Non solo
Depardieu tiene i conti a Mosca, Grillo e Salvini ne hanno fatto la loro capitale,
e Farage con Le Pen. E Trump. E Fillon. E Sarkozy. Non per soldi, malgrado le tante malignità. E benché la Russia sia impoverita dagli embarghi e
anzi “allo sbando”.
È anche una
mania. Putin ha gestito la campagna presidenziale americana, nell’immaginario
di un certo Occidente. Ora sta gestendo quella francese: Fillon è un suo protégé,
anche Sarkozy, insieme con Le Pen. E chissà che non ci abbia messo lo
zampino nella Brexit – prima o poi non mancheranno indizi. .
Ma qualcosa ci
dev’essere sotto, di più solido. Perché il fatto c’è: Putin, debole, sole e
tutto, è in questo momento al centro delle più importanti questioni mondiali,
militari, diplomatiche, politiche, religiose, e perfino, malgrado la
vulnerabilità in questo campo della Russia, economiche.
La resistenza tradizionalista
Il mensile
americano “The Atlantic” ne dà una lettura politica che vale la pena scorrere,
sotto il titolo “È il mondo di Putin” – sottotitolo: “Come il presidente russo
divenne l’eroe ideologico dei nazionalisti ovunque”:
Putin,
personalità “comunque di statura fuori misura”, e il faro e la calamita del
populismo – da intendersi come insoddisfazione generica: “Ha ottenuto questa
prominenza perché ha anticipato la rivolta populista globale e ha contribuito a
darle forma ideologica. Con la sua critica apocalittica dell’Occidente – che
gioca anche con le paure di una risposta della cristianità debole al terrorismo
islamico – Putin è diventato una mascotte della resistenza tradizionalista”.
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