
di oggi è un’altra razza, non più di signori e grandi teste ma di villani,
speculatori, piccoli, diffusi, ambulanti, e politici incapaci, anche rubamazzo.
Benché non si dica, il riserbo fa ancora legge a Firenze e dintorni.
Un’antropizzazione
forsennata, nella bassa Maremma, in val d’Orcia e nell’Amiata, nella Versilia,
nella Riviera Apuana, per due mesi di stagione. Dappertutto abbandono e
incuria. Fratoianni, deputato di Pisa, richiama una città di tanta tradizione
ridotta a borgo informe: con tre università, lascito della tradizione gloriosa,
e il numero record di studenti fuori sede, ai quali non offre niente, a parte
gli esami, e un letto in affitto. Livorno, ex grande porto, non ha più una
funzione: è abbandonata, e perfino incattivita.
Si gloria
la Toscana di una sanità all’avanguardia, per la quale però fa pagare le tasse
locali più esose in Italia. Con casi di malasanità, nella stampa locale, più
numerosi e più gravi di quelli napoletani, che fanno per antonomasia la una dei
tg. Per non dire dell’epidemia di meningite.
Tutto vi
è caro. A partire dall’acqua, dopo l’aria che si respira, tra le tasse locali
più alte d’Italia. L’acqua, di cui la Toscana è ricca, per i fiumi e la vasta
corona di Alpi e Appennini, costa il doppio che a Milano. Le nove
province della Toscana figurano tre le prime dieci per il caro-acqua, con
tariffe medie di quasi il doppio della media nazionale. Con sovrapprezzo
depurazione che non ha riscontro pratico: i depuratori sono inefficienti e
insufficienti.
Le
Bandiere Blu a gogò si devono a ragioni di (ex) partito, Lega Ambente e simili,
anche dove non c’è depuratore, non si fa nemmeno la differenziata, e i mari
sono inquinati a vista. Specialmente in Versilia e nella Riviera Apuana, un
tempo privilegiate – si salva Forte dei Marmi, che però è un’isola nella
regione. Mari ingialliti dai torrenti avvelenati, dalle cave a monte e dai
rifiuti incontrollati, e mai dragati. Le spiagge un tempo profondissime ora
radicalmente erose, specie in Alta Versilia e nella Riviera Apuana, di Massa e
Carrara, per le manomissioni che si operano nel porto – peraltro semideserto,
si fanno le opere giusto per fare gli appalti – di Carrara. Le cave di marmo
depauperate in un quarantennio, dopo duemila e passa anni di attività.
La vista
di Viareggio stringe il cuore: i grandi alberghi del grande lungomare Belle
Époque vuoti. A fronte di una sorta di casbah da Terzo mondo: tendopoli,
rifiuti e precotti. Ma anche il grossetano è inguardabile. All’insegna della
Maremma che più non c’è. Talamone irriconoscibile, ricostruita per ricchi
inesistenti. Castiglione della Pescaia sporca e disordinata, due gioielli. La
stessa Orbetello (Albinia è ancora bloccata dall’alluvione di cinque anni fa) e
Porto Santo Stefano si aggomitolano sul niente.
L’erosione
delle coste tocca oltre i due quinti, almeno 150 km. su 400 di spiagge, per la
metà di litorale sabbioso. Opera di fiumi senza più sedimenti, di consumo del
territorio, con porticcioli a cascata e altre costruzioni invasive, e di
interventi palliativi – giusto per l’appalto, il business dei ripascimenti, dei
pennelli, dei moli. L’Arno è sfruttato in misura indecorosa. Marina di Pisa,
alla foce, è una dee aree più colpite dall’erosione.
La
cultura dell’incultura
La
regione della cultura italiana, storica e unitaria, è senza più cultura.
Cinquant’anni fa inaugurava la prima libreria internazionale a Firenze, e la
prima libreria self-service, senza più l’arcigno commesso in spolverino nero
che si frapponeva – entrambe Feltrinelli, quindi milanesi, ma l’esperimento fu
tentato a Firenze. Ora non ha quasi più librerie, in larghe regioni,
Quarant’anni fa inventava le grandi mostre didascaliche, con abbondanza di
testi a supporto e video, ora non fa più mostre, se non degli artisti amici del
sindaco. Non c’è un ricordo di Leopardi a Firenze. Non ha fatto niente per
Fruttero che ha “lanciato” il grossetano, né lo fa per Citati e gli eredi
Calvino che l’area poi illustrarono. La Garfagnana, che fu larga parte seppure
infelice della vita dell’Ariosto, è l’unica regione in pratica dove i
cinquecento anni dell’“Orlando Furioso” l’anno scorso non sono stati ricordati.
Ospitava, tra Firenze e la Versilia, il meglio delle letteratura e della
pittura italiana e europea fino alla guerra, ma non ne ha memoria.
La
capitale Firenze brilla per l’assenza di carattere e personalità - a parte la
Fiorentina, la squadra di calcio, tenuta in vita da forestieri, i fratelli
Della Valle. Sembra impossibile, a fronte di tante bellezze ereditate, ma è
l’impressione che dà a qualsiasi visitatore, anche al turista a ore. Che è
quello prevalente, il turismo scappa e fuggi. Da quarant’anni discute di
raddoppiare gli Uffizi, tanta arte ammassa negli scantinati, e niente. La
stessa burocrazia spenta per cui un ponteggio a Boboli può restare in piedi per
trenta o quarant’anni, arrugginito in ogni spigolo e un invito al tetano,
mentre si studia come chiudere il campanile di Giotto, perché non ha la scala
d’emergenza, e nemmeno l’accesso disabili. L’Accademia, un concentrato di
bellissime opere di pittura e scultura, ammassate nell’indifferenza, giusto per
riempire gli spazi attorno al David, un baraccone.
Firenze è
passata da capitale della cultura, del gusto (cucina, moda), e del benessere
(abitazione, arredamento, abitudini di vita) a niente. Milano andava a Firenze
per acculturarsi, migliorarsi, godere, e anche Roma, ora è l’inverso. Ci sono
del resto sempre meno fiorentini: la popolazione si è dimezzata. In due
generazioni, a partire dal 1960 circa. Ogni anno mille abitanti in meno nel
centro storico, da venticinque anni ormai – nel 2015, quando la rilevazione fu
fatta. In una generazione il salto nel niente è stato fatto. Metà degli attuali
fiorentini vive e lavora fuori Firenze.
A
sottolinearlo è rimasta la presunzione. Di cui Renzi, che è stato il sindaco di
Firenze per molti anni, è il portabandiera. Firenze è ora una cittadina di
provincia, litigiosa, astiosa, capitale di una regione piena di sé e
adulterata. Avvinta a un laicismo che l’ha disseccata, avendo contagiato il
forte partito Comunista ex fascista.
Mezzo
fallita
Si può
anche dire una regione fallita, mezzo fallita, con i 25 miliardi di crediti in
sofferenza – o sono 40? - del Monte dei Paschi, i tre di Banca Etruria e le
innumerevoli poste dubbie delle banche cooperative. Feudi della politica
locale, quella dei Rossi, che si fanno pesare sugli italiani tutti.
L’Aurelia
ne è il simbolo e la spina dorsale, con i suoi 300 km. e passa di Toscana. A
fianco della quale non si vuole l’autostrada tirrenica per poter meglio
taglieggiare gli automobilisti ignari, con gli autovelox di cui i comuni
grossetani e lucchesi sono ingordi. A fronte della pseudo protezione ambientale
anti-Tirrenica, un’antropizzazione innecessaria e sconsiderata, per seconde e
terze case. Pinete e boschi, anche pregiati, sughereti, noccioleti, distrutti
per lottizzazioni. Inabitate ora per lo più, perché la fiscalità vi è diventata
prepotente: gli amministratori alla Rossi fanno poco, ma lo fanno pagare caro. La
propaganda è battente di Toskana e Tuscany, ma i tedeschi sono in ritirata da
tempo, al mare non se ne vede traccia, e gli americani, che avevano soppiantato gli
inglesi, non ci vengono più. La Toscana resta ora famosa per qualche matrimonio
indiano o arabo, roba da fotoromanzi.
Al
visitatore resta solo il record dei punti patente persi. Per eccesso di
velocità. Senza una grande vigilanza contro: l’incidentalità non è nella
regione inferiore alla media nazionale. Una vicenda che sembra da poco ma è
esemplare. I punti si
perdono perché un numero record di Comuni in Toscana si è dotato
dell’apparecchiatura di controllo, che è cara ma rende – è peraltro fornita da
ditte legate allo stesso Partito. In Toscana si fa rendere utilizzandola a fini
estorsivi: per esempio andare a sessanta km.\h su un rettifilo senza traffico
può costare 200 euro. Per fare cassa. Usualmente appostando i dispositivi
dietro una curva, o dietro una siepe, o subito dopo il segnale che riduce la
velocità massima. È una dei modi, tutti legali certo, per estorcere denaro a
chi vi si avventura – per i residenti si chiude un occhio: i residenti toscani
non sono, al contrario di come si penserebbe, i maggiori contravventori dei
limiti di velocità, pur essendo molto più numerosi dei forestieri, e poco
disciplinati di carattere. Una piccola cosa, una delle tante sgradevoli. Anche
perché uno vorrebbe non privarsi della Toscana.
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