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sabato 4 febbraio 2017

Il mondo com'è (294)

astolfo

Bastiglia – Si sa che la sua presa fu la scintilla della rivoluzione farncese, tuttora celebrata. Si sa che ospitava in tutto sette detenuti. Ma non si dice chi erano, che è la cosa più golosa: un attentatore di Luigi XV, non giustiziato per grazia del re, un pazzo rinchiuso dalla famiglia, il conte Jacques-François Xaver de Whyte de Malleville, un altro conte rinchiuso dalla famiglia, il conte Solanges, perché di tendenze incestuose, e quattro falsari che si dileguarono all’apertura dei cancelli, Jean Béchade, Jean Lacorrège, Bernard Larroche e Jean-Antoine Pujade.

Cekà – Non ha fatto un secolo la rivoluzione d’ottobre, lo fa – o farà tra un paio d’anni – la sua polizia politica, la Cekà. Fu la prima cosa che Lenin creò una volta preso il potere, eliminando i socialisti. Un organismo che attraverso varie denominazioni si mantiene fino ad oggi, col nome di Fsb. L’Fsb festeggia tuttora la creazione della Cekà, e nei suoi uffici si brinda al suo creatore, Feliks Deržinski.

Femminismo – Nasce da un difetto della storia – della storiografia? È quello che sospettano le storiche italiane in questi giorni, riunite a Pisa in congresso. Anche della storia, per i diritti politici e civili post-1789, che la borghesia si appropriò, la quale era tutta maschile (una borghesia tutta maschile è argomento da approfondire, ipotesi gravida). Ma la colpa è più della storiografia: passati l’Otto e il Novecento della dittatura borghese non ci sono altre cesure nella storia. Le donne governavano, sgovernavano, facevano guerra e facevano pace, si divorziavano, abbandonavano figli e famiglie, oppure le imponevano, soprattutto i figli, maschi. Il campionario è ricco, solo la storia (storiografia) è carente. Quante regine decisive in Francia, per esempio, per lo più italiane - a petto di quanti re altrettanto decisivi? O in Inghilterra. O in Russia. O tra i principati tedeschi, Hohenzollern esclusi, ma inclusi gli Asburgo, a partire dalle donne che formarono e imposero Carlo V. Thatcher e Merkel, intransigenti e assolutiste, vengono da lontano, non sono l’esito delle “battaglie femministe”.
Non ci si capacita che tanta storia sia stata cancellata, sia stato possibile cancellarla, nell’Otto-Novecento. Ma è avvenuto. E anzi, per questo aspetto, il Novecento ha una coda curiosa nel Millennio: non si sono riscritti i libri di storia, si sono aggiunte delle note, tra il languoroso e il politicamente corretto, seppure in chiave autocritica, e br evi, insignificanti. Il Novecento non ci molla?

È una reazione all’Otto-Novecento più che a una condizione antropologica o millenaria. All’epoca borghese della storia. Preparata, in parallelo con la “nascita” maxweberiana dello “spirito” capitalistico, dalla caccia alle streghe. Le streghe si perseguitavano anche prima, parte del fenomeno “eretico”. La caccia alle streghe fu di massa e di genere (ne saranno vittima anche uomini ma in aree marginali, Islanda, Estonia, Russia, in situazioni contingenti). Si vede dalla tempistica, e dai reati che ne furono oggetto: la gestione femminile della procreazione, la rivendicazione esplicita della libertà sessuale. Quello che si chiamerà la diversità. Manifestazioni analoghe erano state identificate in precedenza, le Baccanti, le Amazzoni, la Gnosi, ma non sanzionate. Nel Cinque-Seicento furono fronte di guerra: centomila “processi” fanno ben un olocausto.

Iran-Usa – L’Iran, uno dei sette paesi islamici ostracizzato per quattro mesi da Trump, ha oltre 16 mila studenti negli Usa. Non in Europa, dove gli studi costerebbero molto meno: negli Usa. Malgrado gli Usa siano il nemico per eccellenza della propaganda e l’opinione pubblica in Iran, anche non khomeinista.
L’Iran ha sempre mantenuto un contatto costante con gli Stati Uniti, anche negli anni peggiori del khomeinismo, un rapporto che data dai tempi dello scià, quando l’influenza americana si sostituì a quella inglese – nel 1953 lo scià rovesciò il governo filocomunista di Mossadeq con l’aiuto della Cia. L’inglese parlato a Teheran è americano, l’emigrazione iraniana è quasi tutta negli Usa, con poche appendici in Germania e Francia - molto meno dei tempi dello scià in Italia, e residuale, non c’è più nuova immigrazione.
Il rapporto si mantiene stabile anche sotto i provvedimenti restrittivi che l’Occidente ha preso e mantiene, su pressione Usa, contro l’Iran. Malgrado l’Iran sia, da quasi cinquant’anni ormai, inadempiente sui diritti umani e civili. Specie in Iran, dove l’ordine pubblico e la giustizia sono gestiti autoritariamente, senza rispetto per le procedure e i diritti. Ora, per esempio, è sotto pena capitale un cittadino iraniano da tempo trapiantato in Italia, dove è dottore e ricercatore in Piemonte, condannato senza giudizio – senza scandalo.

Populismo – Era populista la rivoluzione russa prima di Lenin. Erano eredi del populismo russo, con largo seguito nelle campagne, i Socialisti Rivoluzionari, maggioritari nel governo menscevico e nel paese, prima che Lenin sbarcasse alla stazione Finlandia. All’Assemblea Costituente eletta dopo il colpo di mano di Lenin, nel novembre 1917, che Lenin scioglierà, i Socialisti erano in netta maggioranza rispetto ai bolscevichi.

Nella lunga e osannante prefazione a Lenin, “Che fare?”, per Einaudi nel 1971, Vittorio Strada lega il populismo russo all’anarchismo, come le due influenze maggiori sul giovane Lenin, sulla sua formazione. Certo, Trump non è Lenin, ma un certo radicalismo è lo stesso.

Era populista, naturalmente, Mussolini. Anche Hitler.

Resistenza – È ora tradizionalista. Contro la globalizzazione per la sovranità. Contro l’etica della licenza. Contro le immigrazioni di massa. Negli Usa con Trump, in Francia coi Le Pen, in Gran Bretagna con la Brexit. In Italia anche, dove sarebbe maggioritaria, se Grilo si mettesse con la Lega e con la nuova vecchia sinistra. Anche in Germania non c’è male, benché Merkel sembri poterla governare.
È una forma politica che sembra improprio definire resistenza. Poiché non si oppone a un totalitarismo, anzi prospera nella libertà d’opinione Ma si oppone al cosiddetto pensiero unico, rafforzato dal politicamente corretto. Per cui si privilegia l’immigrato più del disoccupato, il rom più del povero nazionale, e ogni minoranza, anche esigua, a spese della maggioranza e contro di essa. Per un’errata – soverchiante, deflagrante – lettura dei diritti umani e delle minoranze: come una leva per scardinare, come un hedge – giusto la denominazione della speculazione che ci sta distruggendo – o una scheggia, una piccola fessura, brandita per attaccare e dissolvere la città, dicendola la frontiera, il nuovo, il futuro, inarrestabile.

Rivoluzione – “Le rivoluzioni sono destinate tutte ad essere archiviate, a volte anche demonizzate”, Luciano Canfora, “La Lettura” 29 gennaio: “Quella francese fu recuperata solo un secolo dopo il suo scoppio”. E dopo tante ricostruzione non benevole , tra esse quella di Manzoni, peraltro convincente.
Ancora Canfora: “Le rivoluzioni son tappe fondamentali nella modernizzazione dei Paesi dove si producono”, la Russia, la Cina, “perfino il Messico”.

Russia – È l’unico posto che non ha fatto l’esame d coscienza al comunismo dopo la caduta. A Stalin sì, ma poi con riserva – è pur sempre l’eroe della epocale resistenza a Hitler e alla Germania, l’artefice della vittoria. Ma ad altri con più luci che ombre. Yeltsin ci ha provato, da un punto di vista liberale, ma è fallito.
Putin a suo modo lo recupera, nell’assillo di consociare la continuità nazionale, che è il trademark della sua politica, nazionalista-imperialista, seppure non sovversiva – il comunismo sovietico fu pur sempre un forte nazionalismo, più di quelli noti, il tedesco, il francese. Da subito, la fase putiniana della lotta alla corruzione e al dissolvimento dell’unità nazionale sotto le spinte localistiche di ras politici e profittatori della desovietizzazione. Consolidata attorno al 2005, quando furono avviate le “rivoluzioni colorate” ai suoi confini europei. Col nazionalismo in senso proprio, della difesa della comunità russa, specie se minoritaria.  
Lenin rimane col suo monumento, ma nessuno ne parla, né per il male né per il bene. Il 7 novembre smette di essere un giorno festivo. Sostituito da un 4 novembre che forse non ci fu, la vagheggiata cacciata dei polacchi da Mosca nel 1612.

astolfo@antiit.eu

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