Uno dei due-tre testi dei “Franchi
narratori” Feltrinelli che cinquant’anni fa fecero epoca. Di scrittori non
scrittori, cioè. A partire da “Padre Padrone”, il racconto di Gavino Ledda. Questo,
in particolare, perché racconta le fantasie sessuali di un adolescente in
provincia, anzi in seminario, di testa, e cioè vivissime. Di un autore “don
Luca Aspera”, che si presentava come prete, Carmine Ragno, un prete. Fu un
successo di scandalo. Ma oggi che quelle fantasie sembrano poca cosa, si
rilegge ugualmente con interesse: per la scrittura, il ritmo.
È una serie di accoppiamenti, di vario
tipo, i più opera di donne giovani infoiate, tutti a loro modo originali e eccitanti.
Una scrittura del desiderio in effetti ineguagliata. Anche nella miseria, anzi
quasi ovunque nella miseria, tra forre e baracche. Un desiderio bestiale,
vitale.
Una scrittura o forse una riscrittura.
Se il romanzo, come dice D’Orrico che presenta questa riedizione, fu estratto
da 130 quaderni neri - di quelli quindi a 72 pagine (ma se anche più magri, di
36 pagine, sempre fanno una scrittura sovrabbondante)? “Luca Asprea” non ha più
scritto nulla – non che sia stato pubblicato (non che se ne sia avuta notizia).
Ma il fatto va rilevato per sottolineare l’equivoco, non dei possibili limiti
del’autore, della stessa concezione del “franco narratore”, come di uno che
scrive per sbaglio, invece che con applicazione e fatica. Questo
“Previtocciolo” resta infatti un libro d’autore, ha una sua cifra.
Scandisce ancora l’ardore del desiderio,
oggi tanto più stimabile che ogni desiderio è presto esaurito e spento.
La vita oscura di paese è oggi come
allora oscura, ininteressate. Le fantasie sessuali del seminarista poi prete oggi
non scandalizzano, figurarsi. Ma la scrittura li rende attraenti. Moravia
patrocinò il prete calabrese per questo, per le “scene di sesso”, allora
impelagato con Dacia Maraini nell’erotismo bollente dei sessant’anni, che
celebrava in prose ardite, già autore de “La noia” e presto di un “Io e lui”,
dialogo col suo io, il suo pene. Ma rileggere Moravia e “Asprea” fa risaltare la
differenza, finita la morbosità, tra una prosa spenta e una viva.
D’Orrico, che presenta questo
ripescaggio, ne fa “un racconto di antropologia calabrese al tempo del fascismo”,
e una sorta di “Cristo s’è fermato a Oppido”. Questa riedizione ricalca la precedente,
del 2003, ordinata dall’autore, che reimpastava con l’edizione Feltrinelli la
parte mancante – o una parte. Il protagonista ritorna da adulto al paese, che
gli si ripresenta come un mondo cupo e maniacale, una sorta di cloaca satura di
veleni, che a lui tocca di far esplodere. Un’accoppiata che che Pasquino Crupi, che allora
firmava la presentazione, diceva “atroce e feroce, forse il (romanzo) più atroce e feroce della narrativa
italiana contemporanea”.
Col saggio Franco Cordero, il giurista-scrittore
che presentò la prima edizione del romanzo.
Luca Asprea, Il previtocciolo, Pellegrini, pp. 383, ril., € 16,99
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