Jachin-Boaz e Boaz-Jachin, padre e
figlio, vengono dalla Bibbia, spiega l’autore prima di cominciare: sono i nomi
che Salomone diede alle due colonne di bronzo erette davanti al vestibolo del
Tempio. Jachin è “il Signore rende stabile”, Boaz “da Lui viene la forza”. Ma è
una falsa pista, la Bibbia non c’entra nulla, se non per essere allegramente
sovvertita.
Hoban, americano, figlio di ebrei immigrati
dall’Ucraina, londinese nella seconda metà della sua vita, è poco biblico:
niente profetismi, le cose avvengono. Semplicemente, inaspettatamente, senza consecutio o logica. Con divertimento di
Boaz-Jachin, il figlio, e del lettore. Si va dalla liberazione dai genitori: “Non
parlatemi di ereditarietà. Darwin andò alle Galapagos per sfuggire alla
scarrozzata domenicale coi genitori.
Mendel pisellava”. Alla liberazione dalla domenica: “Perdonaci le nostre
domeniche come noi perdoniamo coloro che domenicano contro di noi. Prestatemi
un lunedì, per l’amor di dio”. In un mondo già pieno di trans: “Transistor,
transfratelli, transpadri, transmadri”. E altri generi ossessivi.
Con questo racconto Hoban, scrittore di
libri per bambini, illustrati da lui stesso e dalla moglie Lillian Aberman,
avviò una nuova attività di scrittura. Nel 1973, mentre avviava il divorzio da
Lillian. Scriverà fantasy, fantascienza e avventura, non più i misfatti dei
suoi quattro figli. Ma sempre con un occhio ai giovani – è soggettista di molti
film. Questo è un fantasy per ragazzi, ma di gusto anche fuori della fantasia.
Una “favola per adulti”, come lo vuole l’editore, sul tema irrisolto
padre-figlio. Che la letteratura snobba, ma ancora c’è.
Nulla di trascendentale - filosofico, ma
non troppo: il leone è il tempo. Alla fine il figlio capisce: “Quando
Boaz-Jachim sentì il ruggito, capì che al mondo c’era soltanto un luogo. Quel
luogo era il tempo”.
Russell Hoban, La ricerca del leone, Adelphi, pp. 218 € 13
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